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Le oil corporation stanno devastando il Delta del Niger


Tao
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La Shell sotto accusa per il modus operandi nella regione

Da un rapporto redatto dalla ong londinese Platform e da altri gruppi della società civile britannica e olandese, emergono preoccupanti rivelazioni nei confronti dell'operato della multinazionale petrolifera Shell nel Delta del Niger, l'area dove sono concentrate la maggior parte delle riserve di greggio della Nigeria. Nelle 41 pagine dello studio, dal titolo "Counting The Cost", affiora chiara la responsabilità della corporation nell'aver prezzolato milizie armate colpevoli di abusi dei diritti umani in numerose località del Delta del Niger, come dimostra l'evidenza di almeno un pagamento di 159mila dollari a una milizia armata avvenuto nel corso del 2010. Allo stesso modo è provato che violenze, tra cui vanno annoverati episodi di tortura e omicidi, hanno avuto luogo fra il 2000 e il 2010 e che, almeno in un caso, hanno portato alla distruzione di un villaggio e all'uccisione di 60 persone. Il villaggio in questione è quello di Rumuekpe, situato in una posizione strategica nello stato di Rivers, per la quale passa una delle principali pipeline della Shell, che da sola pompa il 10 per cento del petrolio estratto quotidianamente in Nigeria dalla compagnia.

Secondo Platform, la Shell continua ad affidarsi a forze governative o paramilitari che non fanno altro che esacerbare i conflitti nella regione, tra le più ricche di petrolio al mondo ma al contempo afflitta da una povertà endemica. Nel rapporto è anche riportata la testimonianza diretta di una manager del colosso petrolifero anglo-olandese che spiega come i programmi di sviluppo con le comunità locali fossero inefficaci, «in quanto il denaro non andava nelle giuste mani».

Nel Delta del Niger sono attive da decenni le principali "oil corporation" del mondo, tra cui anche l'Eni, mentre si moltiplicano ormai in maniera costante le proteste delle popolazioni locali che lamentano pesanti impatti socio-ambientali legati all'estrazione del prezioso oro nero, in particolare a causa delle fuoriuscite di greggio da oleodotti ormai obsoleti e del gas flaring (la pratica di bruciare sul posto i gas estratti insieme al petrolio). La settimana scorsa, riprendendo il rapporto di Platform, anche il Guardian ha lanciato il suo duro j'accuse contro la Shell. Secondo l'autorevole quotidiano britannico, che sul suo sito ha pubblicato due articoli dedicati ai nuovi pesanti sospetti che vanno addensandosi sul colosso petrolifero, emergerebbero inquietanti particolari sull'attività della Shell nel Delta, riguardanti il suo ruolo nelle violenze interetniche e nelle pesanti violazioni dei diritti umani. Secondo quanto rivelato dal giornale londinese, ci sarebbero documenti in grado di provare il rapporto controverso tra il vertice della corporation e gli apparati di sicurezza nigeriani. Si tratta di fax, testimonianze, ricevute, memo raccolti per un processo svoltosi davanti al tribunale di New York nel 2009, anno nel quale la compagnia accettò di pagare un indennizzo di 15 milioni di dollari.

Queste carte che non sono mai state portate allo scoperto ma documentano il ruolo della compagnia petrolifera nella repressione delle proteste pacifiche degli Ogoni, la popolazione che da anni denuncia la devastazione dell'ecosistema del Delta ad opera delle multinazionali del petrolio. Inoltre ci sarebbe la prova delle responsabilità della corporation anglo-olandese dietro una serie di raid organizzati contro villaggi Ogoni.Durante tutti gli anni Novanta, Human Rights Watch e Amnesty International hanno più volte denunciato pesanti intimidazioni e spaventose violenze subite da questa tribù. Del resto è ormai di pubblico dominio che la Shell ha fatto pressioni perché nel 1995 Ken-Saro Wiwa, scrittore e attivista per la difesa dei diritti degli Ogoni, e altri leader venissero condannati a morte. Inoltre collaborò con esercito e reparti antisommossa per neutralizzare le manifestazioni e gli attivisti più scomodi. La compagnia ha sempre respinto queste accuse ma ha ammesso di aver pagato, in un paio di occasioni, le forze governative schierate a protezione degli impianti.
Anche il programma per l'ambiente delle Nazioni Unite mette sotto accusa l'operato della Shell. L'agenzia specializzata dell'Onu, lo scorso agosto, ha reso pubblico uno studio in cui si esaminano gli effetti delle attività estrattive delle multinazionali nell'Ogoniland, una delle regioni del Delta del Niger. Stando alle conclusioni del rapporto, in cinquant'anni le conseguenze per l'ambiente sono state di così vasta portata da superare anche le più fosche previsioni. Le colpe, secondo l'Unep, sono da addebitare quasi esclusivamente alla Shell e al suo scellerato modus operandi.

Nel rapporto si fa presente che per ripristinare quelle terre, falde idriche, fiumi, acquitrini e mangrovie servirà la più lunga e difficile bonifica ambientale mai intrapresa al mondo, la quale potrebbe richiedere 25 o 30 anni. Sempre che venga intrapresa, l'Unep suggerisce di creare una Authority per la bonifica dell'Ogoniland, e di metterle a disposizione un fondo con capitale iniziale di un miliardo di dollari fornito dall'industria petrolifera, al fine di coprire così almeno i primi 5 anni di lavori. Un contributo che gruppi e associazioni nigeriane come Environmental Rights Action reputano addirittura inadeguato, soprattutto alla luce degli impatti rivelati dal rapporto stesso. Senza dimenticare che la ricchezza del sottosuolo del Delta del Niger non ha mai portato a un miglioramento delle condizioni economiche della maggioranza della popolazione che vive in questa regione. Le grandi compagnie si sono troppo spesso sostituite allo Stato fornendo i servizi essenziali che le istituzioni non riescono ad assicurare, con un unico intento: quello di guadagnarsi una licenza a operare nei modi preferiti.

Marco Cochi
Fonte: http://www.secoloditalia.it
12.10.2011


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