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L'Europa è fatta. Ma che Europa...


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Finite le scuse è arrivata la firma. Controvoglia e a malincuore, ma è arrivata. Ieri, passate poche ore dalla sentenza positiva della Corte costituzionale ceca sul Trattato di Lisbona, il Presidente Vaclav Klaus ha messo la sua firma alla nuova architettura istituzionale dell'Europa unita. «Mi aspettavo la sentenza della Corte costituzionale - ha detto Klaus - e la rispetto, ma di principio non sono d'accordo né con il suo contenuto, né con la motivazione, né con la forma».

Sono passati quasi otto anni da quando, con molto entusiasmo, Valery Giscard D'Estaing iniziava i lavori della Convenzione sul futuro dell'Europa. Poi è venuta la Costituzione, le batoste rimediate nei referendum di Francia e Olanda, il lavoro di ricalibratura e convergenza che ha portato a Lisbona, la bocciatura in Irlanda, l'approvazione in Irlanda e i capricci di Klaus. Una lunga via crucis in cui la Ue ha spesso rimesso la faccia, senza però perderla del tutto. E ora, con la firma di Klaus, è proprio di facce che va in cerca, quella del Presidente della Ue, due anni e mezzo rinnovabili, e di Alto rappresentante per la politica estera, cinque anni. Il Trattato dovrebbe entrare in vigore il primo dicembre, c'è fretta a Bruxelles, di chiudere la partita, mettersi definitivamente alle spalle anni di problemi e girare pagina.
«Sono molto soddisfatto - ha affermato in un comunicato il Presidente di turno della Ue, lo svedese Fredrik Reinfeldt - la firma di Klaus mette fine a un periodo in cui ci si è concentrati troppo a lungo sulla questione istituzionale». Adesso, dice sempre Reinfeldt, la via è aperta per «un'Unione più democratica, trasparente ed efficiente». Anche José Manuel Durao Barroso sprizza soddisfazione e guarda avanti, pensa alla partita delle nomine, anche perché solo dopo aver sistemato le due più alte cariche, potrà prendere forma la sua nuova Commissione (le audizioni dei commissari al Parlamento Ue sono previste dal 25 novembre).

La firma di Klaus ha l'effetto di accelerare tutto. Ieri il nome del premier belga Herman Van Rompuy, popolare, veniva dato per quasi sicuro Presidente della Ue, in una dinamica simile a quella che cinque anni fa aveva portato proprio Barroso in cima alla Commissione. In sostanza si fanno fuori i candidati forti e poi ne emerge uno di medio spessore che fa contenti tutti. Tutti a parte i belgi, alle prese pure loro da anni di sabbie mobili istituzionali. «Sarebbe una buona notizia per l'Europa ma una pessima notizia per il Belgio», il commento della vice premier, la socialista Laurette Onkelinx. Si vedrà, intanto il nome di Van Rompuy è quello su cui si scommette a Bruxelles, versante comunitario.

Altro nome che va per la maggiore, ma per il ministro degli esteri, è quello del britannico David Miliband. Lui ripete che non ambisce alla poltrona, una posizione che si deve al fatto che formalmente Toni Blair sarebbe ancora in corsa per la Presidenza della Ue, ma che viene ricondotta anche ad un suo interessamento per la leadership dei laburisti. L'ipotesi per nulla remota di passare 4 o 8 anni a guidare l'opposizione in patria, potrebbero convincerlo della bontà di una vita europea, a capo del nuovo corpo diplomatico comunitario e come vicepresidente della Commissione. 

Solo una caduta per strada di Miliband, sembra poter aprire la via del successo, in una volata tirata, a Massimo D'Alema, l'uomo lanciato, peraltro con scarsa convinzione, da Berlusconi. D'Alema gode di credito tra i socialisti, lo ha ripetuto anche ieri Pierluigi Bersani uscendo da un incontro con Martin Schulz a Bruxelles, ma rimane una «candidatura complessa», perché non basta quello, ci vuole dietro un governo. «Parto dal presupposto - ha affermato Bersani - che è una candidatura che si muove e che se si consolidasse, qualsiasi governo sarebbe nelle condizioni di sostenerla. Secondo lo stile europeo, il governo italiano non farebbe mancare il suo sostegno». Di questo sostegno dubitano ancora molti in Europa, a iniziare dai socialisti spagnoli, anche perché puntando su D'Alema, Berlusconi dovrebbe far fuori Tajani, un fedelissimo, e dire addio alle mire di Tremonti e di Draghi, rispettivamente per la Presidenza dell'eurogruppo e della Bce. Il tutto per avere un uomo non suo in Europa, un uomo, e questo è un problema tutto di D'Alema, con dei rapporti non brillanti con Israele e, cosa ben più pesante, con Washington. Comunque vada a finire la partita, Bersani non accetta scambi: «I rapporti con il governo non cambiano», assicura da Bruxelles, «questa è una partita europea». Staremo a vedere, sia come va la partita sia come vanno i rapporti. 8 ANNI Tanto è il tempo che è stato necessario per arrivare al Trattato di Lisbona e condurre in porto il progetto di riforma delle istituzioni europee necessarie ad assicurare il funzionamento dell'Unione a 27

Alberto D'Argenzio
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/11/articolo/1783/
4.11.2009


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