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Senza casa, senza lavoro, senza pensione: senza paura!


Eurasia
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Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici:
vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare.
Non vogliamo essere subito già così sicuri.
Non vogliamo essere subito già così senza sogni.

(Pier Paolo Pasolini)

Sette parole chiave dalla Spagna
(scritto durante la manifestazione del 15 maggio)

1. Il tempo. Il tempo accelera. I sensi si agitano. La paura paralizza i sensi, la vertigine li esalta. La acampada permanente alla Puerta del Sol è vertigine pura. Le ore passano rapide tra un concentramento e l’altro ma poi il tempo si dilata. Le notti si fanno luuuunghe. Il tempo si contrae e si espande mosso da una marea di gente (soprattutto, ma non esclusivamente, giovani). Sembra che siamo lì da anni e non sono trascorsi che tre giorni.

Le rivolte sono reali quando modificano lo spazio-tempo.

Lo spazio-tempo creato negli ultimi giorni ha una sola ossessione: la continuità. Paradossalmente essa è possibile solo mediante l’intermittenza. Mediante un entrare e uscire fisico dalla piazza. Mantenere viva l’esperienza sebbene non si è presenti. Per questo la acampada di Sol-Madrid (e tante altre) non si può comprendere senza le reti sociali. La continuità dell’esperienza si ottiene de-territorializzandola. Sono a Sol anche se sono a casa mia. Sono a Sol perché continuo a parlare di quello, perché non posso concentrarmi nel lavoro, perché non mi esce dalla testa. E appena posso, corro lì. Corro verso lì, mi inserisco di nuovo in quell’agente di connessione sociale e così altri potranno andare a riposare.

La concezione classica delle rivolte sociali prevede uno scenario che lega l’accumulazione delle forze e la continuità. Se proseguiamo più a lungo, se saremo di più, cadranno i tiranni. Questa mistificazione trae origine da una semplificazione di quel che è successo in Egitto e negli altri paesi arabi. Luoghi da cui abbiamo avuto notizie solo alla fine di un processo, non dal momento in cui sono sbocciati, non dai loro anni di visibilità e invisibilità, dai loro esperimenti falliti, dai loro vicoli ciechi e dai ritorni indietro.

Quel che accade in questi giorni non è il finale, non è il momento decisivo, è il punto di partenza.

2. La comunicazione. La comunicazione è la forma di organizzazione della politica. La gente diventa il mezzo di comunicazione. Le reti sociali non sono tanto il mezzo quanto il territorio espressivo e organizzativo. Il senso comune si tesse in forma di flusso e di meme. Dalla logica della fiducia condivisa di Facebook si passa alla logica della vita diretta di Twitter.

Lo slogan circola moltiplicato. Senza versioni ufficiali il rumore si accende. I mezzi di comunicazione tradizionali si trovano di fronte una cacofonia dadaista impossibile da interpretare. Si aggrappano a quel che possono, proiettano le loro impostazioni.

L’auto-narrazione del processo esclude (per il momento*) lo streaming live, ma la necessità di contarsi, di raccontare il vissuto, gli aneddoti, il «io ero lì» si intensifica.
L’ossessione dei mezzi di comunicazione di ri-trasmettere le manifestazioni dal loro interno riporta all’ossessione della perdita della centralità. Gli esperti e gli analisti si rivelano incapaci di pensare con la propria testa e regalano (a destra e a sinistra) una sola voce. La sensazione per lo spettatore attraversato dall’esperienza è la stessa di quei fans di Lost che hanno assistito ai tentativi dei commentatori di spiegare la fine della serie: un misto di stupore, vergogna e scherzo.

3. I poteri. In questi momenti si dispiega una capacità espressiva enorme nella quale chiunque sia riunito in un gruppo crede di essere la rappresentazione del tutto. La sensazione di riprendere un potere è tale che si arriva a credere che quello che ognuno fa sia rappresentare tutti gli altri. È una logica ragionevole e difficile da disimparare ma è necessario disattivarla. La potenza del movimento viene dalla sua impossibilità di essere rappresentato. Non ci rappresentano... perché non possono rappresentarci.

Come in qualsiasi rete dispersa, esiste una moltitudine di centri che non sono «il centro» ma stazioni che ripetono i segnali, le proposte e i significati. Prima la creatività. L’egemonia di chi porta la battuta in ogni momento (Democracia Real YA? Le assemblee delle piazze? Le commissioni delle assemblee? Twitter? I miei compagni e io?) è completamente mutevole.

Le assemblee non sono spazi di produzione di un senso ma una catarsi collettiva. Di un desiderio enorme di parlare e parlare e parlare. Si mescolano linguaggi memorizzati («El pueblo unido jamas serà vencido») con nuove forme di espressione: «Errore 404 Rottura del sistema», «Scaricando democrazia», «Non è una crisi, è una truffa».

Nel campo istituzionale, prima la follia. In 72 ore abbiamo visto assolutamente tutta la classe politica passare da «questo non sta succedendo» a «questo non è importante» e nelle ultime ore a «Noi siamo voi!». Ancora, grottesco. L’impossibilità di definire la mobilitazione in un quadro chiaro di sinistra-destra che ha mantenuto il consenso sociale dalla transizione comincia a rivelare una nuova logica: sopra e sotto.

Incapaci di controllare ciò che sta succedendo, il meccanismo di controllo sul movimento è una domanda facile, una domanda costante: che proponete?

4. Le proposte. L’esigenza di proposte è un meccanismo di controllo. Un modo per riempire il vuoto di ciò che non si può rappresentare. Un meccanismo che non è esclusivo dei mezzi di comunicazione e della classe politica ma anche di alcune espressioni del movimento. Avere una risposta permette di attribuire una classificazione ai ribelli. Permette di dire: «Ah, sono utopisti», «Ah, sono populisti», «Uffa, sono di sinistra», «Ah, vogliono l’impossibile», «Oh, che naif», «No, non sono radicali», «Dicono delle cose ragionevoli».

Si impone, senza dubbio, il silenzio. O qualcosa di molto simile al silenzio, che è una cacofonia di segnali apparentemente contraddittori.

Per quanto ci possa procurare angoscia, forse un buon punto di partenza sarebbe dire: «Al contrario di voi che fingete di saper tutto, noi non sappiamo ancora». Mette fretta chi vuole arrivare presto da qualche parte. Non è il caso.

Nelle piazze, la discussione stessa è più importante della sua conclusione. La responsabilità è difendere ed estendere tutto questo. Continuare a discutere. Continuare a parlare. Avere fiducia nello stesso senso comune che ha portato migliaia di persone a resistere per strada per giorni. Per il momento, non c’è andata male.

5. Democracia- Real-Ya. Questo logo, questo slogan che attraversa tutta la mobilitazione è una delle sue parti costituenti e perciò i media e la classe politica hanno deciso di non farci molto caso. Eppure è abbastanza facile: «Democrazia», ma non qualsiasi democrazia, una democrazia reale. Ciò che è reale è ciò che si oppone a ciò che è simulato. Questo vuol dire che il logo (uno dei loghi) sotto il quale si costruisce questo movimento dice che quello che il potere costituito chiama democrazia è una menzogna. E chiede la costruzione di un’altra cosa che rompa questo simulacro. Ma non la immagina in termini utopici o lontani. La vogliamo adesso. «Ya» vuol dire che dobbiamo poterla toccare, che deve attraversarci la vita, che non è una chiacchiera ma una costruzione. Che non esiste e che, quindi, bisogna farla.

6. Allora, domani? È molto difficile pensare a un domani quando sei attraversato dai fatti di oggi. È ancora più difficile quando la retorica della classe politica si è sostenuta sempre sul domani. Nel movimento ora il dom
ani è impensabile. C’è solo l’adesso. Per il potere istituzionale, le elezioni del prossimo 22 maggio sono un momento di ri-legittimazione. Un momento di restituzione della governabilità. Un momento per rimettere i piedi nel piatto e tornare a disegnare la mappa del possibile.

Le elezioni hanno funzionato per il momento come un elemento diffuso e, forse, unificatore a livello simbolico. Ma nelle acampadas, nelle riunioni, ecc., le parole che più si ascoltano sono «connettere», «estendere» e «costruire».

Il 23 maggio si comincerà a risolvere questa questione, come diceva una scritta il giorno della manifestazione.

Punto numero 7: Allegria, allegria, allegria.

:

http://madrilonia.org/?p=1895

* Per evitare di sottostare alle menzogne dei mezzi di comunicazione ufficiali in seguito gli studenti hanno deciso di informare i cittadini anche attraverso un loro canale sul web, che da giovedì 19 maggio trasmette in streaming la diretta di quello che accade giorno e notte a Puerta del Sol.

Fonte: http://attaccabottone.blogspot.com/


Citazione
dana74
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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"Le proposte. L’esigenza di proposte è un meccanismo di controllo. Un modo per riempire il vuoto di ciò che non si può rappresentare. Un meccanismo che non è esclusivo dei mezzi di comunicazione e della classe politica ma anche di alcune espressioni del movimento. Avere una risposta permette di attribuire una classificazione ai ribelli. Permette di dire: «Ah, sono utopisti», «Ah, sono populisti», «Uffa, sono di sinistra», «Ah, vogliono l’impossibile», «Oh, che naif», «No, non sono radicali», «Dicono delle cose ragionevoli». "

sarà anche una tattica, ma occhio che quel set di proposte non sia COMPILATO da qualcun altro, stile Comitato di Transizione Libico......


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