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Il decoro perduto


jamesly
Eminent Member
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Post: 30
Topic starter  

L’abito non fa il monaco, si sa. Malgrado ciò, la neodirettrice di Raitre ha recentemente imposto ai conduttori dei TG un dress code decisamente misurato, più o meno nello stesso momento in cui l’Alitalia ha presentato le nuove divise per il personale di volo e di terra, ispirate allo stile castigato imperante negli anni ’50 e ’60.

Entrambe le scelte, che hanno fatto discutere, seppure per ragioni diverse, appaiono legate da un sottile filo rosso: il decoro nell’abbigliamento.

In tempi di pantaloncini inguinali, magliette scollate, leggings che lasciano intravedere l’intimo, canottiere aderenti adornate da improbabili catene di bigiotteria, bermuda che scoprono natiche avvolte in boxer griffati, scarpe da ginnastica rosso fuoco, l’idea di abbigliamento decoroso può suonare anacronistica; eppure, all’inizio di ogni anno scolastico, in molti istituti secondari di primo e secondo grado vengono pubblicate circolari sull’obbligo di decoro nell’abbigliamento, atte a rammentare ai ragazzi che la scuola, in quanto comunità di studio e di lavoro, esige un abbigliamento adeguato alle richieste. Le stesse non posso di certo essere ritenute superflue e obsolete: la scuola, in fondo, è pur sempre la principale agenzia secondaria di formazione dell’individuo.

Analoghe comunicazioni vengono pubblicate in taluni luoghi di lavoro, nei quali viene richiesto un abbigliamento consono all’immagine dell’azienda e al ruolo ricoperto. E allora perché scandalizzarsi e urlare al proibizionismo per le mise imposte dalla Rai e da Alitalia ai loro dipendenti? Non si tratta, forse, di luoghi di lavoro, seppure sui generis?

Forse il vero problema è un altro, e la maggioranza delle persone continua a ignorarlo o a fingere che non esista: il vero problema risiede nel fatto che il decoro, nel vestiario, è andato perduto. E non solo nei luoghi di formazione e lavoro.

Si è lentamente insinuata l’idea che chiunque possa indossare qualsiasi cosa in un qualunque contesto, che a tutti doni tutto, che non esistano capi d’abbigliamento adatti solo a determinate circostanze e, più in generale, che più ci si scopre e si mostra il proprio corpo per quello che è, meglio è.

Quasi che il pudore e la morigeratezza nel vestirsi incarnassero dei disvalori; come se il prediligere un abbigliamento sobrio e adeguato al contesto implicasse rinunciare alla propria libertà di autodeterminazione e alla propria capacità seduttiva, anziché significare una scelta dettata dal rispetto di se stessi, degli altri e delle regole sociali.

Se è vero, come spesso è vero, che l’abito non fa il monaco, è altresì vero che la forma è sostanza: dare un’immagine di sé che sia al tempo stesso “costumata” e consona al contesto in cui ci si trova ci rende, agli occhi altrui, persone in linea coi tempi e rispettose delle regole, tacite e non, del vivere comune, permettendoci, inoltre, di salvaguardare la nostra dignità.

Fonte: Equilibrio Instabile http://equilibrioinstabile.myblog.it/2016/07/06/il-decoro-perduto/

06.07.2016


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Sven
 Sven
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 156
 

Concordo.

Aggiungiamoci che lo stile americano ha sdoganato l'uomo politico forte che parla con maniche rimboccate..

Da lì poi l'uomo politico che parla nelle occasioni ufficiali senza cravatta o addirittura che parla al Senato con la mano in tasca, in un eccesso di sicurezza in sè stesso!!!

Anche in Parlamento, prima si andava OBBLIGATORIAMENTE con cravatta, ora lo sbraco della sostanza genera quello della forma e la cravatta mi pare non sia più così diffusa a Montecitorio...


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[Utente Cancellato]
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 3719
 

L'abito fa il monaco nel senso di distinzione.
Adesso si è omologato tutto creando un ciarpame unico, quello che più mi piace sono le signore simil omino della Michelin vestite in hot pants. Un obbrobrio che grida vendetta.
Sono per le divise specialmente nelle scuole come quelle nella terra di Albione. 😉


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riefelis
Honorable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 679
 

Post senza senso.
La verità è un'altra e forse un po' ingiusta e crudele.
Tutto dipenda dalla bellezza dell'individuo.
Una bella donna (o un bell'uomo) può permetersi di scoprire. Tutto è isito nel livello di bellezza.
Forse chi censura e grida al decoro è un individuo brutto o meno bello che vuole reprimere un vantaggio regalato ai belli.

Io amo la bellezza.


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Sven
 Sven
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 156
 

Questo post ha molto senso, ma non per la matrice culturale oggi diffusa, del "si può fare tutto", "lasciamo libertà ai figli", eccetera.

La divisa a scuola (sacrosanta) elimina le distinzioni sociali, lascia in teoria il figlio del povero come il figlio del professionista o dell'avvocato.
Non esalta le griffe e i capi ricercati e costosi.

Quanto all'abito che fa il monaco chiedo ai "soloni" libertari: vi sentireste sereni e avreste l'impressione che tutto va bene, salendo in aereo e vedendo che tra tutti quelli in divisa ce n'è uno in bermuda o c'è una hostess in shorts (come si dice oggi, schiavi della terminologia del marketing) oppure provereste la sensazione di qualcosa di distorto?

Mutuo questa idea dal grande Blondet: la disciplina nell'abito, l'ordine nel vestire e non lo sbraco da periferia yankee veicolato dai rappers e da MTV, sono significativi di un'epoca nella quale, un tempo, l'operaio in tuta blu tutta la settimana, il contadino in maniche di camicia tutta la settimana.. amavano la domenica vestire come il ceto "superiore", con l'abito della festa.
Stereotipati anche loro, ma a loro modo disciplinati, pieni di aspirazione verso qualcosa di diverso dalla loro condizione, di più vicino a chi dirigeva la società.
Oggi invece il politico toglie la cravatta, mette la mano in tasca, la scuola (per fortuna non tutte) chiede sempre di meno ed i preti sono allergici all'abito talare.

E magari finiscono al Circo Massimo al Family Day (triste sceneggiata denominata alla maniera del dominatore) a cantare grossolanamente, con chitarra e tamburelli ed in mezzo a suore e laici/laiche, "La società dei magnaccioni" (vedere per credere, il video è su Youtube).


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