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Surreale intervista ad un palestinese ed un israeliano


fasal75
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Originale italiano con link: http://znetitaly.altervista.org/art/8686

Perché Gaza deve soffrire di nuovo

Di Jonathan Cook

18 Novembre 2012

Una breve intervista trasmessa dalla CNN alla fine della scorsa settimana che presentava due partecipanti -un palestinese a Gaza e un israeliano a portata degli attacchi di razzi – non ha seguito il solito copione.

Per una volta, un organo di informazione ha abbandonato il proprio ruolo di guardiano che sta lì a mediare e quindi a pregiudicare la nostra comprensione di ciò che sta succedendo tra Israele e i Palestinesi, e inavvertitamente è diventato una semplice finestra sugli eventi reali.

Il normale scopo di queste interviste di “equilibrate” collegate al conflitto israelo-palestinese è duplice: rassicurare il pubblico che entrambi i lati della storia vengano presentati correttamente, e dissipare la potenziale indignazione per le morti dei civili palestinesi concedendo lo stesso tempo alla sofferenza degli israeliani.

La funzione più profonda, però di questo tipo di copertura concernente Gaza, data l’ipotesi dei media che le bombe di Israele siano soltanto una reazione al terrore di Hamas, è di dirigere la rabbia del pubblico soltanto verso Hamas. In questo modo, Hamas viene considerato implicitamente responsabile delle sofferenze sia degli israeliani che dei palestinesi.

La conclusione drammatica rispetto all’intervista della CNN, sembra, tuttavia, aver altrimenti battuto le normali considerazioni giornalistiche.

L’intervista pre-registrata tramite skype si apriva con Mohammed Sualaiman a Gaza. Da quella che sembrava una stanza stretta, che forse serve come rifugio antiaereo, parlava di come avesse troppa paura di mettere il piede fuori di casa. Durante tutta l’intervista, si poteva udite il suono smorzato delle bombe che esplodevano molto vicino. Mohammed ogni tanto si guardava nervosamente intorno.

Anche l’altro intervistato, Nissim Nahoom, un ufficiale israeliano a Ashkelon, parlava del terrore della sua famiglia, sostenendo che non era diverso da quello degli abitanti di Gaza. tranne per un aspetto, si è affrettato ad aggiungere: le cose erano peggiori per gli israeliani perché dovevano vivere sapendo che i razzi di Hamas hanno lo scopo di fare del male ai civili, al contrario dei missili di precisione e delle bombe che Israele faceva cadere su Gaza.

L’intervista continuava con Mohammed. Appena ha iniziato a parlare, il rumore dei bombardamenti è diventato più forte. Ha continuato dicendo che quello che accadeva fuori non lo avrebbe fatto tacere. L’intervistatore, Ishas Sesay, si è interrotto -apparentemente non sicuro di quanto sentiva -per informarsi di quel rumore.

Poi, con un’ironia che Mohammed non avrebbe potuto apprezzare mentre parlava, cominciò a dire che rifiutava di essere oggetto di un paragone su quale sofferenza fosse peggiore, quando un’enorme esplosione lo ha fatto cadere dalla sedia e ha interrotto la connessione internet. Tornando in linea nello studio, Sesay ha rassicurato i telespettatori che Mohammed non era stato ferito.

Tuttavia le bombe parlavano in modo più eloquente di Moahhemd o Nissim.

Se Mohammed avesse avuto più tempo, forse avrebbe potuto contestare il punto di vista di Nissim riguardo alle maggiori paure di Israele e anche indicare un’altra importante differenza tra la sue difficili condizioni e quelle del suo interlocutore israeliano.

La precisione di gran lunga maggiore degli armamenti israeliani in nessun modo conferisce pace mentale. Il fatto è che un civile palestinese a Gaza rischia di gran lunga di più di essere ucciso o ferito da una delle armi di precisione di Israele rispetto a un israeliano che venga colpito da uno dei più primitivi razzi lanciati da Gaza.

Durante l’Operazione Piombo Fuso, cioè l’attacco di Israele contro Gaza dell’inverno 2008-2009, tre israeliani sono stati uccisi da attacchi con i razzi, e 6 soldati sono morti in combattimento. Nel frattempo, a Gaza, circa 1.400 palestinesi sono stati uccisi, dei quali almeno 1.000 non erano stati coinvolti nelle ostilità, secondo il gruppo israeliano B’Tselem. Molti di quei civili, se non la maggior parte, sono stati uccisi dalle cosiddette bombe di precisione e dai missili.

Se gli israeliani come Nissim credono veramente che essi devono sopportare maggiori sofferenze perché i palestinesi mancano di armi di precisione, allora forse dovrebbero iniziare a fare pressioni su Washington per distribuire i loro armamenti in modo più equo, in modo che i palestinesi possano ricevere le stesse assegnazioni di aiuti militari e di armamenti rispetto a Israele.

Oppure, in alternativa, potrebbero fare pressioni sul loro stesso governo perchè permetta all’Iran e ad Hezbollah, di portare a Gaza una tecnologia più sofisticata che attualmente può essere fatta entrare clandestinamente attraverso i tunnel.

L’altra differenza è, che al contrario di Nissim e della sua famiglia, la maggior parte della popolazione di Gaza non ha un altro posto dove scappare. E il motivo per cui devono vivere sotto una pioggia di bombe, in una delle arre più densamente popolate della terra, è che Israele -e in minor misura l’Egitto -ha chiuso i confini per creare una prigione per loro.

Israele ha negato un porto a Gaza, il controllo dello spazio aereo, e il diritto degli abitanti di spostarsi nell’altro territorio palestinese riconosciuto dagli accordi di Oslo: la Cisgiordania. Non è che Hamas, come asseriscono i sostenitori di Israele, si nasconde tra i civili palestinesi; è Israele, piuttosto, che ha costretto i civili palestinesi a vivere in una minuscola striscia di terra che ha trasformato in una zona di guerra.

Chi è quindi da incolpare principalmente per la escalation che attualmente minaccia i quasi due milioni di abitanti di Gaza? Sebbene le mani di Hamas non siano completamente pulite, ci sono colpevoli molto più responsabili che i militanti palestinesi.

Primo colpevole: Lo stato di Israele

La causa che ha spinto al più recente scontro tra Israele ed Hamas, ha poco a che fare con il lancio di razzi, sia da parte di Hamas che di altre fazioni palestinesi.

Il conflitto è antecedente di decenni ai razzi, e perfino alla creazione di Hamas. E’ il lascito dello sfratto dei palestinesi fatto da Israele nel 1948 che ha costretto molti a lasciare le loro case che erano in quella che è ora Israele, per andare nella minuscola striscia di Gaza. Quella ingiustizia originaria è stata aggravata dall’occupazione che Israele non solo non è riuscita a terminare, ma che si è di fatto intensificata negli anni recenti con il suo incessante assedio della piccola striscia di territorio.

Israele ha progressivamente soffocato la vita di Gaza, distruggendo la sua economia, devastando periodicamente le sue infrastrutture, negando ai suoi abitanti la libertà di movimento e lasciando la sua popolazione impoverita.

Basta soltanto guardare alle restrizioni imposte sull’accesso per gli abitanti di Gaza al loro mare. Qui non stiamo considerando il loro diritto di usare la loro costa per uscire ed entrare nel loro territorio, semplicemente il loro diritto di usare le loro acque per alimentarsi. In base a un provvedimento presente negli accordi di Oslo, a Gaza sono stati dati i diritti di pescare fino a circa 32 km dalla costa. Israele lo ha lentamente ridotto a tre miglia, con le imbarcazioni della marina israeliana che sparano su quei pescherecci perfino all’interno di quel limite irrisorio.

I palestinesi di Gaza sono autorizzati a lottare per il loro diritto di vivere e pro
sperare. La lotta è una forma di auto-difesa, non di aggressione, contro l’occupazione, l’oppressione, il colonialismo, e l’imperialismo.

Secondo colpevole: Benyamin Netanyahu and Ehud Barak

Il primo ministro israeliano e il ministro della difesa hanno dato personalmente e direttamente una mano, ben oltre il ruolo più ampio di Israele, nell’imporre l’occupazione, nel far aumentare la violenza.

Israele e i suoi sostenitori hanno considerano sempre come loro prima priorità, quando Israele avvia una nuova guerra di aggressione, confondere la cronologia degli eventi in modo da offuscarne la responsabilità. I media volentieri imitano questi sforzi di dare indicazioni sbagliate.

In realtà, Israele ha architettato uno scontro per fornire il pretesto di un attacco “per rappresaglia”, proprio come aveva fatto quattro anni prima nell’Operazione Piombo Fuso. Israele ha poi interrotto un cessate il fuoco di sei mesi concordato con Hamas, organizzando un’incursione a Gaza che ha ucciso 6 membri di Hamas.

Questa volta, l’8 novembre Israele ha raggiunto lo stesso scopo invadendo di nuovo Gaza, in questa occasione dopo una pausa di due settimane nelle tensioni. Un ragazzo di 13 anni che giocava a pallone è stato ucciso da una pallottola israeliana.

Violenze fatte per rappresaglia nei giorni seguenti hanno causato il ferimento di otto israeliani, compresi quattro soldati, e la morte di cinque civili palestinesi e il ferimento di molti altri a Gaza.

Il 12 novembre, nel quadro dello sforzo di calmare le cose, le fazioni militanti palestinesi si sono accordate per una tregua che ha retto per due giorni – fino a quando Israele la ha interrotta uccidendo il capo militare di Hamas, Ahmed Jabari. I razzi provenienti da Gaza che sono seguiti a queste varie provocazioni di Israele, sono state travisate come la causa della guerra.

Se però Natanyahu e Barak sono responsabili di aver creato il preteso immediato per un attacco a Gaza, hanno dimostrato una negligenza criminale nel non essere riusciti a perseguire l’opportunità di assicurare una tregua molto più lunga

Sappiamo adesso, grazie al pacifista israeliano Gershon Baskin, che nel periodo che ha portato all’uccisione di Jabari, l’Egitto aveva lavorato per assicurare un tregua a lungo termine tra Israele e Hamas. Sembra che Jabari fosse desideroso di aderirvi.

Baskin che era coinvolto profondamente nei colloqui, rappresentava un canale fidato tra Israele e Hamas perché l’anno scorso aveva avuto un ruolo chiave nel riuscire a far firmare a Jabari uno scambio di prigionieri che ha portato al rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit. Bakin ha notato, sul quotidiano Haaretz, che l’assassinio di Jabari “ha ucciso la possibilità di ottenere una tregua e anche l’abilità dei mediatori egiziani di operare con efficacia”.

Il pacifista aveva già incontrato Barak per richiamare la sua attenzione sulla tregua, ma sembra che il ministro della difesa e Netanyahu avessero preoccupazioni più urgenti che porre fine alle tensioni tra Israele e Hamas.

Che cosa potrebbe essere stato più importante che trovare un meccanismo per salvare delle vite, sia sul lato palestinese che su quello israeliano? Baskin offre un indizio:”Coloro che hanno preso la decisione devono essere giudicati dagli elettori, ma con mio dispiacere otterranno più voti proprio per questo.”

Sembra che le elezioni generali di Israele, stabilite per gennaio, fossero il pensiero dominate di Netanyahu e di Barak.

Come nota Baskin, una lezione appresa dai leader israeliani negli anni recenti, è che le guerre servono a ottenere voti soltanto per la destra. Questo dovrebbe essere chiaro a nessuno altro se non a Netanyahu. E’ diventato primo ministro per due volte in precedenza, in seguito a guerre fatte dai suoi oppositori politici più “moderati” quando affrontavano le elezioni.

Shimon Peres, una colomba, da nessun punto di vista tranne per uno israeliano particolare, ha lanciato un attacco contro il Libano, l’Operazione Frutti della Collera, che gli costò la vittoria nelle elezioni del 1996. E il centrista Ehud Olmert e Tzipi Livni aiutarono di nuovo Netanyahu a vincere attaccando Gaza alla fine del 2008.

Sembra che Israele preferisca un leader a cui non dà fastidio mettere un guanto di velluto sul suo pugno di ferro.

Netanyahu stava già avanzando decisamente nei sondaggi quando ha coniato il nome dell’Operazione Pilastro della Difesa. Le fortune elettorali di Ehud Barak, a volte descritto come il fratello siamese politico di Netanyahu e suo mentore militare fin dai tempi trascorsi insieme nel commando sono però sempre apparse davvero cupe.

Barak aveva un disperato bisogno di una campagna militare piuttosto che politica per aumentare la sua reputazione e di far arrivare il suo rinnegato partito dell’Indipendenza al di là soglia elettorale e nel parlamento israeliano. Sembra che Netanyahu, pensando di avere personalmente poco da perdere da un’operazione a Gaza, forse è stato disponibile a fargli un favore.

Terzo colpevole: l’esercito israeliano

L’esercito di Israele è diventato dipendente da due dottrine che chiama il “principio di dissuasione” e il “suo margine militare qualitativo”. Entrambe sono modi bizzarri di dire, come qualche personaggio della mafia, che l’esercito israeliano vuole essere sicuro che soltanto lui può “battere” i suoi nemici. Dissuasione, nel linguaggio israeliano, non si riferisce all’equilibrio della paura ma al diritto esclusivo di Isrele di usare il terrore.

Ammucchiare razzi come fa Hamas, disturba, perciò, il personale senso di proprietà dell’esercito israeliano, proprio come lo stoccaggio di Hezbollah più a nord. Israele vuole che i suoi nemici vicini non abbiano alcuna capacità di opporsi ai suoi ordini.

Senza dubbio l’esercito era molto pronto a sostenere la propaganda elettorale di Netanyahu e di Barak se questa forniva anche un’occasione di vuotare un po’ l’arsenale di razzi di Hamas.

C’era però un altro motivo strategico per cui l’esercito israeliano era impaziente di usare di nuovo la mano pesante contro Hamas.

La settimana scorsa i due principali corrispondenti militari di Haaretz hanno spiegato la logica della posizione dell’esercito poco dopo che Israele aveva ucciso Jabari. Hanno riferito: “Oramai da lungo tempo Israele ha perseguito una politica di contenimento nella Striscia di Gaza, limitando la sua reazione allo sforzo prolungato da parte di Hamas di dettare nuove regole di gioco riguardo alla recinzione, specialmente nel suo tentativo di evitare l’entrata del IDF (Israel Defense Forces – Forze di difesa israeliane) nel ‘perimetro’, cioè la striscia larga poche centinaia di metri verso a ovest della recinzione.

In breve, Hamas ha fatto infuriare i comandanti di Israele rifiutando di stare tranquillo mentre l’esercito tratta vaste aree di Gaza come campo da gioco e vi entra quando vuole.

Israele ha creato quelle che definisce “zona cuscinetto” all’interno della recinzione che circonda Gaza, spesso larga anche un chilometro, dove i palestinesi non possono entrare, ma che gli israeliani possono usare come entrata per effettuare le sue “incursioni”. Armi telecomandate e montate su torri di guardia israeliane intorno a Gaza possono aprire il fuoco su qualsiasi palestinese che pensato si sia avvicinato troppo.

Tre incidenti accaduti poco prima dell’ esecuzione extragiudiziale di Jabari, dimostrano la lotta per il controllo sull’interno di Gaza.

Il 4 novembre, l’esercito israeliano ha sparato e ucciso un giovane palestinese all’interno di Gaza poiché avevano riferito che si era avvicinato alla recinzione. I palestinesi dicono che era malato di mente e che poteva essere salvato dai medi
ci se le non si fosse impedito per diverse ore alle ambulanze di soccorrerlo.

L’8 novembre, come già osservato, l’esercito israeliano ha fatto un’incursione a Gaza per attaccare dei militanti palestinesi e nel corso di questa ha sparato e ucciso un ragazzo che giocava a pallone.

E il 10 novembre, due giorni dopo, i combattenti palestinesi hanno sparato un razzo anticarro che ha distrutto una jeep che sorvegliava la recinzione intorno a Gaza e hanno ferito quattro soldati.

Come osservano gli inviati di Haaretz, sembra che Hamas stia cercando di dimostrare che ha altrettanto diritto di difendere la sua “recinzione di confine” di quanto ne ha Israele dall’altra parte.

La reazione dell’esercito a questa dimostrazione di tracotanza locale, è stata di infliggere una forma selvaggia di punizione collettiva contro Gaza per ricordare ad Hamas chi è che comanda.

Quarto colpevole: la Casa Bianca

E’ quasi impossibile credere che Netanyahu abbia deciso di far rivivere la politica di Israele delle uccisioni extra-giudiziali dei dirigenti di Hamas – e dei passanti – senza almeno consultare la Casa Bianca. Israele chiaramente si è astenuto dall’iniziare l’ escalation di questa politica almeno fino a dopo le elezioni americane, limitandosi, come ha fatto con l’Operazione Piombo Fuso, ad agire momento di pausa che c’è nella politica statunitense tra le elezioni e l’insediamento del presidente.

Questo è stato designato per evitare di procurare eccessivo imbarazzo al presidente degli Stati Uniti. Un’ipotesi giusta deve essere che Barack Obama abbia approvato in precedenza l’operazione di Israele.

Ha certamente fornito largo appoggio, dato che, malgrado gli scenari sfrenatamente ottimisti dipinti da alcuni analisti che egli avrebbe probabilmente cercato la vendetta su Netanyahu durante il suo secondo mandato.

Si dovrebbe anche ricordare che la belligeranza di Israele contro Gaza, e la diminuzione della pressione interna su Israele perché tratti con Hamas o arrivi a un cessate il fuoco, è stata in gran parte resa possibile perché Obama ha costretto i contribuenti statunitensi a sovvenzionare massicciamente l’intercettazione del sistema di missili israeliani, che si chiama Iron Dome, Cupola di ferro, al costo di centinaia di milioni di dollari.

Iron Dome si sta usando per abbattere i razzi lanciati da Gaza che avrebbero potuto altrimenti atterrare in zone di Israele edificate. Israele e la Casa Bianca sono stati quindi in grado di presentare la munificenza statunitense sull’ intercettazione dei razzi come gesto umanitario.

La realtà, però, è che Iron Dome ha il calcolo costi-benefici favorevole a una maggiore aggressione, perché ha accresciuto il senso di impunità di Israele. Qualunque sia l’abilità di far entrare clandestinamente a Gaza armamenti più sofisticati, Israele pensa di poter neutralizzare quella minaccia usando sistemi di intercettazione.

Lungi dall’essere una misura umanitaria, Iron Dome è servito semplicemente ad assicurare che Gaza continuerà a soffrire un maggiore onere di morti e di ferite in scontri con Israele e che tali scontri continueranno ad avvenire regolarmente.

Ecco i quattro principali colpevoli. Dovrebbero essere ritenuti responsabili per le morti dei palestinesi e degli israeliani nei prossimi giorni e, se Israele estende le sue operazioni, nelle prossime settimane ?

Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale per il giornalismo, Martha Gellhorn. I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East”) (Pluto Press) [Israele e lo scontro di civiltà] Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair”. (Zed Books) La Palestina che sparisce: gli esperimenti di Israele nella disperazione umana]. Il suo nuovo sito web è www.jonathan-cook.net

Lo spirito della resistenza è vivo

wwww.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/why-gaza-must-suffer-again-by-jonathan-cook

Originale: Jonathan Cook’s ZSpace Page

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons – CC BY-NC-SA 3.0


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