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Le case in America non si vendono più


Tao
 Tao
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Usa, crollano le vendite di nuove abitazioni: -8,5% in un solo mese. I prezzi continuano a diminuire, mentre non si riesce a vedere il fondo della crisi. E le armi della politica monetaria sembrano essere spuntate

La crisi immobiliare, causa di tutti gli squilibri finanziari che affliggono gli Usa e il mondo, non accenna a risolversi: è brusco il calo a marzo delle vendite di nuove case, mentre gli immobili rimangono invenduti sempre più a lungo per poi essere ceduti a prezzi sempre più bassi. Occhi puntati intanto sulla Federal Reserve, che la settimana prossima dovrebbe decidere un nuovo taglio dei tassi, forse l’ultimo di una lunga serie.

La vendita di nuove abitazioni in America non è mai stata così bassa dall’ottobre 1991, ben diciassette anni fa. Il dato destagionalizzato delle compravendite immobiliari è stato di 526 mila a marzo, l’8,5% in meno rispetto al mese precedente e il 36,6% in meno rispetto a marzo 2007. Addirittura la metà in meno rispetto al momento di massima espansione della bolla immobiliare, all’inizio del 2006. Cala anche il prezzo medio di vendita: 227 mila dollari contro i 262 mila di un anno fa – oltre il 13% in meno, il calo più consistente dal luglio 1970 – mentre le case rimangono ora invendute per 11 mesi in media. Per un analista della banca Jp Morgan Chase, questi sono dati che cancellano la speranza di una stabilizzazione del mercato immobiliare. La fine del tunnel sembra infatti essere ben lontana: anche tra i costruttori di case si vede il cielo plumbeo, almeno fino al 2009. Per gli economisti interpellati dall’associazione nazionale dei costruttori, non c’è dubbio: i prezzi crescenti continueranno a danneggiare la spesa per consumi, mentre la crisi del credito rende sempre più difficile la concessione di mutui. Tale mix rende impossibile una ripresa del mercato immobiliare.

Altri dati negativi provengono intanto dall’economia reale. Gli ordinativi di beni durevoli fatti dal settore manifatturiero sono diminuiti – per il terzo mese consecutivo – dello 0,3% in marzo. Fortissima la flessione del settore dei trasporti, nel quale gli ordini sono calati del 4,6%.
Sembra quindi che proprio non siano finiti i compiti delle autorità di politica monetaria americane, chiamate a risolvere sia la crisi del credito che a impedire all’economia di entrare in recessione. Tra martedì e mercoledì prossimo si riunirà il Fomc, ovvero l’organo della Federal Reserve (la banca centrale americana) che ha il potere di prendere decisione sui tassi di interesse. I mercati si attendono certamente un taglio, anche se si moltiplicano le opinioni contrarie a una politica monetaria così aggressiva. Se infatti da una parte i tassi di interesse di mercato (il Libor su tutti) si dimostrano sempre più insensibili alle misure della Fed, fluttuando per conto proprio a causa delle difficoltà bancarie, dall’altra i bassi tassi di interesse stanno spingendo la speculazione sulle materie prime e sui beni alimentari a livelli impensabili. Il presidente Ben Bernanke si trova quindi a un bivio, con la sola certezza che entrambe le strade portano a un terreno impervio. Continuare a ridurre i tassi di interesse al di sotto del 2%, tentando di scongiurare la dolorosa recessione, costringendo l’America e il mondo all’inflazione, oppure rassegnarsi alla recessione e raffreddare così la corsa dei prezzi mondiali?

Carlo Leone Del Bello
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Aprile-2008/art114.html
25.04.08


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