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Una Nazione Cristiana? E da Quando? Stati Uniti, lo Storico


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Una Nazione Cristiana? E da Quando? Stati Uniti, lo Storico Patto tra Grande Capitale e Destra Religiosa

di Kevin M. Kruse dal New York Times

L'America sarà pure una nazione di credenti, ma per quel che riguarda la sua identità come “Nazione Cristiana” le credenze dei suoi cittadini sono piuttosto confuse.
Appena qualche settimana fa, l'agenzia Public Policy Polling [1] riferiva che il 57% dei Repubblicani è favorevole a dichiarare ufficialmente gli Stati Uniti una nazione cristiana. Ma nel 2007 un sondaggio effettuato dal First Amendment Center [2] mostrava che il 55% degli americani era convinto che lo fosse già.
Una tale confusione è comprensibile. Con tutti i discorsi che facciamo sulla separazione tra Stato e Chiesa, il linguaggio religioso si è diffuso nella nostra cultura politica in innumerevoli modi. È inscritto nel nostro giuramento di fedeltà patriottica [3], stampato sul nostro denaro, inciso sulle pareti dei nostri tribunali e del Campidoglio [4]. Forse la sua onnipresenza ci fa presumere che tale linguaggio ci accompagni fin dalla nascita della nazione.
Ma non sono stati i padri fondatori a creare gli slogan e le cerimonie che ci vengono in mente quando ci chiediamo se questa sia o meno una nazione cristiana. Sono stati invece i nostri nonni.
Negli anni 30 i grandi uomini d'affari si ritrovarono in difficoltà. Il loro prestigio sociale, a causa del crollo del '29, era crollato anch'esso; le loro imprese si ritrovavano tra il martello del New Deal di Roosevelt e l'incudine dei lavoratori organizzati. Per riconquistare il loro predominio, le grandi società contrattaccarono a tutto campo. Scatenarono una guerra metaforica nelle assemblee legislative, e a volte una letterale nelle strade; le loro campagne spaziarono dalle corti di giustizia ai forum dell'opinione pubblica. Ma nulla si rivelò particolarmente efficace finché non diedero il via a un'offensiva propagandistica che dipingeva il capitalismo come l'ancella del cristianesimo.
In passato i due erano già stati descritti come anime gemelle, ma in quella campagna la loro unione era plasmata da una violenta opposizione al “socialismo strisciante” del New Deal. Il governo federale non aveva mai realmente fatto conto dell'opinione degli americani sui rapporti tra fede e libera impresa, per lo più perché non si era mai intromesso così massicciamente negli interessi dell'impresa privata. Ma adesso la sua ombra sul business si allungava in modo inquietante.
Andando al contrattacco, durante gli anni 30 e 40 le grandi imprese lanciarono una nuova ideologia che combinava elementi del Cristianesimo con un libertarismo antigovernativo. A fare da apripista, potenti lobby affaristiche come la United States Chamber of Commerce e la National Association of Manufacturers, che promuovevano quest'ideologia attraverso conferenze e campagne pubblicitarie. Contributi generosi arrivarono da importanti uomini d'affari, con nomi blasonati quali Harvey Firestone, Conrad Hilton, E. F. Huton, Fred Maytag e Henry R. Luce, o personaggi meno noti, a capo della U.S. Steel, della General Motors o della DuPont.
Con scaltra decisione, questi dirigenti fecero dei sacerdoti i loro portavoce. Come osservò J. Howard Pew (della Sun Oil), i sondaggi provarono che un ministro del culto riusciva a plasmare l'opinione pubblica più di ogni altro professionista. Per questo il mondo degli affari iniziò il reclutamento tra il clero cristiano, per mezzo di pubblici appelli e incontri privati. Furono in molti a rispondere alla chiamata, ma tre di essi meritano un'attenzione particolare.
Il reverendo James W. Fifield – noto come “il tredicesimo apostolo del grande affare” e “il San Paolo degli Abbienti” - fu uno dei primi evangelisti dediti alla causa. Predicando alle congreghe milionarie dell'esclusiva First Cogregational Church di Los Angeles, Fifield diceva che leggere la Bibbia è “come mangiar pesce – scartiamo le ossa per gustare la carne. Non tutte le parti hanno ugual valore.” Accantonava i moniti del Nuovo Testamento riguardo la natura corruttrice della ricchezza. Al contrario, vedeva capitalismo e Cristianesimo uniti contro lo “statalismo pagano” del New Deal.
Per mezzo della sua organizzazione nazionale, la Spiritual Mobilization (fondata nel 1935), Fifield promuoveva la “libertà al cospetto di Dio.” Per la fine degli anni 40 il suo gruppo diffondeva il suo vangelo di fede e libera impresa in una diffusissima rivista mensile e un programma radiofonico settimanale che alla fine sarebbe stato diffuso da 800 stazioni in tutto il paese. Furono anche messi in palio premi in denaro per incoraggiare i ministri a tenere sermoni ad hoc. I liberal protestarono contro quella fusione di Dio e avidità; nel 1948 il giornalista radicale Carey McWilliams la stigmatizzò in una fulminante invettiva. Ma Fifield cavalcò quelle critiche per raccogliere ancora più fondi, moltiplicando il suo attivismo.
Allo stesso tempo, il reverendo Abraham Vereide promuoveva la causa cristiano-libertarian con una rete nazionale di gruppi di preghiera. Dopo aver svolto la funzione di pastore per gli industriali che fronteggiavano grandi scioperi a Seattle e a San Francisco alla metà degli anni 30, Vereide cominciò a organizzare colazioni di preghiera in tutta America, allo scopo di unire le élite politiche ed economiche in una causa comune. “I grandi uomini e i veri leader di New York e Chicago,” scriveva a sua moglie, “guardano a me con un'ammirazione che mi imbarazza.” Nella sola Manhattan gli chiedevano udienza James Cash Penney, Thomas Watson della IBM, Norman Vincent Peale e il sindaco Fiorello La Guardia.
Nel 1942 l'influenza di Vereide giunse fino a Washington. Convinse il Senato a tenere incontri settimanali di preghiera “affinché possiamo essere una nazione diretta e controllata da Dio.” Vereide inaugurò un suo quartier generale a Washington – battezzandolo “L'Ambasciata di Dio” - diventando una presenza potente presso istituzioni in precedenza laiche. Tra le sue iniziative ci furono le “cerimonie di consacrazione” per molti giudici della Corte Suprema. “Nessun paese, nessuna civiltà può perdurare,” proclamo il giudice Ton C. Clark durante la sua consacrazione nel 1949, “a meno che non siano fondate sui valori cristiani.”
La maggiore figura ecclesiastica nel campo del cristianesimo libertarian, comunque, fu quella del reverendo Billy Graham. Dall'inizio del suo ministero, nei primi anni 50, Graham fu un sostenitore talmente acceso degli interessi dell'impresa che un giornale di Londra lo chiamò “l'evangelista del Big Business.” Il Giardino dell'Eden, diceva ai suoi fedeli , era un paradiso “senza quote sindacali, senza leader dei lavoratori, senza serpenti e senza malattie.” Con spirito simile stigmatizzava le “restrizioni governative” in campo economico, che invariabilmente attaccava in quanto “socialismo.”
Nel 1952 Graham andò a Washington, per fare del Congresso la sua congregazione. Reclutò parlamentari che facessero da cerimonieri [6] per i suoi affollati raduni, e organizzò il primo ufficiale servizio religioso mai tenuto sui gradini del Campidoglio. Quello stesso anno, assecondando le sue richieste pressanti, il Congresso istituì un'annuale Giornata Nazionale della Preghiera. “Se mi candidassi oggi come presidente degli Stati Uniti, con un programma che chiamasse il popolo a ritornare a Dio, a ritornare a Cristo, a ritornare alla Bibbia,” pronosticò, “Vincerei.”
Ci pensò Dwight D. Eisenhower a realizzare quella predizione. Con le citazioni bibliche fornite da Graham, il candidato Repubblicano lanciò una campagna che denominò “una grande crociata per la libertà.” Il suo curriculum militare faceva del generale un candidato formidabile, ma durante il confronto elettorale Eisenhower accentuò le tematiche spirituali a discapito di altre più mondane. Come ebbe modo di osservare il giornalista John Temple: “Nella concezione di Eisenhower l'America non è semplicemente l
a terra dei liberi. È una terra di libertà al cospetto di Dio.” Eletto in un vero plebiscito, Eisenhower disse a Graham che gli era stato affidato un mandato per compere un “rinnovamento spirituale.”
Malgrado si fosse appoggiato ai gruppi di cristiani libertarian durante la campagna elettorale, una volta eletto Eisenhower si discostò dalla loro agenda. Gli sponsor industriali avevano visto la retorica religiosa come strumento per smantellare la struttura del New Deal. Ma il nuovo presidente riteneva che quella sarebbe stata un'impressa persa in partenza. “Qualunque partito politico che tentasse di abolire la Social Security, gli ammortizzatori per la disoccupazione, e di eliminare le leggi sul lavoro o i programmi statali per l'agricoltura,” osservò in privato, “quel partito scomparirebbe per sempre dalla nostra storia.” Adifferenza di chi vedeva la tematica spirituale come mezzo per un fine, Eisenhower l'adottò come un fine in sé.
Separando il messaggio della “libertà al cospetto di Dio” dalle sue radici cristiane libertarian, Eisenhower creò una comunità di rinnovamento spirituale più ampia, che accoglieva ebrei, cattolici e protestanti, Democratici e Repubblicani. Percorrendo il paese, mise in campo tutta una serie rivoluzionaria di riti e slogan religiosi.
Già la prima settimana del febbraio 1953 [il mese successivo alla sua elezione - ndt] impostò il ritmo vertiginoso della sua presidenza: la domenica mattina si fece battezzare; quella stessa sera diffuse un messaggio presidenziale per la campagna “Ritorno s Dio” dell'American Legion; quel giovedì presenziò, insieme al reverendo Vereide, alla prima Colazione di Preghiera Nazionale; il venerdì inaugurò la preghiera di apertura nelle riunioni di gabinetto.
Anche il resto di Washington si consacrava a Dio. Il Pentagono, il Dipartimento di Stato e altri organismi governativi si affrettarono a istituire i loro incontri di preghiera. Nel 1954 il Congresso aggiunse “al cospetto di Dio” al Giuramento di Fedeltà, fino ad allora laico. Quello stesso anno fu impresso uno slogan simile, “Confidiamo in Dio”, sui francobolli, e l'anno successivo si votò per aggiungerlo anche sulla carta moneta; nel 1956 “In God We Trust” divenne il motto ufficiale della nazione.
Nel corso di quegli anni gli americani si sentirono dire, ancora e ancora, non tanto che il loro paese sarebbe dovuto essere una nazione cristiana, quanto che lo era sempre stato. Cominciarono ben presto a concepire gli Stati Uniti come “una nazione al cospetto di Dio.” E hanno continuato a crederci fino ad oggi.

Kevin M. Kruse è professore di Storia a Princeton; la sua opera più recente è One Nation Under God: How Corporate America Invented Christian America.

Note del traduttore
[1] Public Policy Polling: un'agenzia di sondaggi che opera per committenti liberal.
[2] Ricordiamo che il Primo Emendamento (alla Costituzione degli Stati Uniti) non riguarda solo la libertà d'espressione, ma anche, tra l'altro, la separazione tra Stato e Chiesa.
[3] Nel Pledge of Allegiance (giuramento di fedeltà) che viene recitato (non obbligatoriamente) nelle scuole, il riferimento a Dio è stato inserito nel 1954 (v. più sotto).
[4] Si tratta di questioni controverse, pesantemente manipolate da opinionisti di tendenza teocratica (cfr, Snopes).
[5] Qui e altrove ometto, o sostituisco con parafrasi (incontro religioso , raduno ecc.) il termine “revival (meeting)”, una manifestazione di proselitismo e predicazione tipici degli Stati Uniti.
[6] Traduco così il termine “usher”, che indica i fedeli incaricati di accogliere i convenuti a un evento religioso, ed eventualmente dirigerli verso i posti loro assegnati (cfr. Wikipedia)

traduzione di Domenico D'Amico

da http://doppiocieco.blogspot.it/2015/05/una-nazione-cristiana-e-da-quando-stati.html


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