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PESSIMISMO STELLESTRISCE & la crisi della middle class


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PESSIMISMO STELLESTRISCE 11/4/08
Un americano su quattro pensa che la sua situazione economica non sia migliorata negli ultimi cinque anni e il 31 per cento e’ convinto addirittura che la sua situazione finanziaria sia peggiorata

Dalla corrispondente

Gianna Pontecorboli

Venerdi' 11 Aprile 2008

New York - Dal 1964, gli americani non erano tanto pessimisti sul loro futuro immediato. Uno su quattro pensa che la sua situazione economica non sia migliorata negli ultimi cinque anni e il 31 per cento e’ convinto addirittura che la sua situazione finanziaria sia peggiorata.
Quando si pensa all’America dell’american dream, c’e’ di solito un’immagine impressa nella memoria di tutti, propagandata da Hollywood e dalle soap opera televisive, una bella casetta nei suburbi con l’immancabile grill per cuocere le hamburger in giardino, una macchina ancora scintillante, comprata a rate senza badare troppo ai consumi di benzina, i figli al college, spesso i primi in famiglia. Si e’ trattato, per decenni, di un’immagine certo un po’ rosata, ma confermata anche da tanti dati concreti, un reddito per la classe media che e’ raddoppiato dal 1940 al 1970 e cresciuto nei successivi tre decenni del venticinque per cento.
Adesso, l’immagine e’ cambiata, per la prima volta in quasi settant’anni. Nei sobborghi, perfino quelli costruiti da poco per i nuovi ricchi attorno a Washington, abbondano i cartelli ‘’for sale’’ e a vendere sono le banche titolari dei mutui non pagati. Le macchine fuori dal garage sono sempre due, ma cominciano a essere vecchiotte e comunque sono piu’ piccole, i figli al college sono diventati un pesante debito con la banca. In parole concrete, secondo i dati dell’ufficio del censimento aggiustati per l’inflazione, una famiglia media americana poteva contare , nel 2000, su un reddito di 61.000. Nel 2007, il reddito della stessa famiglia e’ addirittura sceso a 60.500.
‘’Ci sono state nel passato espansioni economiche che non hanno toccato le fasce piu’ basse del reddito’’ ha spiegato recentemente Lawrence Katz, un economista di Harvard,’’ma non c’e mai stata prima un’espansione che non abbia toccato i salari dei ceti medi’’.
A Washington, nessuno piu’ mette in dubbio in queste settimane che l’America sia ormai in recessione dopo anni di espansione continua. Tutt’al piu’ la discussione verte sulle previsioni sulla durata della fase recessiva, sei mesi dice qualcuno, molto piu’ lunga e dolorosa sostengono altri. Qualcuno, addirittura, avanza lo spettro della grande depressione degli anni trenta. In un tentativo di umorismo nero, qualche commentatore ha addirittuta coniato i nuovi termini dell’America del 2008. La ‘’Narcicession’’, per esempio, e’ il fenomeno dei consumatori che pensano che i principi economici si applichino ad altri, in altri paesi e in altre ere, ma non a loro. L’’’Homeblower’’, invece, e’ il consumatore che pensa di finanziare una casa con un mutuo che si mangia il sessanta per cento del suo reddito e in qualche modo farcela.
Ben piu’ serio, il Pew Research Center, uno dei piu’ affermati istituti di ricerca americani e’ andato a intervistare 2413 adulti per un devastante ritratto di una classe media che ha visto evaporare negli ultimi anni tanti dei suoi sogni. Negli stati Uniti appartiene a questo ceto circa il 53 per cento della popolazione, quella che guadagna da 45.000 a centomila dollari all’anno. In questa fascia, il pessimismo a breve termine e’ quasi totale, otto intervistati su dieci afferma che e’ piu’ difficile oggi mantenere il suo tenore di vita di quanto non lo fosse cinque anni fa. Nel 1986, a un’analoga domanda, avevano risposto affermativamente il 65 per cento degli intervistati. E se due su cinque dei rappresentanti della classe media pensano ancora di poter vivere confortevolmente, due su cinque intaccano le somme destinate al risparmio e uno su cinque decisamente non riesce a pagare i suoi conti. Dopo un declino che e’ in realta’ cominciato gia’ negli anni settanta, anche se e’ diventato ora piu’ drammatico, i nemici sono quelli di sempre, l’inflazione soprattutto, e per i redditi piu’ bassi la perdita del posto di lavoro.
Nella casetta di legno ancora in mano ai suoi occupanti, comunque, il vecchio sogno non e’ ancora scomparso, malgardo il concorde giudizio negativo sull’andamento a breve termine dell’economia. ‘’Molti americani continuano a vedere un lungo arco di progresso’’ ha spiegato il rapporto del Pew ,’’la maggior parte si aspettano di tirare la cinghia , o peggio, nel prossimo anno, ma la maggioranza e’ convinta anche che la propria qualita’ di vita sara’ significativamente migliore tra cinque anni. E che la qualita’ della vita dei figli sara’ migliore della loro’’. Anche se, per adesso, non ci sono piu’ i soldi neppure per comprare i sempre piu’ cari prodotti cinesi nella vicina ‘’mall’’.

Fonte: http://www.lettera22.it/showart.php?id=8876&rubrica=12
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Povera America: la crisi della middle class

Un americano a Parigi una volta ballava, ma di recente i suoi pensieri si sono fatti più cupi: “Qui si parla praticamente solo di quanto sia diventato difficile vivere in euro essendo pagati in dollari” racconta Adrian Leeds, direttrice della newsletter più letta dai circa 100 mila suoi compatrioti che vivono in Francia. Dopo 11 anni a Parigi, di recente una sua amica si è unita al crescente contingente di americani costretti al reimpatrio per ragioni di forza maggiore: nelle pasticcerie del Marais le éclair costano l’equivalente di 7 dollari.

Del gruppo degli emigrati di ritorno fa parte Deb Lyons, che ha convinto il marito manager e i tre figli a tornare a New York dopo sei anni a Londra: “Da quando ci vogliono quasi 2 dollari per una sterlina, la situazione è diventata quasi comica. L’altro giorno abbiamo speso 150 dollari per cinque pizze e altrettante Coca-Cola. Un hamburger con patatine costa 9 dollari a testa. Se vogliamo prendere un taxi per andare a teatro, e non abitiamo lontano, spendiamo 80 dollari per l’andata e il ritorno. E anche in metrò si risparmia poco: sono 8 dollari a testa, a tratta”.
Eccoli i nuovi poveri dell’economia globale, gli americani, costretti dalla debolezza del dollaro a stare a casa mentre le loro città sono invase da orde di europei e giapponesi in frenesia da shopping. Senza i 122 miliardi riversati l’anno passato da 57 milioni di turisti nei negozi di New York e Los Angeles., l’economia americana ora andrebbe ancora peggio. Mentre il prezzo delle loro case crolla, i poveri a stelle e strisce assistono inerti allo spettacolo di russi e israeliani intenti a comprare i nuovi condomini di Miami che loro non possono più permettersi. Salvo poi pentirsi dell’acquisto, perché dopo avere perso il 40 per cento i palazzoni sorti sulle spiagge della Florida continuano a vedere i loro prezzi abbassarsi.
Succede anche ai pezzi di banche arraffati troppo precipitosamente dai fondi sovrani. A novembre gli sceicchi di Abu Dhabi pensavano di avere fatto un affare comprando per 7,5 miliardi di dollari una fetta della Citigroup, ma il valore del loro investimento nel frattempo è già crollato di un terzo. Sempre meglio di quanto è successo al governo cinese, che ha già perso il 60 per cento dei 3 miliardi iniettati nel gruppo di private equity Blackstone.
Se l’economia americana è un buco nero, al suo centro ci sono i 14.500 banchieri della Bear Stearns, che da sempre ricevono una parte del proprio stipendio in titoli, il cui valore è passato dagli 87 dollari dello scorso novembre ai 10 dollari al momento della vendita alla Jp Morgan. “Hanno preso il mio futuro, lo hanno buttato nel cesso e poi hanno tirato lo sciacquone” protesta un ex milionario davanti ai giornalisti che affollano il treno dei pendolari delle 6.13 de
l mattino, quello che porta i finanzieri dalle loro ville di Bedford Hills fino a Manhattan.
“Vedrai che andrà meglio” dice a tutti il giornalaio davanti a Wall Street, mentre sotto il suo naso il New York Post annuncia che nella finanza newyorkese ci sono ancora da tagliare 20 mila posti di lavoro dopo i 30 mila licenziamenti degli ultimi sette mesi. Il sindaco Michael Bloomberg parla già di crisi dovuta al calo degli introiti delle tasse, ma a soffrire per ora sono soprattutto gli ex titani dei listini.
Alcuni hanno dovuto vendere la seconda casa. Molti si sono uniti ai circa 3 milioni che hanno lasciato il golf. Altri ancora hanno abbandonato vicino all’autostrada i cavalli che avevano comprato inebriati dalla loro ricchezza: nell’ultimo anno il prezzo del fieno è triplicato.
Certo, la crisi non ha ancora colpito tutti allo stesso modo: occorrono ancora tre settimane d’attesa per mangiare in ristoranti di Manhattan come Gramercy Tavern, dove peraltro per risparmiare sui costi hanno già sostituito l’antipasto al caviale con tartare di tonno.
Ma non sono solo le storie dei poveri ricchi a popolare il dramma della recessione annunciata. Soprattutto la piccola e la media borghesia sono rimaste vittime del sogno americano trasformato in incubo, in particolare quello di poter comprare una casa senza avere risparmi in banca, confidando solo nei continui aumenti di valore dell’immobile. “Questo è l’apice di tre decenni in cui gli americani sono stati abituati a pensare di potere spendere più di quello che avevano” riassume a Panorama Robert Reich, ex segretario del Lavoro sotto l’amministrazione Clinton, oggi docente a Berkeley. “Ma ora l’arsenale degli stratagemmi per vivere oltre i propri limiti sembra esaurito”.

Una baraccopoli creata dalle autorità di Ontario, in California, destinata alle famiglie a cui è stata pignorata l’abitazione.

Nel 2006, quando senza neanche un dollaro di anticipo l’impiegato Ed Porter comprò un trilocale vicino a Phoenix per 390 mila dollari, uno dei libri più venduti s’intitolava Guida per idioti su come arricchirsi col mercato immobiliare. Ora che la sua casa ha perso 80 mila dollari di valore, Porter ha gettato il manuale e s’è rivolto al sito Youwalkaway.com, che spiega come smettere di pagare il mutuo senza finire in grossi guai. Lo ha già fatto buona parte del milione e mezzo di americani che hanno perso la casa nel 2007.
Per economisti come Nouriel Roubini, docente alla New York University, è solo l’inizio: già ora sono quasi 9 milioni le proprietà che valgono meno di quanto sono state pagate. È l’avanguardia dello tsunami: 15 milioni di sfratti e abbandoni volontari previsti entro fine 2008. Gli agenti immobiliari hanno già coniato il termine “jingle mail” (posta che tintinna), perché la lettera contiene le chiavi dell’inquilino che non paga.
Persino l’appartamento comprato a Washington nel 2004 da Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, vale meno degli 839 mila dollari pagati. I suoi tagli del tasso di interesse non hanno salvato le città fantasma alla periferia di Cleveland, Ohio, dove negli ultimi anni hanno perso la casa 35 mila persone.
A Slavic village, dove vivono gli immigrati dall’Est Europa, sui cancelli campeggiano cartelli per dissuadere gli avvoltoi: “Dentro non ci sono oggetti preziosi”. Per distruggere le proprietà abbandonate fatiscenti il comune un tempo spendeva 1 milione e mezzo di dollari l’anno, ora la spesa è quadruplicata. E Frank Johnson, sindaco di Cleveland, ha deciso di denunciare la Citigroup e altri istituti finanziari perché avrebbero agito come organizzazioni criminali assegnando prestiti ai più indigenti. Secondo recenti stime, il 40 per cento dei mutui concessi negli ultimi anni agli immigrati di origine ispanica è ad altissimo rischio.
I prezzi medi delle case sono calati dell’11 per cento. Abbastanza per indurre gli speculatori a fare shopping nei mercati più colpiti: a Detroit bastano 22 mila dollari per accaparrarsi una villetta.
Per rimediare alla situazione George Bush ha promesso soldi: da 300 a 1.200 dollari a testa, a seconda dei redditi. Ma anziché comprare abiti, high tech e altri prodotti colpiti dalla crisi, come spera Bush, la maggioranza ha già detto che userà quel denaro per comprare cibo. E si stima che nel 2008 saranno 28 milioni gli americani che usano i bollini cibo per fare la spesa.
I generi alimentari sono cresciuti del 9 per cento rispetto al 2006. Dodici uova costano 2,17 dollari (più 63 per cento), 1 chilo di pane 4,13 (più 42), 1 chilo di farina 1 dollaro (più 39), 1 chilo di mele 2,59 (più 20), 1 litro di latte 97 centesimi (più 20). Le mense dei poveri faticano, perché ora ci arrivano intere famiglie. Come quella di Michelle Brunetti-Wiliford, costretta a ricorrere ai pasti gratuiti perché non riesce a vendere la casa: “Ci siamo permessi tutto: ora non abbiamo 30 dollari per la gita scolastica delle nostre figlie”.
Viaggiare è ormai un lusso. Pur sempre basso rispetto agli standard europei, il prezzo della benzina è salito a 86 centesimi al litro: sulla mitica route 66 viaggiano solo giapponesi ed europei. “Altro che vita on the road: i pochi americani che transitano usano l’autobus” dice Jennie Avila, vicepresidente dell’associazione che promuove il turismo sulla strada. I noleggi delle auto costano il 20 per cento in più, i biglietti d’aereo in economica hanno subito rialzi del 7 per cento, in business del 15: il costo del carburante ha costretto la Us Airrways a tagliare un terzo dei voli per Las Vegas.
Strozzati da assicurazioni sanitarie che costano anche 4 mila dollari al mese, alcuni dei nuovi poveri viaggiano solo se alla vacanza possono associare una visita dal dentista: nel 2007 500 mila americani sono andati in Messico e nei paesi dell’Est per risparmiare sull’otturazione.
Per proteggersi dai creditori molti dichiarano bancarotta: per il 2008 è previsto oltre 1 milione di fallimenti personali. Altri comprano su internet statuette di San Giuseppe, che dicono aiuti quando non si riesce a vendere la casa. E con 14 dollari si aggiudicano pure il manuale San Giuseppe, il mio agente immobiliare. Cari Luna ha seguito le istruzioni e seppellito la statuetta nel giardino della sua casa di Brooklyn: “Sono un’ebrea buddista. Avevo qualche timore a cooptare il santo di un’altra religione per motivi così venali” dice con la trepidazione che accompagna gli americani quando temono di perdere il loro patrimonio più caro: la correttezza politica. (hanno collaborato Gian Antonio Orighi e Walter Rauhe)
Fonte: http://blog.panorama.it/mondo/2008/04/05/povera-america-la-crisi-della-middle-class/


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