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La parabola vittoriana di George Michael


Davide
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C’erano una volta i primi anni ottanta. Il Regno Unito era un paese allo stremo, schiacciato dalle privatizzazioni selvagge di Margaret Thatcher e dagli scioperi, ultima spiaggia di una classe operaia agonizzante.

Eppure in quegli anni grigi il pop inglese più disimpegnato, colorato e teen era in stato di grazia. Duran Duran, Spandau Ballet e Culture Club dominavano il mercato e influenzavano i gusti estetici, musicali e sessuali di una generazione. Gli Wham! tra il 1983 e il 1985 sono stati i migliori di tutti. I più sgargianti, i più sorridenti, i più pop. A cominciare dal nome che sembrava schizzato fuori da un dipinto di Roy Lichtentstein.

Gli Wham! erano essenzialmente George Michael, un giovane cantante di origine greca che sembrava nato già famoso. Un sorriso bianchissimo, un fisico atletico ed eternamente abbronzato, capelli baciati da méches che lo facevano sembrare appena tornato da una giornata in barca. I video degli Wham! di quegli anni erano un’eterna vacanza, l’incarnazione dell’edonismo disperato degli anni ottanta, spesso in precario equilibrio tra soft porno gay e Il tempo delle mele.

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