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La tossicodipendenza da ricchezza raccontatta da...


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Un ex lupo di Wall Street racconta la tossicodipendenza da ricchezza

“Nel mio ultimo anno a Wall Street il mio bonus è stato di tre virgola sei milioni di dollari – ed ero arrabbiato perché non era abbastanza. Avevo trent’anni, nessun figlio da crescere, nessun debito da pagare, nessun obiettivo filantropico in mente. Volevo più soldi per lo stesso motivo per cui un alcolista ha bisogno di un altro drink: ero dipendente”. Un ex trader di fondi speculativi ha raccontato, sulla Sunday Review del New York Times, i suoi anni da lupo di Wall Street. Non è una storia speciale, o terribile, non è una favola contro i ricchi, ma il racconto di un’eccitazione che cresce, e che fa svegliare di notte certi milionari tutti sudati: e se perdo tutto? e se non ne ho abbastanza? Il primo bonus da neo laureato sveglio e intelligente che trova lavoro alla Bank of America (dopo aver telefonato ogni giorno per tre settimane per farsi assumere) fu di quarantamila dollari, racconta Sam Polk, che adesso ha fondato una società no profit e si considera un ex tossico sempre a rischio. Ma quella dei quarantamila dollari fu la volta in cui si sentì più felice, strabiliato e quasi ricco.

Finalmente poteva prelevare al bancomat senza prima controllare il saldo. Poteva andare al ristorante, invitare a cena suo padre che non era mai riuscito a guadagnare quel milione di dollari in cui sperava tanto. Ma una settimana dopo un suo conoscente venne assunto per novecentomila dollari. Choc invidioso, sconvolgimento, mani che sudano e una nuova eccitazione: quanti soldi girano nel mondo, quanti soldi aspettano soltanto che qualcuno sia abbastanza fico da meritarseli. Sam Polk non era Leo DiCaprio nel film di Martin Scorsese: non era un grande truffatore, ma lavorando come un pazzo è riuscito a salire la scala di Wall Street, si è fatto notare, ha ricevuto nuove offerte che ha usato per ottenere promozioni, ha affittato un loft da seimila dollari al mese, si è messo con una bella bionda, e a venticinque anni si è sentito importante. “Potevo andare in qualsiasi ristorante di Manhattan solo sollevando il telefono e chiamando uno dei miei broker, potevo assistere in seconda fila a una partita dei Knicks contro i Lakers semplicemente dicendo a un broker che forse ero interessato ad andare” (che vita d’inferno, poveri broker). Sam Polk era tormentato dall’invidia: se un tizio seduto accanto a lui guadagnava dieci milioni di dollari, i suoi due milioni gli parevano uno schifo. Andò a lavorare per un hedge fund. “Ero diventato una gigantesca palla di fuoco di avidità: volevo un miliardo di dollari”.

Aveva avuto un bonus di quarantamila dollari cinque anni prima, e adesso un milione e mezzo gli sembrava da miserabile fallito. I suoi superiori, però, non erano più felici: assurdamente ricchi e assurdamente terrorizzati dal cambio dei regolamenti dei fondi, perché avrebbero potuto perdere qualche dollaro. Voci rabbiose, occhi roteanti, avrebbero rapinato la nonna, camminato nella neve per chilometri, come un tossico in cerca di eroina, disposto a tutto per averla. Il mercato crollava, nel 2008, e Sam Polk faceva i soldi cortocircuitando i derivati di aziende a rischio. Ne approfittava. Aveva molti milioni, l’angoscia continua di perderli, ripeteva la frase: “Siamo intelligenti, lavoriamo più degli altri, ci meritiamo tutto questo denaro”, che è il modo dei tossicodipendenti di razionalizzare il bisogno di droga. Quando ha capito che stava sempre peggio, ha mollato Wall Street. Con attacchi di panico, bisogno di comprare i biglietti della lotteria, voglia di controllare i fondi dei suoi ex collaboratori per vedere quanto hanno ottenuto, terrore di non avere abbastanza soldi per vivere. “Abbastanza” a Wall Street non esiste.

Annalena Benini
Fonte: wwwì.ilfoglio.it
2.01.2014


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