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Le emissioni Usa continueranno a crescere


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Qualcuno li fermi! Forse ha rivoluzionato le coscienze ma non certi governi l'oltremodo inquietante rapporto (il 4° dal 1992: Climate Change 2007) sui cambiamenti climatici realizzato dall'Intergovernamental Panel on Climate Change-Ipcc e presentato al mondo da Parigi agli inizi di febbraio - anche se l'insieme sarà completato entro il prossimo autunno. Gli Usa registrano le emissioni pro capite di gas climalteranti più elevate al mondo: circa 20 tonnellate di Co2 equivalente pro capite. Il governo di quel paese non ha accettato il modestissimo protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni. E l'amministrazione Bush stima tranquillamente che le emissioni Usa non solo non si ridurranno ma cresceranno fra il 2012 e il 2022 dell'11%; un po' meno - ma proprio poco meno - rispetto al decennio scorso, quando l'aumento era stato dell'11,6% (Environmental Protection Agency).
Il rapporto, United States Climate Action Report, si arrampica sugli specchi per dire che le proiezioni mostrano dei passi avanti verso l'obiettivo fissato da George W. Bush in un discorso del 2002: una crescita delle emissioni inferiore alla crescita dell'economia; insomma una crescita a minore intensità di gas serra, senza però imporre alcun limite vincolante. In quell'anno Bush liquidava il precedente rapporto dell'Ipcc - molto meno allarmante di quest'ultimo- come «fatto da burocrati». Solo nel suo discorso sullo stato dell'Unione del gennaio 2007 per la prima volta ha pronunciato la frase «cambiamento climatico globale» ammettendo che è «una grande sfida».

Coro di biasimo rispetto al rapporto Usa, in stand-by per quasi due anni (molti funzionari del programma governativo di ricerca sul clima si sono nel frattempo dimessi senza essere sostituiti). La bozza è stata ottenuta in anteprima dal New York Times (ripreso da www.commondreams.org) al quale David W. Conover, ex funzionario dell'amministrazione e dal febbraio 2006 consigliere della National Commission on Energy Policy (un gruppo di ricerca apartitico), ha dichiarato: «Da governatore e da candidato alla presidenza il signor Bush si era dichiarato a favore di una limitazione per legge delle emissioni; e quando nel 2002, da presidente, egli annunciò il suo obiettivo di riduzioni volontarie, disse però che esso sarebbe stato rivisto alla luce degli sviluppi scientifici. Ora la scienza chiede un programma vincolante».

Il rapporto dà conto dei danni che il caos climatico porterà agli stessi Stati Uniti: rischi per l'approvvigionamento idrico, le coste e gli ecosistemi, con la siccità come minaccia persistente. E giunge in un momento delicato: i sostenitori del controllo delle emissioni guadagnano terreno al Congresso; c'è fermento perfino a Hollywood (con lampanti contraddizioini se si guarda agli stili di vita delle miliardarie star); vince l'Academy Award il documentario An Inconvenient Truth di Al Gore (che forse non ha più azioni nella famigerata compagnia petrolifera Oxy); 5 governatori della costa ovest hanno annunciato piani di riduzione e di commercio (pur discutibile) delle emissioni.

Il Competitive Enterprise Institute, istituto finanziato da un gruppo di industriali, ha invece detto che Bush è saggio nel riconoscere l'inevitabilità della crescita delle emissioni, «in un paese in cui crescono l'economia e la popolazione»; e che «dal 1990, le emissioni sono salite solo di un punto ogni tre punti di crescita economica; una performance migliore di quella di paesi firmatari di Kyoto, ad esempio l'Unione Europea» (la quale però sembra essere parzialmente rinsavita, almeno negli obiettivi dichiarati per il 2020). Per gli ambientalisti Usa il rapporto è un avallo al «business as usual». Il quale però una verità la dice: «I cambiamenti climatici globali continueranno, malgrado la mitigazione delle emissioni»; per concludere però con nonchalance: «La risposta essenziale verrà dall'adattamento». Quando si dice: basta sapersi adattare.

Marinella Correggia
Fonte: www.ilmanifesto.it
7.03.07


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