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Nel racconto di Salem il dramma della Striscia


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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A decine di migliaia hanno lasciato le case dopo gli avvertimenti pre-raid.

GERUSALEMME - NON c’è stato tempo né lo spazio per prendere né qualche libro di scuola né un ricordo, un oggetto caro, la foto del matrimonio o quella vecchia del nonno in uniforme egiziana, quando Gaza apparteneva a un altro mondo. Si sono trovati in strada in pochi minuti Salem Abu Halima con la moglie Farida e i due bambini. Il vecchio somarello bianco attaccato al carretto, hanno percorso i dieci chilometri per arrivare alla “Gaza Beach Primary School” dell’Onu, alla periferia della città, uniti nel destino alle altre decine di migliaia che per tutta la mattinata hanno abbandonato Beit Lahiya e Beit Hanun, le due cittadine nel nord della Striscia dove — annunciati da volantini e telefonate — i caccia F-16 israeliani hanno cominciato a bombardare a raso, con metodo, per distruggere le basi di lancio dei missili che anche ieri sono arrivati numerosi nei cieli israeliani. Tutti intercettati dall’Iron Dome, il “totem” della Difesa aerea israeliana.

«Non c’era altra scelta, abbiamo dovuto obbedire all’ordine degli israeliani di sgomberare tutta la zona. Abbiamo due figli da salvare, il resto è andato perduto. Già non eravamo niente per il mondo e adesso è come essere nessuno», racconta ancora Salem. Le strade di Beit Lahiya, settantamila abitanti, si sono svuotate dall’alba di ieri dopo una notte di violentissimi bombardamenti. Ma soprattutto dopo il lancio dei volantini che davano agli abitanti tempo fino a mezzogiorno per abbandonare l’abitato. «Ci siamo mossi all’alba, tanto con quei bombardamenti nessuno poteva dormire, uno ogni dieci minuti: è stato terrificante », dice con un filo di voce Farid che in due viaggi con la moto è riuscito a portare i sei membri della sua famiglia fino a questa scuola dell’Unrwa, dove spera non si abbatta un bombardamento. Altre migliaia in fuga hanno cercato ospitalità da parenti e amici, ma per molti la bandiera blu dell’Onu sembra il rifugio con migliori garanzie. L’Unrwa ha deciso di aprire per ora dieci — delle oltre duecento scuole che gestisce nella Striscia — per dare un rifugio a questa prima ondata di arrivi.
Oltre ventimila palestinesi in fuga da Beit Lahiya sono arrivati ieri nelle scuole dell’Onu in carretti trainati da asini o cavalli pieni di bambini, bagagli e materassi, c’è chi è arrivato su un taxi sgangherato, in macchina, in moto. I meno fortunati a piedi, trascinando i resti di una vita dentro
un trolley malridotto.

Anche Mohammed Sultan ha caricato tutto quel che ha potuto sul suo carretto trainato da un cavallo, la moglie, i suoi cinque figli aggrappati alle borse a qualche masserizia messa insieme in tutta fretta. Non c’era più posto per lui e così ha camminato per chilometri assieme ad altri familiari adulti in direzione di «una scuola con la bandiera blu». Samari al-Atar viveva nel quartiere di Atatra, un’altra delle zone “calde” che è stata duramente bombardata ieri dall’aviazione israeliana. «Abbiamo cercato riparo in casa prima durante la notte, i muri tremavano e i bambini piangevano di paura. Luda, la più piccola tremava e aveva gli occhi sbarrati. È stato come scegliere tra la vita e la morte», racconta in lacrime, «e poi mentre stavamo scappando hanno ricominciato a sparare tutto intorno, non abbiamo potuto portare nulla con noi, i nostri figli sono a piedi nudi ». Nadia, la moglie descrive il terrore della fuga alle prime luci dell’alba con gli aerei israeliani che volavano in cerchio sopra le loro teste. «La gente urlava e c’erano vecchi che non ce la facevano a camminare da soli, i più giovani li aiutavano. Non c’è l’elettricità e le strade erano buie come la pece ».

I banchi sono stati messi lungo il corridoio per sgombrare le aule e dare un tetto a tutti, ma è impossibile. Giardini e palestra sono invasi da un tappeto di materassi e coperte, una tenda tirata su con un lenzuolo e quattro paletti. Altre scuole verranno aperte dell’Unrwa perché il flusso degli sfollati non si ferma. All’interno del complesso scolastico i bambini sfollati disegnano su una lavagna con il gesso rosa e giallo: elicotteri israeliani e carri armati che sparano, i razzi palestinesi che partono. Suha Zyed ha ancora tutte le sue borse chiuse, come se dovesse scappare ancora d’improvviso. «Non è la prima volta che bombardano anche le scuole, e anche gli ospedali sono stati colpiti. Di sicuro a Gaza non c’è niente. Che ne sarà di noi adesso? Abbiamo perso tutto: il nostro futuro e anche il futuro dei nostri figli».

Fabio Scuto
Fonte: www.repubblca.it
14.07.2014


Citazione
eresiarca
Prominent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 761
 

Repubblica deve solo starsene zitta ed evitare di fingere di piangere sui "poveri palestinesi". Chi è l'editore di questo giornale "indipendente"?


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helios
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 16537
 

i caccia F-16 israeliani hanno cominciato a bombardare a raso, con metodo, per distruggere le basi di lancio dei missili che anche ieri sono arrivati numerosi nei cieli israeliani. Tutti intercettati dall’Iron Dome, il “totem” della Difesa aerea israeliana.

palla colossale!!!
l'IronDome intercetta circa un terzo dei razzi sparati da Gaza

perchè l'IronDome non ferma i missili di Gaza
http://mytech.panorama.it/israele-iron-dome-cupola-ferro

Come detto, Iron Dome può solo seguire quei missili indirizzati per cadere in luoghi abitati e capaci di causare danni a persone, abitazioni e strutture commerciali. Quando da Gaza parte un razzo diretto verso una zona lontana diversi chilometri dai centri monitorati, Iron Dome non può far nulla per intercettarlo e tanto meno detonare la testata. Sarebbe quindi in corso un’opera di “avvicinamento” dei razzi di Gaza su Israele, procedendo per tappe su un’ipotetica scacchiera territoriale. Così anche se i missili partiti dalla striscia non dovessero raggiungere le città bersaglio, le forze palestinesi si garantirebbero comunque una buona percentuale di bombe ancora attive, cadute in territorio nemico.


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