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Obama "il buono"?


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Darío Machado Rodríguez
 
Come molti, ho seguito la visita di Barack Obama nel nostro paese, sperimentando sentimenti contrastanti: da una parte il sano orgoglio patriottico e rivoluzionario di vedere un presidente USA rettificare la politica verso Cuba e ripetere sul nostro suolo che bisogna porre fine al blocco, ciò che conferma il rispetto per la nostra sovranità ed indipendenza, quelli che abbiamo guadagnato noi cubani con il nostro sacrificio, il nostro sudore, il nostro sangue, la nostra storia e, dall'altro, il pericolo che significa che ci siano quelli che pensano che con questi, per ora tiepidi cambiamenti, è scomparsa la contraddizione tra gli interessi dell'imperialismo USA e quelli della nazione cubana. Ma solo oggi, dopo aver ascoltato il suo discorso, questo lunedi mattina, ho deciso di scrivere queste righe, perché -come ha avvertito più di mezzo secolo fa Fidel- d'ora in poi tutto sarà più difficile.

Chi potrebbe mettere in dubbio l'enorme complessità della società USA, dove hanno poco valore le analisi in bianco e nero?

Una storia turbolenta in cui si mescolano le battaglie contro il colonialismo inglese per l'indipendenza e attacchi genocidi contro la popolazione indigena, un impetuoso sviluppo industriale e una crudele guerra intestina che uccise più di 600000 esseri umani, una creatività de inventiva paradigmatica nella scienza e tecnologia de un bellicismo espansionista di cui Messico e Cuba -per prendere solo due esempi della nostra regione- sono stati vittime vicine, una società con straordinari manifestazioni culturali nella musica, letteratura e cinema insieme ad un messianismo che non onora questi valori, una cittadinanza laboriosa e intraprendente su cui, però, riposa pesantemente una macchina statale imperialista, il paese più ricco ed il più indebitato del mondo, quello che più reclama, ad altri, i diritti umani e che meno li rispetta come evidenziato da più di mezzo secolo di blocco economico contro Cuba, una società in cui la violenza serve come filo conduttore per seguire la sua storia.

In breve, un paese pieno di contraddizioni, tuttavia sarebbe ingenuo pensare che gli attuali approcci verso Cuba sono semplicemente il risultato dei criteri, volontà e abilità di Obama e non parte integrante degli interessi del potere reale USA: quelli del grande capitale.

Se Barack Hussein Obama risultasse non funzionale ai poteri di fatto che governano lo Stato nordamericano difficilmente sarebbe stato eletto presidente nel 2008, né rieletto nel 2011, né avrebbe iniziato il cambiamento di politica verso Cuba.

È lo stesso Obama che appena due mesi dopo aver ricevuto il regalo del premio Nobel per la Pace inviò decine di migliaia di soldati in Afghanistan, che ha autorizzato centinaia di attacchi con droni che hanno ucciso centinaia di civili in diversi paesi del mondo, che ha partecipato al complotto che ha distrutto la Libia, che ha armato la cosiddetta opposizione siriana rafforzando il sedicente Stato islamico, che ha approvato la fornitura di armi a Kiev dopo il colpo di stato, il presidente che è stato dietro la "primavera araba" con conseguenze fatali in quella zona del mondo. E' lo stesso Obama; come direbbe il poeta: "Non meravigliatevi di nulla".

In effetti, non ci sono due Obama, uno "buono" e "un altro cattivo". Non siamo di fronte ad una personalità bipolare, ma un unico, il politico di carriera che al di là delle sue caratteristiche e storia personale, dei suoi modi domestici di fare politica e anche delle sue inclinazioni come individuo e del suo probabile obiettivo di lasciare come eredità l'essere il presidente USA che ha cambiato la politica verso Cuba, è sempre stato ed è funzionale agli interessi strategici dei poteri di fatto che regolano lo Stato nordamericano.

È, questo sì, un politico a cui bisogna riconoscergli carisma, dominio della scena, senso di opportunità mediatica, capacità comunicativa; probabilmente il migliore e più capace per mascherare, oggi, gli obiettivi strategici dell'imperialismo USA verso Cuba e in America Latina e nei Caraibi.

In questa visita al nostro paese, il presidente Obama, non ha perso l'opportunità per rivendicare la fine del blocco, ciò che negli ultimi tempi sono parole di qualcuno che è pronto a scomparire dalla scena di governo USA, frasi che ora può pronunciare, delle quali può ora essere responsabile poiché non aspira, né potrebbe aspirare ad un nuovo mandato presidenziale e perchè le formalità del sistema politico del paese del nord gli permettono di presentarsi, olimpicamente, come qualcuno che non è responsabile del blocco, contrario al blocco, sostenitore di una nuova politica, quando, per la maggior parte del suo agire presidenziale, l'ha approvato con la sua inerzia.

Ma torniamo al discorso già noto, non può essere oggetto di un breve articolo un'analisi approfondita di questo intervento [1], quindi sto solo andando a mettere in evidenza alcuni aspetti che si distinguono a prima vista, dove, come hanno espresso vari analisti, c'è molto su quello che non è stato detto ed è poco ciò che si concede, anche se l'adorna bene. E' lo stesso Obama, che potrebbe fare molto di più coi suoi poteri presidenziali e ancora non l'ha fatto.

E di ciò si tratta, di leggere la scrittura piccola delle sue dichiarazioni, qualcosa di importante, soprattutto per i giovani le cui esperienze di vita con il vicino del nord non hanno avuto sabotaggi criminali, gli episodi di Giron, la crisi di ottobre, le bande controrivoluzionarie, gli attentati contro i nostri leader, le aggressioni biologiche, e un lungo ecc, e a chi, gli effetti del blocco gli sono arrivati ammortizzati dalla protezione della società e delle famiglie.

Non c'è dubbio: Obama è il volto dolce e seducente dello stesso pericolo. Non ha chiesto scusa per i crimini contro Cuba, non ha menzionato la Base Navale di Guantanamo, non ha parlato della Legge di Aggiustamento Cubano, non ha detto perché non fa di più contro il blocco potendolo farlo, e molte altre sorprendenti omissioni.

Mentre è stato evidente che lui non vuole collaborare con Cuba, ma con quella parte della nostra società a cui comporta migliori condizioni per gli interessi strategici che rappresenta, lui ha voluto sedurre i giovani, incoraggiare in questi l'egoismo e il desiderio di miglioramento puramente individuale, presentando la crescita capitalistica come la panacea universale e non la causa della crisi e del pericolo dell'esaurimento della natura e la scomparsa della specie umana, lui ha voluto contribuire a frammentare la società cubana al fine di recuperare l'egemonia USA qui e nella nostra regione, nel suo discorso egli ha infilato il tono presuntuoso di colui che "ci dà il diritto -che nessuno ci deve dare- di risolvere i nostri propri problemi". Ci tocca, ora, spiegare e dimostrare ciò.

La visita di Obama è una vittoria del popolo cubano e di tutti i popoli dell'America Latina e dei Caraibi, per ciò che comporta che gli USA sono stati costretti a riconoscere che si sono schiantati contro la nostra dignità e ora scelgono di fare un rodeo truccato. Quindi, bisogna ricordare quelle parole di Giulio Fucik, alla fine della sua storica "Relazione ai piedi della forca" e "stare attenti".

Obama ha concluso la sua visita a Cuba, è stato - insieme alla sua bella famiglia verso la quale i cubani abbiamo sentito naturale simpatia- ricevuto, trattato e gentilmente salutato da un popolo e dalle autorità, che fanno mostra della loro ospitalità, rispetto e volontà di dialogo senza imposizioni, ma la cui maggioranza è ben consapevole del terreno che calpestano e nella quale bolle lo spirito sovrano, martiano e fidelista, quello che esultò nello stadio latinoamericano: "Raul, Raul, Raul ...".

[1] In un libro
in via di pubblicazione della Casa editrice 'Editorial de la Mujer' dell' Avana dedico un intero capitolo all'analisi del discorso che offrì il 17 dicembre 2014 alla Casa Bianca, e del qualle ha ripreso parti in questo.


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