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Siria - Le parole della guerra


Eurasia
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David Rieff, Foreign Policy, Stati Uniti

Quando gli scontri hanno raggiunto Damasco, la Croce Rossa ha dichiarato che in Siria è in corso una “guerra civile”. Così ha legittimato i ribelli e inferto un colpo al regime.

Il comitato internazionale della Croce Rossa è il custode ufficialmente riconosciuto delle leggi di guerra. Tra le sue prerogative c’è quella di arbitro della semantica dei conflitti interni e internazionali. Quando, il 15 luglio 2012, alcune parti di Damasco sono diventate zone free fire – dove l’esercito può sparare senza preavviso – la Croce Rossa ha dichiarato che, in base al diritto internazionale, in Siria la “guerra civile” è totale.
E’ improbabile che questo abbia delle conseguenze immediate sulla situazione nel paese, e che i ribelli si accontentino di questa definizione – per molti di loro è solo una conferma dell’ovvio – quando invece avrebbero voluto l’invio di più aiuti militari dall’estero, se non un vero e proprio intervento internazionale. Dal punto di vista terminologico, la Croce Rossa è arrivata in ritardo ma aveva buoni motivi per aspettare. Questa dichiarazione porta con sé importanti conseguenze giuridiche, mentre quelle fatte da altre istituzioni sono considerate più opinioni che veri e propri fatti.

L’esempio del Ruanda
I protagonisti del conflitto siriano non hanno mai moderato i termini. Alle Nazioni Unite si parla di guerra civile ormai da mesi. Il regime di Bashar al Assad considera i ribelli dei terroristi. I capi dell’Esercito siriano libero e di altri gruppi ribelli parlano di guerra di liberazione. Tutti ammettono che si tratta di un conflitto per il controllo dello stato. Quindi di una guerra civile. Ma questo solleva un problema: se le parti in campo sono già convinte di stare combattendo una guerra civile, ha importanza la definizione della Croce Rossa?
Sì, ce l’ha. I termini usati per designare un conflitto non fanno sempre la differenza, ma in alcuni casi, come quello della Siria, sono importanti. Basta pensare al tentativo dell’amministrazione Clinton, nella primavera-estate del 1994, di impedire che il Consiglio di sicurezza dell’ONU usasse la parola “genocidio” per descrivere la tragedia in corso in Ruanda. Gli Stati Uniti si comportarono così perché erano convinti che definirla in questo modo – in base alla Convenzione sul genocidio del 1948, che Washington aveva ratificato dopo quarant’anni – avrebbe obbligato l’ONU a intervenire. Anche la Francia si opponeva all’uso del termine, ma più a causa dei suoi rapporti con il regime hutu che stava istigando i suoi al genocidio.
Il Ruanda non è l’unico esempio. Il dibattito su quando e in quali circostanze sia legittimo che forze esterne intervengano militarmente negli affari interni di un regime ritenuto responsabile di usare la violenza contro la sua popolazione, si è sempre concentrato sulle definizioni giuridicamente vincolanti, più che sulle considerazioni morali. La legge può essere una seccatura ma, per parafrasare quello che John Locke diceva della ragione, il diritto internazionale è probabilmente tutto quello che abbiamo per limitare gli orrori della guerra e i crimini commessi dai governi contro i loro popoli

Accuse più gravi
Nel caso della Siria la dichiarazione della Croce Rossa ha conseguenze concrete sia per chi combatte sia per gli attori esterni. All’interno, il fatto che il conflitto sia stato definito una guerra civile aumenta la possibilità che le parti in causa possano essere accusate di crimini di guerra in base al diritto internazione umanitario. Mentre i processi per crimini contro l’umanità possono essere intentati qualunque sia la natura del conflitto, la categoria dei crimini di guerra può essere applicata solo quando è stato accertato che ci sia una guerra in corso.
E’ per questo – non solo per il criminale negazionismo che sembra contraddistinguere la dittatura di Damasco – che i rappresentanti siriani all’ONU hanno insistito perché non fosse usata l’espressione “guerra civile”. Al contrario, i sostenitori dei ribelli hanno spinto perché fosse adottata, sebbene anche l’opposizione armata sia accusata di aver commesso delle atrocità
Questa distinzione tra crimini di guerra e crimini contro l’umanità può sembrare un dettaglio tecnico, ma non lo è. E’ stata una decisione importante. Alla metà di giugno il sottosegretario generale per operazioni di peacekeeping dell’ONU Hervé Lasous ha usato l’espressione “guerra civile” per quanto riguardava la Siria. Ma il segretario generale Ban Ki-moon (si dice dietro insistenza dei russi) si è affrettato a dichiarare che l’organismo mondiale non intendeva “definire il conflitto”. La decisione della Croce Rossa mette fine al dibattito e, intenzionalmente o no, assesta un duro colpo al regime di Assad, negando la versione secondo cui Damasco si scontrerebbe con dei terroristi finanziati da governi stranieri.
Mentre il conflitto è ancora in corso, non è possibile avviare un processo per crimini di guerra. Se a questo si aggiunge il fatto che Assad e i suoi collaboratori sono convinti di combattere per la propria sopravvivenza, è improbabile che l’incriminazione della Corte penale internazione (Cpi) sia in cima alle loro preoccupazioni. Ma nel momento in cui – come dimostrano le recenti defezioni – molti dirigenti politici siriani stanno decidendo se rimanere fedeli al regime, la possibilità di essere accusati di crimini di guerra è un’eventualità che sicuramente devono prendere in considerazione. Il giudizio della Croce Rossa è applicabile sia al regime sia agli insorti, ma in pratica pesa di più sul governo, anche perché l’opposizione ha il sostegno di Stati Uniti, Francia, Turchia, Arabia Saudita e Qatar.

Giustizia e politica
Come dimostra il caso della Libia, è molto più facile che la Corte penale internazionale incrimini le personalità poco gradite ai paesi potenti che hanno aderito alla Cpi, e non quei leader che questi stessi paesi hanno appoggiato a livello diplomatico, economico e militare. E chiunque pensi che il diritto non è condizionato dalle pressioni politiche probabilmente è molto distratto. Gli esempi non mancano, che si tratti del giudizio della corte suprema degli Stati Uniti sulla riforma sanitaria di Obama o di quello della corte costituzionale tedesca sulla legalità della partecipazione della Germania ai vari progetti di salvataggio economico dell’Unione europea.
Fatta eccezione per la Russia e l’Iran, le maggiori potenze mondiali e alcuni importanti esponenti del segretariato dell’ONU si sono espressi esplicitamente o implicitamente a favore dei ribelli. E definire quello che sta accadendo in Siria una guerra civile stabilisce un’equivalenza morale e istituzionale tra il governo e i ribelli che serve anche a legittimare la ribellione e a delegittimare il regime di Assad.
Questo non significa che la Croce Rossa non avesse ragioni ben fondate per giungere alla conclusione che il conflitto in Siria è diventato una guerra civile. Anzi, da quando il 15 luglio i combattenti hanno coinvolto Damasco, questo giudizio era ormai inevitabile. Ma anche se vogliamo credere che la Croce Rossa abbia agito per motivi puramente giuridici e nella massima imparzialità, non dovremmo confondere le intenzioni con gli effetti.

In pratica questa dichiarazione avrà un effetto favorevole per i ribelli o, come minimo, sfavorevole per Assad. Per questo è stata ben accolta a Washington, Parigi e Ankara. Se pensiamo che l’unica soluzione accettabile per la crisi siriana sia la caduta del regime di Assad, la decisione della Croce Rossa ci sembrerà giusta sia dal punto di vista giuridico sia da quello morale. Ma la storia non è un dramma allegorico che contrappone le forze del bene a quelle del male, anche se i sostenitori dei ribelli siriani vorrebbero dipingerla così. Quello
che si nasconde dietro alla decisione della Croce Rossa è molto più complicato. Ma forse, come diceva Bismark, non bisognerebbe guardare troppo da vicino come vengono fatte le leggi e le salsicce. (bt)

David Rieff è un giornalista statunitense. In Italia ha pubblicato, tra l’altro, Sulla punta del fucile (Fusi orari 2007) e Un giaciglio per la notte (Carocci 2005). Sarà ospite del festival di Internazionale a Ferrara dal 5 al 7 ottobre 2012.

Fonte: Internazionale del 20/26 luglio 2012


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ws
 ws
Honorable Member
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Ma dopo " la libia" qualcuno aveva ancora dei dubbi sul ruolo puttanesco della cosidetta "croce rossa" ? 8)


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marcopa
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Questa tesi non mi convince.

Se c'e' ufficialmente una guerrra civile diventa piu' difficile un intervento militare di altri stati e la possibilita' dei cosiddetti ribelli di vincere da soli mi sembra ancora da dimostrare.

Guardate che sulla crisi siriana, come sulla guerra libica, ci hanno raccontato una valanga di bugie.
E gli avvenimenti dell' ultima settimana sono ancora da valutare per le loro conseguenze immediate.

Oggi l'ONU doveva decidere se rinnovare la missione degli osservatori e il piano Annan per 45 giorni.

Obama aveva dichiarato che essendo stata bocciata la risoluzione ONU da Cina e Russia, gli Usa non avrebbero permesso la continuazione della missione degli osservatori, ma i paesi europei discutevano come farla continuare ugualmente.

Oggi non ricordo di avere letto niente a riguardo. Ma se il piano Annan continua in qualche modo, e la Conferenza di Ginevra avra' un seguito le cose cambiano.

Intanto Terzi ha detto che va rafforzato il ruolo degli "Amici della siria", cioe' uno spazio non istituzionale e neutrale ma di parte.

Io segnalo a tutti l' importanza di capire quali sono ora i passaggi veri dell' ONU, che una qualche iniziativa dovra' averla.


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marcopa
Illustrious Member
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Siria,20 luglio-Missione osservatori ONU continua per altri 30 giorni

La missione degli osservatori ONU in Siria e' stata prorogata per altri 30 giorni. Dopo il veto russo-cinese alla risoluzione dei paesi Nato, gli Stati Uniti avevano dichiarato che la missione dei 300 osservatori ONU era finita. Invece continua, cosi' come prosegue l' impegno nella crisi siriana di Kofi Annan.

Secondo l'ex segretario ONU la missione potrebbe ora cambiare accento, dedicandosi alla ricerca di una soluzione politica. Questa nuova funzione era stata richiesta in qualche modo anche dalla diplomazia russa. Secondo Marina Forti del Manifesto, Russia e Cina avrebbero giustificato il loro veto con l'argomento che la risoluzione era "squilibrata",sanzionando solo una delle parti in conflitto. E il veto ha impedito di accelerare lo show down contro il regime e impone di prolungare la crisi.

Forse ha impedito un vero e proprio intervento militare Nato, al quale, se si fosse verificato, sicuramente avrebbe fornito l' avvallo ONU. Il ministro italiano Terzi ha dichiarato che ora devono muoversi "gli amici della Siria" confermando un dualismo tra l' iniziativa dei paesi Nato e quella dell' ONU, ora indubbiamente molto debole ma che rimane l' unica legittima e i pacifisti di tutto il mondo dovrebbero appoggiare e valorizzare.

www.perunconflittononviolento.blogspot.it


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