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Rivolte in Bosnia: esplodono i Balcani


Tao
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A Tuzla mercoledì sono scoppiati violenti scontri tra polizia e manifestanti, subito propagatisi poi in altre città del Paese, compresa la capitale Sarajevo. Si tratta dei più grossi tumulti dalla fine della guerra. A far scoccare la scintilla una manifestazione organizzata da operai e disoccupati per protestare contro la chiusura di alcune grandi fabbriche privatizzate e in generale contro la intollerabile situazione economica del paese. Anche in Bosnia infatti le privatizzazioni rappresentano oramai un problema nazionale e migliaia di persone hanno manifestato ancora a Tuzla anche giovedì, giornata nella quale gli scontri sono poi degenerati con tanto di arresti e feriti. Intanto a Sarajevo centinaia di persone si sono radunate di fronte alla sede del governo, per mostrare solidarietà ai dimostranti di Tuzla.

La vicenda è iniziata al termine della guerra, nel 1992, quando è stato avviato il piano di privatizzazioni, benedetto dall’Unione Europea, che si è chiuso nel 1996 tra mille perplessità. I nuovi proprietari hanno acquistato le società vendendo a loro volta le azioni per fare cassa, sulle spalle di centinaia di migliaia di lavoratori che ora sono senza occupazione né un sussidio. La situazione economica della Bosnia ha aggravato ulteriormente la situazione: i dati sulla disoccupazione si sommano alla povertà dilagante nel Paese, circa un quinto della popolazione (formata da 3,5 milioni di abitanti) vive nell’indigenza, mentre il restante vive con uno stipendio da 400€ al mese.

Nelle ultime ore il premier del cantone di Tuzla ha dato le dimissioni mentre il Primo ministro della Federazione, Nermin Nikšić, ha dichiarato al termine di una riunione di emergenza che “i lavoratori lasciati senza i diritti fondamentali, come la pensione e l’assicurazione sanitaria, vanno distinti dagli hooligan che usano questa situazione per creare il caos.” La presenza all’interno delle manifestazioni di gruppi di ultras non è tuttavia sufficiente per spiegare le dimensioni e la rabbia di una protesta che sta coinvolgendo diversi segmenti della società, in forme ancora contraddittorie. A Tuzla diversi dimostranti hanno aiutato i pompieri nel cercare di spegnere l’incendio della sede del governo cantonale, diversamente da quanto avvenuto a Zenica, nella sede del governo del cantone di Zenica-Doboj i mezzi dei vigili del fuoco sono stati bloccati dai manifestanti. Zdravko Grebo, docente all’Università di Sarajevo e noto attivista per i diritti umani, ha dichiarato che spera queste manifestazioni siano l’inizio di una “primavera bosniaca”. La nozione di primavera bosniaca si sta in effetti diffondendo. Anche Danis Tanović, il noto regista bosniaco premio Oscar per il film “No man’s land”, ha postato su Instagram un breve messaggio che dichiara l’arrivo della primavera. È ancora presto tuttavia per dire se questa esplosione di rabbia verrà ricondotta ai recinti etnici che hanno dominato la politica della Bosnia Erzegovina negli ultimi 20 anni, oppure se stiamo davvero assistendo ad un cambiamento.

Bosnia: assetto istituzionale

L’assetto istituzionale della Bosnia Erzegovina è stato elaborato nel quadro delle trattative di pace che hanno messo fine alla guerra civile del 1992-1995. La stessa costituzione bosniaca non è stata discussa e approvata da organi rappresentativi locali, ma inclusa come allegato all’accordo di pace di Dayton. La Bosnia Erzegovina è uno stato confederale, basato su un elevato grado di decentralizzazione e sulla divisione etnica delle cariche politiche. Il territorio è composto da tre entità, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Repubblica Serba e dal Distretto autonomo di Brcko. Per quanto il suo territorio sia ristretto, il Distretto autonomo di Brcko è molto importante dal punto di vista politico, poiché esso interrompe la rimanenti continuità territoriali.

La costituzione di Dayton riconosce alle tre principali comunità del Paese, quella bosgnacca, quella serba e quella croata, lo status di “popoli costituenti”; le principali cariche dello Stato centrale sono collegiali e devono comprendere esponenti delle tre comunità. La Presidenza dello Stato è composta da tre membri, uno per ciascun popolo costituente; lo stesso principio regola il funzionamento e la composizione del consiglio dei ministri e della corte costituzionale. Questa logica di divisione etnica caratterizza anche il potere legislativo. Il Parlamento è composto dalla Camera dei Rappresentanti e dalla Camera dei Popoli, dotate degli stessi poteri. L’iter legislativo prevede che per essere adottate le leggi debbano ricevere il consenso di parlamentari provenienti da entrambe le entità. Inoltre ciascuno dei tre popoli costituenti può impedire l’adozione di un provvedimento, invocando la salvaguardia di un proprio “interesse nazionale vitale”. È sufficiente che la maggioranza dei parlamentari di un popolo costituente si pronunci contro i progetti legislativi per impedirne l’approvazione.

Il sistema politico bosniaco è di conseguenza dominato da due principali fattori di divisione: una tensione strutturale tra istituzioni centrali e istituzioni delle entità; la ripartizione lungo crinali etnici delle cariche e dei partiti politici. Nelle dinamiche politiche i due fattori vengono spesso a sommarsi. Il risultato è che le attività degli organi centrali sono ostacolate da una serie di vincoli e sono caratterizzate da processi decisionali lunghi, mentre le istituzioni delle entità territoriali operano con più efficacia.

A garanzia della pace l’accordo di Dayton ha istituito anche un organo sopranazionale, l’Ufficio dell’Alto Rappresentante. L’Alto Rappresentante – nominato dal Consiglio di attuazione della pace che riunisce 55 Paesi e organizzazioni internazionali – ha il compito di garantire l’attuazione degli accordi di pace. In seguito alle difficoltà incontrate dall’Alto Rappresentante, nel 1997 il Consiglio di attuazione della pace ne ha considerevolmente esteso i poteri: l’Alto Rappresentante può imporre l’adozione di atti normativi e abrogare quelli adottati dalle istituzioni bosniache di qualsiasi ordine e grado; può inoltre destituire di propria iniziativa il personale politico e amministrativo dalle cariche pubbliche, ivi comprese le cariche elettive. Già nel giugno del 2006 il comitato esecutivo del Consiglio di attuazione della pace aveva annunciato che, entro un anno, le attività dell’Alto Rappresentante sarebbero cessate. Ciononostante il perdurante clima di instabilità ha indotto i Paesi garanti a rinnovare di anno in anno il suo mandato. Di regola, alla carica di Alto Rappresentante viene nominato un diplomatico di un Paese dell’UE, mentre il suo vice è uno statunitense.

Relazioni Internazionali

Negli ultimi anni la comunità internazionale, prendendo atto del clima di tensione, ha rivolto maggiore attenzione alle vicende bosniache. Stati Uniti e Unione Europea hanno intensificato le pressioni per promuovere un accordo tra i principali partiti bosniaci sulle riforme del Paese. Tra ottobre e novembre 2009 la base militare di Butmir, nei pressi di Sarajevo, ha ospitato due tornate di colloqui tra i maggiori partiti bosniaci e i rappresentanti di USA ed UE. Il progetto di riforma di USA e UE prevedeva il rafforzamento del governo centrale, le cui attività sarebbero state dirette da un primo ministro con poteri accresciuti, che avrebbe svolto anche alcune delle funzioni attualmente riservate alla Presidenza dello Stato. Il Parlamento sarebbe stato ridotto a una sola camera: l’attuale Camera dei Popoli sarebbe quindi diventata una commissione della Camera dei Rappresentanti. Il progetto intaccava solo in parte le prerogative delle entità, dato che sarebbe stato confermato il “voto per entità”, la procedura che permette ai due terzi dei rappresentanti di ciascuna entità di bloccare l’approvazione degli atti normativi.

Per indurre le parti ad accettare il progetto di ri
forma, i rappresentanti dell’UE hanno promesso di accettare la domanda di adesione della Bosnia entro la fine del 2009, senza tuttavia transigere sul rispetto delle condizioni necessarie per avvicinare il Paese a Bruxelles. Parallelamente gli Stati Uniti hanno offerto la concessione del Membership Action Plan alla Bosnia da parte della NATO. Ciò non è comunque bastato a convincere i rappresentanti bosniaci, che hanno rifiutato a larga maggioranza le proposte di USA e UE. Uno dei punti di debolezza dei colloqui di Butmir è stata l’assenza di importanti Paesi membri del Consiglio per l’attuazione della pace. In particolare la Russia e la Turchia, Paesi che hanno storicamente esercitato un’influenza importante sugli sviluppi bosniaci, non sono state invitate. Questi due Paesi avrebbero invece potuto esercitare pressioni significative per indurre i partiti bosniaci ad accettare un piano di riforma costituzionale. I Russi, godendo della fiducia dei Serbi, avrebbero potuto svolgere un importante ruolo di mediazione nei loro confronti, così come i Turchi avrebbero potuto farlo nei confronti dei bosgnacchi.

Conclusioni

Il peggioramento della situazione economica del Paese ha contribuito all’aggravarsi di un processo di tensione che ha le sue radici nella guerra etnica. Nel 2009 il PIL bosniaco si è contratto del 3% e per il 2010 è attesa una ripresa timida (+0,5%). La crisi economica e la privatizzazione di alcune importanti imprese ha avuto pesanti ricadute sull’occupazione, infatti la disoccupazione è passata da un già consistente 24% al 28%. Occorre comunque sottolineare che i timori che le tensioni degenerino in un conflitto militare appaiono in queste ore poco probabili; le forze armate bosniache sono state unificate nel 2006 e il Paese è militarmente stabile. Tuttavia La Bosnia-Erzegovina resta un Paese in bilico, nessuno degli Stati limitrofi è interessato a fomentare un’escalation dei conflitti etnici interni alla Bosnia né tanto meno una sua disgregazione. Il consolidamento dei legami di cooperazione e integrazione di alcuni Paesi chiave dell’area – Croazia e Serbia – con l’UE potevano facilitare il percorso di stabilizzazione e riforme della Bosnia. I mancati rapporti tra UE-Bosnia-Russia pesano più che mai in un Paese che cavalca una nuova crisi nell’area. Le recenti proteste esplose anche a Kiev sembrano riaprire una partita bipolare ormai da tempo dimenticata.

Gaetano Mauro Potenza è laureato in Scienze della difesa e della Sicurezza e laureando in Scienze dell’amministrazione e delle politiche pubbliche all’università “La Sapienza” di Roma.

Fonte: www.geopolitica-rivista.org
Link: http://www.geopolitica-rivista.org/25110/rivolte-in-bosnia-esplodono-i-balcani/
5.03.2014


Citazione
dana74
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"Per indurre le parti ad accettare il progetto di riforma, i rappresentanti dell’UE hanno promesso di accettare la domanda di adesione della Bosnia entro la fine del 2009, senza tuttavia transigere sul rispetto delle condizioni necessarie per avvicinare il Paese a Bruxelles. Parallelamente gli Stati Uniti hanno offerto la concessione del Membership Action Plan alla Bosnia da parte della NATO. Ciò non è comunque bastato a convincere i rappresentanti bosniaci, che hanno rifiutato a larga maggioranza le proposte di USA e UE. "

Se i bosniaci hanno rifiutato le proposte che a quanto pare non provenivano proprio in modo spontaneo dalle stesse autorità bosniache come sembra nella premessa


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Truman
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Andrea De Noni | Sarajevo
28 febbraio 2014

Dopo oltre venti giorni di manifestazioni diminuisce la partecipazione ai cortei, ma cresce l'importanza delle assemblee popolari, i Plenum, che ottengono i primi risultati. A Banja Luka i veterani si mobilitano contro il governo della Republika Srpska

Non demordono i bosniaci, dopo più di venti giorni dall'inizio della maggiore ondata di proteste nella storia del paese. Continuano a scendere in piazza, soprattutto a Tuzla, a Mostar e a Sarajevo. Nella capitale, non passa giorno senza che una piccola folla (martedì erano circa cinquanta persone, secondo i giornali locali) si riunisca a mezzogiorno per presidiare pacificamente l'incrocio tra le vie Maresciallo Tito e Alipašina, davanti all'Istituto di igiene, bloccando il traffico per qualche ora. A Mostar, sono una sessantina i cittadini che mercoledì hanno occupato Španski Trg. Se la partecipazione in queste due città potrebbe dare l'impressione di un primo, generale deflusso, occorre anche sottolineare però che nella stessa giornata, a Tuzla, circa mille persone hanno protestato di fronte al governo cantonale, dando così l'impressione – anche sotto il profilo numerico – che in fondo la popolazione non si sia ancora decisa ad abbandonare le barricate, dopo le concessioni fatte dalle istituzioni nel corso delle ultime settimane.

Si tratta, per il momento, di piccoli provvedimenti che hanno una portata locale. A Sarajevo, l'assemblea cantonale ha deciso, dopo una discussione durata quattro ore e che è stata abbandonata dai deputati del Partito per un futuro migliore (Savez za bolju budućnost, SBBBiH) di Fahrudin Radončić, di approvare all'unanimità quelle che erano state le richieste del plenum cittadino, e cioè:

1) la formazione di un governo tecnico, con rappresentanti che non siano espressione dei partiti;

2) la diminuzione degli stipendi pagati a funzionari e ad alti rappresentanti delle amministrazioni pubbliche;

3) la fine del bijeli hljeb, o “pane bianco”, come in Bosnia Erzegovina viene chiamato il diritto, riconosciuto ai ministri, di continuare a percepire il salario per un anno dopo il termine del loro mandato;

4) l'istituzione di una commissione d'inchiesta che esamini i processi di privatizzazione e di un'altra che invece indaghi sulle violenze e sulle responsabilità della polizia negli scontri del 7 febbraio scorso, che avevano portato – come si ricorderà – all'incendio di vari palazzi governativi tra cui quello della Presidenza del paese.

I risultati dei plenum
Rispetto alle settimane scorse, due sono forse le novità principali per quanto riguarda le proteste in Bosnia Erzegovina: la prima è che i plenum stanno cominciando ad avere un ruolo attivo nella vita politica bosniaca. La seconda è l'inizio della mobilitazione anche per quanto riguarda una categoria che, all'inizio, non era sembrata tra le più attive all'interno delle diverse correnti della protesta: i veterani di guerra.

Nei cantoni dove le proteste sono state più violente, con l'eccezione significativa di Mostar, le autorità cantonali hanno dimostrato la volontà di prendere in considerazione le richieste delle assemblee cittadine. A Tuzla, la città dove la 'rivolta bosniaca' aveva avuto inizio il 5 febbraio, l'Assemblea è stata la prima a votare per l'abolizione del 'pane bianco'. Oltre alla capitale, anche a Bihać l'Assemblea cantonale ha deciso di mettere al voto le proposte presentate dal plenum locale (le quali includono, tra le altre cose, anche la formazione di un'agenzia per l'impiego). Il voto avverrà il 4 marzo prossimo.

Solo a Mostar, per il momento, la politica sembra sorda alle richieste del plenum, che continua a riunirsi regolarmente negli spazi messi a disposizione dal centro Abrašević. Tra le proposte adottate dall'assemblea, c'è anche quella di congelare tutti i prestiti con il Fondo monetario internazionale per un periodo di cinque anni, così come la restituzione del debito: i soldi risparmiati in questo modo potrebbero essere usati, secondo i manifestanti, per “creare impiego” e per “permettere la ripresa economica del paese”.

Finora, però, le autorità cantonali non hanno dato spazio alla voce della cittadinanza, che ha deciso anche di lanciare una petizione per chiedere all'Assemblea del cantone di adottare le conclusioni del plenum. A oggi le firme raccolte sono circa un migliaio.

Anche se le conquiste ottenute attraverso il lavoro delle assemblee, in fondo, hanno una portata limitata (riguardando esclusivamente i cantoni) e anche se resta da verificare la capacità delle istituzioni di dare seguito a questi provvedimenti in un anno elettorale (a ottobre i cittadini di Bosnia Erzegovina dovranno recarsi alle urne per le elezioni politiche), l'attivismo dimostrato dai plenum e la loro capacità, per molti versi inedita, di influire direttamente sulle decisioni della politica ha suscitato l'entusiasmo di numerosi commentatori.

In molti, infatti, hanno tessuto nel corso delle ultime settimane le lodi di questi esperimenti di democrazia diretta. Tra le voci del coro a sostegno dei plenum, una delle più presenti è sicuramente quella di Asim Mujkić, docente ordinario alla facoltà di Scienze politiche di Sarajevo. In una recente intervista concessa al settimanale sarajevese Dani, Mujkić ha definito i plenum “isole di libertà”, che si oppongono “all'imperante narrazione capitalista, a favore del libero commercio”.

“In un certo senso”, questa l'analisi di Mujkić, “possiamo parlare di un momento estremamente simile alla fine degli anni ottanta, quando le parole d'ordine utilizzate dal comunismo non avevano più la capacità di mobilitare i cittadini”. Questo, secondo il professore, starebbe avvenendo anche ora, ma a tramontare è la dialettica etnica. “Con queste rivolte si è aperto uno spazio nel discorso pubblico, una nuova prospettiva, all'interno della quale la retorica etnica non trova posto, e questo secondo me è importante: l'etnopolitica comincia a perdere significato”.

I veterani scendono in piazza
L'altra grande novità della protesta è la partecipazione delle associazioni dei veterani, principalmente quelle della Republika Srpska, che hanno scelto a loro volta di manifestare la propria insoddisfazione nei confronti del governo.

Il ruolo degli ex combattenti all'interno del građanski bunt, la “insurrezione civica”, è stato inizialmente molto ambiguo. Se, da una parte, singoli veterani si sono visti all'interno delle assemblee e in strada, tra i manifestanti, è anche vero che le loro associazioni non hanno partecipato alle proteste e che permane, nei loro confronti, un senso di diffidenza se non di aperta ostilità: dopo tutto, in passato esse sono state spesso e volentieri tra le parti più restie al cambiamento della società, schierate a sostegno dei partiti tradizionali e beneficiarie di sostanziosi aiuti economici.

Ora le cose sembrano essere cambiate. Mercoledì scorso, a Banja Luka, più di mille veterani hanno protestato contro il governo dell'entità, per rivendicare condizioni di vita più dignitose. Una protesta alla quale non è stato dato nessuno spazio all'interno dei media della RS, e che è in programma anche per oggi.

Un successo, nonostante le difficoltà di organizzare una dimostrazione di massa nell'entità serba. “Soprattutto in tempi di crisi, è dura”, ha sottolineato Duško Vukotić, rappresentante dell'associazione dei veterani della RS, a Slobodna Bosna. “Qui, come in molte altre parti del paese, la gente che ha un lavoro spesso l'ha ottenuto, in un modo o nell'altro, attraverso legami con la politica. È normale che manifestare faccia paura, si temono le ritorsioni del governo, e di rimanere senza lavoro”.

Vukotić ha cominciato uno sciopero della fame per attirare l'attenzione dei media sulla
difficile situazione economica di molti veterani, ancora in età lavorativa, che però sono disoccupati e vivono in condizioni di povertà.

“Per squalificare la nostra protesta”, continua Vukotić, “le autorità hanno persino detto che dei membri dei 'berretti verdi' (appartenenti, cioè, al vecchio esercito bosgnacco degli anni della guerra) si sarebbero messi in viaggio per venire a protestare a Banja Luka. Secondo loro, farebbe tutto parte di un complotto per destabilizzare e diminuire l'autonomia della RS. È pazzesco, ma questo è il messaggio che sta cercando di trasmettere il nostro governo: se qualcuno si batte a Banja Luka per i propri diritti e la propria dignità, nel momento in cui delle persone della Federazione fanno lo stesso, diventa automaticamente un nemico della Republika Srpska”.

In settimana i veterani della RS sono stati ospitati anche in una trasmissione televisiva, 'Pošteno', sulla televisione federale, insieme ai loro antichi nemici dell'HVO, l'esercito croato bosniaco e dell'Armija bosniaca. “Ora combatteremo insieme per il nostro diritto ad avere un lavoro”, hanno detto all'unisono.

www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-primi-risultati-delle-proteste-148737


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