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Prof? Che almeno imparino a leggere con cognizione di causa


remox
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LA SCANDALOSA CENSURA CONTRO IL PAPA 17.01.2008
Un passo del discorso che Benedetto XVI avrebbe fatto all’Università, e che non ha potuto pronunciare, recita:

“Non avevano bisogno, quindi, (i cristiani) di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università. È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia":
il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa” .

* * *

A processare Galileo fu un intellettuale laico…

Un gruppo di professori dell’Università di Roma, in nome della “tolleranza”, vuole che il Papa non parli nell’ateneo romano (l’intervento era stato richiesto dalle autorità accademiche). Strana idea di tolleranza. Il Pontefice sarebbe una figura che non ha niente a che fare con l’università? A parte il fatto che a fondare l’università romana è stato proprio il papa. Praticamente è casa sua. Si legge infatti nello stesso sito internet dell’ateneo: “L’atto di nascita della Università di Roma reca la data del 20 aprile 1303; in questo giorno venne infatti promulgata da Papa Bonifacio VIII Caetani la Bolla In Supremae praeminentia Dignitatis, con la quale veniva proclamata la fondazione in Roma dello ‘Studium Urbis’ ”. Cosa ovvia essendo la Chiesa all’origine di gran parte delle nostre istituzioni culturali.

A parte poi il fatto che Joseph Ratzinger è appunto un docente universitario, anzi un luminare, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo ed è casomai lui che fa onore all’Università di Roma, intervenendo, non l’Università che fa un favore al Papa. A parte il fatto, infine, che i laici ogni tre secondi citano Voltaire (“non condivido ciò che dici, ma mi batterò fino alla fine perché tu possa dirlo”) e poi lo contraddicono nella pratica.

Ma l’aspetto più paradossale è un altro. Perché quello che viene imputato al Papa è di aver citato – in un discorso tenuto quando era cardinale – un intellettuale laico-agnostico, un antidogmatico, un libertario, uno che insegnava a Berkeley dove cominciò la contestazione e che – da anarchico - applaudì alla rivolta, insomma uno dei loro, il celebre epistemologo Paul Feyerabend. Ecco la sua frase citata dall’allora cardinale Ratzinger: “All’epoca di Galileo, la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica”.

In effetti la vicenda Galilei fu molto più complessa di quanto racconti la storia a fumetti che vede un S. Uffizio tenebroso che opprime l’illuminato scienziato. E il cardinale Bellarmino, peraltro grande uomo di cultura, aveva le sue ragioni. Questo intendeva dire il filosofo Feyerabend. La sua provocazione sul processo non era condivisa da Ratzinger che, oltretutto, fu colui che volle la revisione del “caso Galileo” con Giovanni Paolo II. Quindi è l’ultimo a poter essere oggi accusato per questo.

Ma – da studioso – ricostruendo il complesso dibattito moderno su quel caso, per far capire la complessità dei problemi e la pluralità delle posizioni in materia, Ratzinger citò anche la celebre pagina di Feyerabend. Quindi Ratzinger viene oggi “scomunicato” in base non al proprio pensiero, ma al pensiero di un altro. Che oltretutto è uno “scettico”, uno della loro stessa area culturale laica (ma lui è coerente e rifiuta tutti i dogmi, anche i loro). “Sono parole” scrivono i professori romani “che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano”.

Ma – chiediamo, cari illustri professori – vi rendete conto che queste “parole” da voi citate e “scomunicate” appartengono non al papa, ma ad un vostro illustre collega epistemologo che ha insegnato per anni nei maggiori atenei? E come potete attribuire all’uno le parole dell’altro? No, i professori non sentono ragioni. E sentenziano: “In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato”. Quindi, “in nome del rispetto di ogni credo” chiedono che non sia fatto parlare Benedetto XVI. Tutti, ma non lui.

Se non fossero fatti preoccupanti, ci sarebbe da ridere. Perché in quel discorso tenuto a Parma il 15 marzo 1990, evocato e “scomunicato” dai professori, il cardinale Ratzinger insieme a Feyerabend citava – su una linea analoga – anche un altro filosofo, il “marxista romantico” Ernst Bloch su cui sarebbe interessante sentire il parere dei professori della Sapienza.

Secondo Bloch sia il geocentrismo che l’eliocentrismo si fondano su presupposti indimostrabili perché la relatività di Einstein ha spazzato via l’idea di uno spazio vuoto e tranquillo: “pertanto” ha scritto Bloch “con l’abolizione di uno spazio vuoto e tranquillo, non accade nessun movimento verso di esso, ma solo un movimento relativo dei corpi l’uno in relazione agli altri e la loro stabilità dipende dalla scelta dei corpi presi come punti fissi di riferimento: dunque, al di là della complessità dei calcoli che ne deriverebbero, non appare affatto improponibile accettare, come si faceva nel passato, che la terra sia stabile e che sia il sole a muoversi”.

Il filosofo marxista non tornava certo all’universo tolemaico, né alle conoscenze scientifiche del tempo di Bellarmino e di Copernico, per i quali si potevano fare solo delle ipotesi. Bloch parlava in nome delle più avanzate scoperte scientifiche del XX secolo, esprimeva così – spiegava Ratzinger – “una concezione moderna delle scienze naturali”. Infatti un’altra mente eccelsa del Novecento, grande nome del pensiero ebraico, una combattente contro il totalitarismo, Hannah Arendt, nel libro “Vita activa”, scrive la stessa cosa: “Se gli scienziati precisano oggi che possiamo sostenere con egual validità sia che la terra gira attorno al sole, sia che il sole gira attorno alla terra, che entrambe le affermazioni corrispondono a fenomeni osservati, e che la differenza sta solo nella scelta del punto di riferimento, ciò non significa tornare alla posizione del cardinale Bellarmino e di Copernico, quando gli astronomi si muovevano tra semplici ipotesi. Significa piuttosto che abbiamo spostato il punto di Archimede in un punto più lontano dell’universo dove né la terra né il sole sono centri di un sistema universale. Significa che non ci sentiamo più legati nemmeno al sole, scegliendo il nostro punto
di riferimento ovunque convenga per uno scopo specifico”.

Secondo la Arendt “per le effettive conquiste della scienza moderna il passaggio dal sistema eliocentrico a un sistema senza un centro fisso è tanto importante quanto fu, in passato, quello da una visione geocentrica del mondo a una eliocentrica”. Ratzinger – uno dei grandi intellettuali del mondo moderno – lo ha capito molto bene e segnala, come la Arendt, la necessità di riflettere sulle conseguenze sociali di questo nuovo scenario e sull’uso che, in questa situazione, si fa della scienza. Invece il mondo accademico italiano, più provinciale e ideologizzato, sembra ancora fermo al Seicento.

Io penso che il professor Ratzinger si riconoscerebbe di sicuro in quest’altro pensiero della Arendt: “i primi 50 anni del nostro secolo hanno assistito a scoperte più importanti di tutte quelle della storia conosciuta. Tuttavia lo stesso fenomeno è criticato con egual diritto per l’aggravarsi non meno evidente della disperazione umana o per il nichilismo tipicamente moderno che si è diffuso in strati sempre più vasti della popolazione; l’aspetto forse più significativo di queste condizioni spirituali è di non risparmiare nemmeno più gli scienziati”.

Ma vi pare che l’università italiana possa volare a queste altezze? Dove domina l’intolleranza non c’è spazio per l’avventura della conoscenza e per l’inquietudine delle domande. C’è spazio solo per le piccole lotte di potere attorno al rettorato di cui ha parlato Asor Rosa al Corriere. Buonanotte Illuminismo.

Antonio Socci

Da “Libero” 16 gennaio 2008


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fabiodellalazio
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Io non parlerò di filosofia come fa socci.
Mi limito a guardare i fatti.
Sessanta professori e una cinquantina di studenti contestano il papa.
E allora?
Non ci hanno sempre detto che questo è un paese democratico?
Le motivazioni forse sono ridicole, forse no, non sta a me deciderlo.
Ma quando si dice che è stato messo il bavaglio al papa si dice una grande bugia.
La popolazione dell'università si aggira intorno ai 130.000 studenti (fonte sito http://www.uniroma1.it/infostat/default.php?aa=2008).
Se 50 o 100 studenti contestano la visita del papa (lo 0,07% della popolazione universitaria della sapienza) il papa si spaventa e rinuncia alla visita?
E' stato in paesi in guerra e nulla è successo.
Il papa invece di fare il martire poteva andare e confrontarsi con i contestatori.
Li avrebbe fatti a pezzi perchè il papa non è uno stupido, è un uomo con cui io avrei paura a confrontarmi perchè la sua cultura e i suoi studi sono smisuratamente più grandi e completi dei miei.
Invece ha scelto la via della fuga e ha lasciato i suoi lacchè nei media a dipingere i contestatori come imbavagliatori del papa.
Allora ci state dicendo che il bavaglio lo devono mettere a chi vuol contestare, giustamente o no?
Allora siamo veramente all'emergenza democratica.
Consiglio a socci di andare a radio maria a fare un altro discorso farneticante come questo

http://it.youtube.com/watch?v=Va533YjJ84I

Qualcuno è andato in casa del "nemico" a confrontarsi e ne è uscito vincitore (moralmente)

http://www.effedieffe.com/rx.php?id=2279%20&chiave=che%20figura


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panepane
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Uno che é in televisione un giorno sì... e l'altro pure... censurato?

Ma...

Spararle un po' più piccole? Chiedo troppo?


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dalemoni
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il manifesto del 17 Gennaio 2008
Papa e università
Marcello Cini: Giusta protesta
piccioni francesco

http://www.ilmanifesto.it/argomenti-settimana/articolo_30fd358261c23f9f764e0a6921a1ba2a.html

«Quello che mi indigna un po', francamente, è questa pressoché unanime valanga che si sta rovesciando - oltre che su di me - sui firmatari dell'appello, sugli studenti che hanno reagito da studenti, in un unico blocco di violenti, intolleranti che hanno impedito al papa di venire alla Sapienza a parlare. Io rispondo per quanto mi riguarda, perché la mia è stata un'iniziativa personale - con una lettera scritta il 14 novembre su il manifesto - in cui mi rivolgevo al mio lettore.

E lo criticavo anche aspramente perché vedevo nell'invito a inaugurare l'anno accademico della Sapienza (di questo si trattava, anche se prima come lectio magistralis, poi camuffata all'italiana con un intervento nello stesso giorno, comunque)».

Il giorno dopo il «gran rifiuto», Marcello Cini è amareggiato. Ma non contrito. Contesta il modo in cui quasi tutti i media hanno costruito il mancato evento e le ragioni sue e dei firmatari della lettera al rettore della Sapienza. «La sostanza era l'invito al papa a inaugurare l'anno accademico. A questa proposta io ho reagito, e reagirei ancora oggi, per due ragioni. La prima è di tipo formale, ma essenziale. L'inaugurazione dell'anno accademico è un atto pubblico, forse il più importante, che riafferma la natura e la funzione dell'università come istituzione di crescita della conoscenza, di formazione della cultura al più alto livello, di uno stato laico, democratico, moderno, sui principi della Rivoluzione francese, dell'illuminismo e della modernità. Un atto importante - un rito se si vuole - che riafferma il modo in cui è organizzato questo processo di crescita e trasmissione della conoscenza alle giovani generazioni.

Invitare al centro di questo rito laico un'autorità come il papa è di fatto una contraddizione in termini, non può che generare conflitto. Il papa è a capo di un'istituzione come la Chiesa cattolica, fondata su pricipi totalmente diversi - come il carattere gerarchico-autoritario, detentore di una verità assoluta proveniente direttamente da dio, quindi dalla trascendenza. Si fonda perciò su criteri di verità, metodologici e epistemologici, completamente diversi. È questo contesto che non si vuol capire. Ossia la coesistenza e il conflitto tra due istituzioni di natura diversa e fondate su principi in antitesi fra loro».

Un conflitto istituzionale che non implica affatto «censura», ma rispetto della diversità degli ambiti. «Ciò non vuol dire che il papa, come professor Ratzinger, non sia un professore universitario, un intellettuale fine, colto, ecc. Ma la confusione tra queste due figure che coesistono entro la stessa persona, ha permesso di generare - per esempio in occasione dell'invito a Ratisbona - un'interpretazione del suo discorso come una presa di posizione contro l'Islam, con tutte le polemiche che ne sono seguite».

Luogo e occasione, insomma, con parecchie riserve su come è stata realizzata l'idea della visita papale. «Non sarebbe successo nulla se il rettore e il Vaticano avessero semplicemente spostato la visita in un'altra data. Anche altri papi l'hanno fatto, esponendo il proprio punto di vista. Nei contenuti sarebbe stato poi approvato, obiettato, contestato, ecc».
Molte distinzioni «istituzionali» sembrano svanire nel dimenticatoio...
«Tutto questo si colloca in un contesto in cui questo papato - in particolare nel nostro paese - sta perseguendo una politica concreta tesa a sgretolare sempre di più la separazione tra Stato e Chiesa, tra repubblica italiana e clero. Questo ha creato una situazione in cui una presa di posizione legittima - un professore che si rivolge pubblicamente al proprio rettore - e fondata sulla separazione delle sfere di competenza, viene classificata, bollata e demonizzata come un'intolleranza da parte mia, dei miei colleghi e degli studenti. L'intolleranza quotidiana è quella che arriva alle telefonate del cardinal Bertone ai deputati italiani di stretta osservanza cattolica perché non votino certe leggi».

Sembra una scena da favola di Esopo (la volpe che accusa l'agnello)...
«Se questa reazione è un'intolleranza o un 'divieto di parlare', siamo a un tale stravolgimento della realtà dei fatti che, da un lato, non può che indignarmi; dall'altro - vedendo che tutta la sinistra e il centrosinistra si accoda a questa mistificazione - deprimermi profondamente. C'è un'incapacità di reagire a questo pensiero unico per cui il depositario dei valori è la religione e i laici non hanno valori. Per acquietare le coscienze e orientarsi sul senso della vita, sul lecito e il non lecito, su tutte queste cose l'unico riferimento ritorna a essere la religione. È colpa nostra».
(a cura di Francesco Piccioni)


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dalemoni
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La lettera di Marcello Cini
14 gennaio 2008

http://www.aprileonline.info/5852/la-lettera-di-marcello-cini

Era il 14 novembre del 2007 quando il professor Cini inviò la seguente lettera aperta " Se la Sapienza chiama il Papa e lascia a casa Mussi", pubblicata sul Manifesto

Signor Rettore, apprendo da una nota del primo novembre dell'agenzia di stampaApcom che recita: «è cambiato il programma dell'inaugurazione del 705esìmo Anno Accademico dell'università di Roma La Sapienza, che in un primo momento prevedeva la presenza del ministro Mussi a ascoltare la Lectio Magistralis di papa Benedetto XVI». Il papa «ci sarà, ma dopo la cerimonia di inaugurazione, e il ministro dell'Università Fabio Mussi invece non ci sarà più».

Come professore emerito dell'università La Sapienza - ricorrono proprio in questi giorni cinquanta anni dalla mia chiamata a far parte della facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali su proposta dei fisici Edoardo Amaldi, Giorgio Salvini e Enrico Persico - non posso non esprimere pubblicamente la mia indignazione per la Sua proposta, comunicata al Senato accademico il 23 ottobre, goffamente riparata successivamente con una toppa che cerca di nascondere il buco e al tempo stesso ne mantiene sostanzialmente l'obiettivo politico e mediatico.

Non commento il triste fatto che Lei è stato eletto con il contributo determinante di un elettorato laico. Un cattolico democratico - rappresentato per tutti dall'esempio di Oscar Luigi Scalfaro nel corso del suo settennato di presidenza della Repubblica - non si sarebbe mai sognato di dimenticare che dal 20 settembre del 1870 Roma non è più la capitale dello stato pontificio. Mi soffermo piuttosto sull'incredibile violazione della tradizionale autonomia delle università - da più 705 anni incarnata nel mondo da La Sapienza dalla Sua iniziativa.

Sul piano formale, prima di tutto. Anche se nei primi secoli dopo la fondazione delle università la teologia è stata insegnata accanto alle discipline umanistiche, filosofiche, matematiche e naturali, non è da ieri che di questa disciplina non c'è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali. Ignoro lo statuto dell'università di Ratisbona dove il professor Ratzinger ha tenuto la nota lectio magistralis sulla quale mi soffermerò più avanti, ma insisto che di regola essa fa parte esclusivamente degli insegnamenti impartiti nelle istituzioni universitarie religiose. I temi che sono stati oggetto degli studi del professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare nell'ambito degli argomenti di una lezione, e tanto meno di una lectio magistralis tenuta in una università della Repubblica italiana. Soprattutto se si tiene conto che, fin dai tempi di Cartesio, si è addivenuti, per porre fine al conflitto fra conoscenza e fede culminato con la condanna di Galileo da parte del Santo ufficio, a una spartizione di sfere di competenza tra l'Accademia e la Chiesa. La sua clamorosa violazione nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico de La Sapienza sarebbe stata considerata, nel mondo, come un salto indietro nel tempo di trecento anni e più.

Sul piano sostanziale poi le implicazioni sarebbero state ancor più devastanti. Consideriamole partendo proprio dal testo della lectio magistralis del professor Ratzinger a Ratisbona, dalla quale presumibilmente non si sarebbe molto discostata quella di Roma. In essa viene spiegato chiaramente che la linea politica del papato di Benedetto XVI si fonda sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di competenza fra fede e conoscenza non vale più: «Nel profondo.., si tratta - cito testualmente - dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'infima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio».

Non insisto sulla pericolosità di questo programma dal punto di vista politico e culturale: basta pensare alla reazione sollevata nel mondo islamico dall'accenno alla differenza che ci sarebbe tra il Dio cristiano e Allah - attribuita alla supposta razionalità del primo in confronto all'imprevedibile irrazionalità del secondo - che sarebbe a sua volta all'origine della mitezza dei cristiani e della violenza degli islamici. Ci vuole un bel coraggio sostenere questa tesi e nascondere sotto lo zerbino le Crociate, i pogrom contro gli ebrei, lo sterminio degli indigeni delle Americhe, la tratta degli schiavi, i roghi dell'Inquisizione che i cristiani hanno regalato al mondo. Qui mi interessa, però, il fatto che da questo incontro tra fede e ragione segue una concezione delle scienze come ambiti parziali di una conoscenza razionale più vasta e generale alla quale esse dovrebbero essere subordinate. «La moderna ragione propria delle scienze naturali - conclude infatti il papa - con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda {sui perché di questo dato di fatto) esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali a altri livelli e modi del pensare - alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi a essa significherebbe una riduzione inaccetabile del nostro ascoltare e rispondere».

Al di là di queste circonlocuzioni (i corsivi sono miei) il disegno mostra che nel suo nuovo ruolo l'ex capo del Sant'uffizio non ha dimenticato il compito che tradizionalmente a esso compete. Che è sempre stato e continua a essere l'espropriazione della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano da parte di una istituzione che rivendica l'esclusività della mediazione fra l'umano e il divino. Un'appropriazione che ignora e svilisce le innumerevoli differenti forme storiche e geografiche di questa sfera così intima e delicata senza rispetto per la dignità personale e l'integrità morale di ogni individuo.

Ha tuttavia cambiato strategia. Non potendo più usare roghi e pene corporali ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l'effige della Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare nella cittadella della conoscenza scientifica e metterla in riga. Non esagero. Che altro è, tanto per fare un esempio, l'appoggio esplicito del papa dato alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente se non il tentativo - condotto tra l'altro attraverso una maldestra negazione dell'evidenza storica, un volgare stravolgimento dei contenuti delle controversie interne alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio della caricatura delle posizioni dell'avversario - di ricondurre la scienza sotto la pseudo-razionalità dei dogmi della religione? E come avrebbero dovuto reagire i colleghi biologi e i loro studenti di fronte a un attacco più o meno indiretto alla teoria danwiniana dell'evoluzione biologica che sta alla base, in tutto il mondo, della moderna biologia evolutiva?

Non desco a capire, quindi, le motivazioni della Sua proposta tanto improvvida e lesiva dell'immagine de La Sapienza nel mondo. Il risultato della Sua iniziativa, anche nella forma edulcorata della visita del papa (con «un saluto alla comunità universitaria») subito dopo una inaugurazione inevitabilmente clandestina, sarà comunque che i giornali del giorno dopo titoleranno (non si può pretendere che vadano tanto per il sottile): «Il Papa inaugura l'Anno Accademico dell'Università La Sapienza».

Congratulazioni, signor Rettore. Il Suo ritratto resterà accanto a quelli dei Suoi predecessori come. simbolo dell'autonomia, della cultura e del progresso delle scienze.

Marcello Cini


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Truman
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Il bambino viziato è abituato ad avere sempre ragione. Se lo contraddicono frigna, va dai genitori e pretende di avere sempre ragione tramite loro.

Ratzinger si è comportato come un bambino viziato, nel momento in cui, essendoci delle contestazioni, ha rinunciato a parlare. Il meccanismo dei media e dei partiti ha giocato il ruolo di genitori troppo tolleranti, che danno sempre ragione al figlio viziato.

Vale la pena di rispondere anche a Socci: Ratzinger è bravo a lanciare il sasso e nascondere la mano. La citazione di Feyerabend non era incidentale, come non lo era un'analoga citazione nel discorso di Ratisbona che fece infuriare i Mussulmani. Troppo spesso una citazione di un autore assume significati diversi dall'originale quando viene inserita in un contesto diverso.

Ho conosciuto (intellettualmente) poche persone che rifiutassero tutti i dogmi come Feyrabend. Ho sempre a portata di mano il suo "Contro il metodo". Usarlo per difendere i dogmi cattolici non mi appare corretto.

A parte questo credo sia tutto vero: il comportamento della Chiesa fu razionale, non esisteva una seria prova dell'ipotesi eliocentrica (Copernico), anche perchè essa è equivalente a quella geocentrica (Tolomeo), come si scoprì in seguito con la relatività.

Con due importanti precisazioni:
1) Da Guglielmo Occam in poi ( http://it.wikipedia.org/wiki/Rasoio_di_Occam), nella scienza si dovrebbe scegliere l'ipotesi più semplice, e la descrizione Copernicana è enormemente più semplice di quella Tolemaica.
2) Il fatto che la Chiesa avesse le sue ragioni non giustifica le torture ed il carcere inflitti a Galileo.


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