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Regeni, anche la facoltà di Cambridge non collabora


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Caso Regeni, anche la facoltà di Cambridge sceglie di non collaborare alle indagini

"Non rilascio dichiarazioni alle autorità italiane". Così ha risposto Maha Abdelrahman, professoressa di Giulio, agli investigatori italiani che si sono recati in Inghilterra per una rogatoria internazionale. A niente è servito l'appello della madre al "coraggio di vincere l'indifferenza morale"

DI FLORIANA BULFON

«Non rilascio dichiarazioni alle autorità italiane», ha risposto Maha Abdelrahman alle richieste del pubblico ministero Sergio Colaiocco. A nulla è valso inviarle le domande in anticipo e attenderla per più di un giorno negli uffici della polizia di Cambridge, la supervisor di Giulio Regeni nella tesi di dottorato sui sindacati egiziani, ha seguito i consigli dei legali dell’Università inglese e ha scelto di restare in silenzio. Inspiegabilmente lei, che fa parte di quella comunità accademica che si diceva addolorata e colpita e invitava, sconvolta davanti alle reticenze, le autorità egiziane a ricercare i colpevoli, ha scelto di non dare alcun contributo.

In questi giorni la procura di Roma, proprio alla luce degli elementi emersi dall’analisi del computer di Giulio recuperato al Cairo, ha deciso di cercare la verità in Inghilterra e così ha presentato una rogatoria internazionale per ascoltare colleghi e docenti universitari che coordinavano la ricerca in cui lo studente della Cambridge University era impegnato dallo scorso settembre in Egitto. I magistrati sono convinti che sia necessario partire da dove tutto è iniziato per trovare le risposte che si fanno attendere da ormai più di quattro mesi. Eppure, nonostante siano riusciti a raccogliere elementi utili, a Cambridge, proprio come al Cairo, nessuno ha voluto parlare.

Punto centrale è il lavoro accademico e in particolare la scelta di applicare il metodo PAR (Participatory action research): una metodologia che prevede la partecipazione diretta alle dinamiche interne delle organizzazioni da studiare, ma che aumenta il grado di esposizione, soprattutto agli occhi paranoici degli apparati di sicurezza di un Paese, come l’Egitto, dove il regime controlla ogni attività.

Quando fu deciso questo cambio di metodo? Chi aveva proposto questa ricerca? Avevano valutato la pericolosità? E soprattutto quali erano i contatti che avevano dato a Giulio. Non solo quelli accademici, ma anche quelli all’interno dei sindacati? Per avere queste risposte il magistrato romano si è presentato a Cambridge proprio all’indomani della cerimonia di commemorazione voluta dai genitori. Il padre e la madre di Giulio, a pochi passi dal Girton College da cui quel «giovane uomo nativo democratico» era partito per condurre la ricerca, domenica pomeriggio hanno chiesto a gran voce alla «comunità scientifica a cui abbiamo affidato con fiducia Giulio di avere il coraggio di vincere l’indifferenza morale».

Davanti a loro amici, studenti e la professoressa Abdelrahman, egiziana trapianta in Inghilterra, oppositrice del regime di Abd Fattah al Sisi. Lei durante la cerimonia ha ascoltato compita l’appello dei genitori, ma solo poche ore dopo ha preferito scegliere la via dell’indifferenza. Era stata già ascoltata in occasione del funerale di Giulio. Quella volta, negli uffici dei Carabinieri di Cervignano, a pochi chilometri da Fiumicello, il paese natale di Giulio, s’era fatta aspettare per ore, per poi lamentarsi dei metodi degli inquirenti italiani. Questa volta ha rimarcato di voler seguire il consiglio degli avvocati dell’Ateneo. Eppure proprio il tema della tesi di dottorato, quella ricerca sui sindacati indipendenti, potrebbe aver attirato l’attenzione degli apparati di sicurezza, ossessionati dalla disseminazione di informazioni sull’Egitto, tanto da riservare a un giovane ricercatore straniero le stesse torture degli oppositori al regime.

Tra gli invitati alla commemorazione c’era anche Hoda Kamel, la sindacalista dell’ Egyptian Center for Economic and social rights che aveva aiutato Giulio nel suo lavoro e gli aveva presentato Mohammed Abdallah, a capo di quel sindacato degli ambulanti attraverso cui, ha poi fatto sapere Kamel, «i poliziotti sanno tutto quello che succede per strada perché altrimenti non lavorano». Abdallah, un ex giornalista di tabloid, su cui lei stessa nutre forti sospetti. Hoda Kamel non ha accolto l’invito della famiglia e così ha fatto anche Rabab El Mahdi, la supervisor dell’ American University of Cairo . La docente, a un mese dalla scomparsa, aveva ricordato come in «molti si fossero chiesti perché un italiano fosse così interessato ai venditori di strada egiziani, alle loro organizzazioni». Interessato a condurre una ricerca approvata proprio dai suoi supervisor, a Cambridge e al Cairo, che ben conoscevano i pericoli di una realtà complessa come quella dei sindacati indipendenti in Egitto, considerati nemici del potere, tanto che il governo di al Sisi si è raccomandato con un documento ufficiale di “contrastare i loro tentativi destabilizzatori”.

La circolare del governo è stata redatta solo qualche giorno prima dell’11 dicembre, quando Giulio partecipa ad un’animata assemblea e si accorge di essere fotografato. Sospetta che a scattare la foto sia stata un’infiltrata della polizia con il compito di sorvegliarlo. Giulio che, al ritorno dalle vacanze di Natale, aveva incontrato in un caffè del Cairo proprio la sua tutor Abdelrahman. Lei ricorda l’episodio, ma sostiene di aver dimenticato l’oggetto della conversazione. Forse le paure davanti a quanto era accaduto in quella riunione dei sindacati indipendenti a dicembre? La professoressa tuttavia non sembra aver sentito la necessità di metterlo in guardia dai pericoli che una ricerca di questo tipo, per di più partecipata, poteva avere. E dire che proprio lei, nel suo saggio ‘Long Egypt’s Revolution’, aveva denunciato la violazione dei diritti umani, la centralità dei servizi segreti e le paure del regime di fronte alle nuove forme di mobilitazioni.

Di certo, da quella sera del 25 gennaio in cui il giovane ricercatore italiano uscì da casa per andare a un appuntamento a piazza Tahrir e fu poi ritrovato cadavere lungo l'autostrada che porta dal Cairo ad Alessandria, la procura di Roma non lascia nulla di intentato nonostante le difficoltà e i continui depistaggi. Non va infatti meglio sul fronte egiziano, anche se nell’ultimo mese, dopo la missione dei nostri investigatori, la procura generale ha scelto di aprire un canale diretto di collaborazione, scavalcando la polizia e quel ministero dell’Interno del governo di al Sisi ancora intenzionato a insistere sulla pista della criminalità comune.

Sono arrivati così a Roma otto verbali di interrogatorio con le dichiarazioni del coinquilino di Giulio e di sette conoscenti dei cinque presunti banditi uccisi in una sparatoria; quelli che erano stati individuati come i colpevoli perfetti, del resto provenivano da una famiglia di ambulanti e - forse preoccupati dal fatto che qualche telecamera potesse aver ripreso Giulio con degli uomini in uniforme - commettevano rapine spacciandosi proprio per poliziotti. Peccato che i verbali siano scritti in arabo, a mano, e la traduzione si stia rivelando difficoltosa. Hanno inviato anche una nota che riepiloga gli accertamenti svolti dalla polizia egiziana nel ritrovare i documenti d’identità di Regeni a casa dei banditi, le relazioni dei medici legali sulle autopsie dei cinque, e persino i tabulati telefonici. Incompleti però: hanno scelto infatti di consegnare solo quelli di tre dei cinque morti e solo per il mese di marzo. Nulla per i contatti di fine gennaio e inizio febbraio, nulla per quelli dell’uomo che sarebbe entrato in possesso dei documenti di Giulio.

Una collaborazione parziale, a cui si aggiunge quella inspiegabilmente inesistente di Cambridge, che lascia la verità ancora lontana senza considerare che, in attesa di sviluppi giudiziari, l’iniziativ
a politica del governo italiano rimane sospesa. Dopo il richiamo ad aprile per consultazioni dell’ambasciatore Maurizio Massari è stato infatti designato un sostituto, ma Giampaolo Cantini non ha ancora preso possesso della sede e le relazioni sono di fatto interrotte. Nel frattempo è stata estesa di altri 45 giorni la detenzione per Ahmed Abdullah, il presidente della Egyptian Commission for Rights and Freedom , l'organizzazione non governativa per i diritti umani che sta offrendo attività di consulenza ai legali della famiglia Regeni, e di altri 15 giorni per Mina Thabet, direttore del programma per i diritti delle minoranze della Commissione.

Alla fine, davanti al fatto che le redini dell’inchiesta sono e restano nelle mani dei magistrati egiziani, la procura guidata da Giuseppe Pignatone, non potendo svolgere indagini fuori dall’Italia, continua a chiedere con forza di collaborare. Al Cairo e a Cambridge. Là dove c’è chi conosce la verità sulla morte di Giulio. «Non lasciateci soli, parlate e rompiamo il silenzio». La madre di Giulio ha lanciato quest’appello alla comunità scientifica, chiede di «avere il coraggio di recuperare la dimensione etico-morale della ricerca». Proprio quel tema così caro a Giulio. Proprio quella comunità scientifica che sembra preferire il silenzio alla ricerca della verità.

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/06/07/news/caso-regeni-anche-la-facolta-di-cambridge-sceglie-di-non-collaborare-1.269973


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venezia63jr
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1229
 

Vedrai che parlera' l'insegnante, non puo' deludere le migliaia
di italiani che adorano lo english style, fara' una dichiarazione
per il bene dei due paesi.
gaui a voi se la chiamate Perfida Albiona.


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LinCad
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 111
 

Benissimo. Allora, visto che abbiamo quasi interrotto le relazioni diplomatiche con l'egitto perche' "non collaboravano", facciamo lo stesso con l'inghilterra?
C'e' qualche piddino in linea che vuole azzardare qualche previsione?


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Stodler
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 3972
 

L'integrità del mondo accademico anglosassone. Figuriamoci.

Poi parlano male dell'omertà in Sicilia?


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mda1
 mda1
Reputable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 341
 

Benissimo. Allora, visto che abbiamo quasi interrotto le relazioni diplomatiche con l'egitto perche' "non collaboravano", facciamo lo stesso con l'inghilterra?
C'e' qualche piddino in linea che vuole azzardare qualche previsione?

l'inghilterra può.


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