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82 lavoratori rischiano licenziamento e nessuno dice nulla


psy
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Marchionne dice che non si fida più dei sindacati e annuncia di voler trasferire alcuni stabilimenti in Serbia, dove per l’azienda sarà più semplice produrre. Immediate però arrivano le reazioni politiche con Bersani, Calderoli e Sacconi che si dichiarano contrari al progetto. D’altronde la Fiat è una multinazionale, dà lavoro a migliaia di persone e dietro di lei ci sono molti interessi. Quando però la fabbrica non si chiama Fiat, e gli stabilimenti non si trovano a Pomigliano o Termini Imerese, nessuno dice nulla.

A Pescara infatti, nell’indifferenza generale, sta succedendo qualcosa di simile.

La Bianchi Vending è un’azienda che produce le macchinette distributrici di prodotti. Le stesse dove molti di voi vanno a prendere il caffè o a comprare la merendina durante le pause. In Italia ha 3 unità produttive: a Bergamo, dove si trova anche la ‘casamadre’, a Cisterna di Latina e a Citta Sant’Angelo (Pe). Ha inoltre un quarto stabilimento di produzione in Brasile.

Partiamo quindi dall’inizio.

La sede di Pescara produce il ‘freddo’, cioè quella parte di macchinetta destinata a distribuire prodotti che vanno conservati al fresco. Un giorno chi di dovere chiama per ordinare dei pezzi che servono per assemblare il distributore, ma dall’altro capo del filo rispondono che tale ordine non si può evadere perchè è stato già fatto dalla sede di Bergamo.

“Ma non è possibile”, rispondono a Pescara. “Quei pezzi a Bergamo non servono perchè vengono usati solo dalla nostra linea produttiva, non da quella del nord”. Ma invece è così. I dipendenti iniziano a sentire puzza di bruciato e cercano di vederci più chiaro. Scoprono così che a Bergamo ci sono tre nuove linee di produzione che fino a solo qualche settimana prima non esistevano: una già operativa e due in fase di allestimento. Una delle quali destinata a fare il ‘freddo’ (anche se dalla casamadre non l’ammettono). Si comprende quindi quale sia il ‘piano aziendale’.

Sostanzialmente i dirigenti volevano far concludere la produzione già avviata entro agosto (anche tramite straordinari, se ce ne fosse stato bisogno) per poi mandare tutti in ferie tre settimane. In questo periodo, durante il quale l’azienda è chiusa e vuota, avrebbero provveduto a smantellare completamente lo stabilimento pescarese per ricostruirlo al nord. Il tutto all’insaputa degli operai che quindi, tornati dalle vacanze, avrebbero trovato la loro fabbrica vuota e sbarrata.

Chiaramente la cosa non poteva lasciare indifferenti gli 82 lavoratori della filiale. Da lunedì 12 luglio i dipendenti hanno dichiarato lo stato di agitazione con assemblea permenente. In pratica hanno occupato la fabbrica per evitare che arrivino i camion a portar via tutto, macchinari di assemblaggio e prodotti già finiti. Hanno chiesto e ottenuto vari incontri con i dirigenti del gruppo industriale, ma hanno ottenuto ben poco finora.

La questione è puramente economica. L’azienda, per continuare a produrre come prima, avrebbe bisogno di un finanziamento di circa 15 milioni di euro (per ripianare vecchi debiti) dalla Goldman Sachs, gruppo bancario che controlla quasi interamente la Bianchi Vending. Se questi fondi non arrivano, si trasferisce tutto a Bergamo.

Gli operai hanno incassato la “solidarietà” di molte istituzioni, ma l’appoggio concreto di ben poche. Giovedì 22 luglio una delegazione ha anche incontrato il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che ha detto di voler aprire un tavolo di trattativa nel caso non arrivino i fondi sperati. Finora comunque dalla ‘burocrazia’ si hanno avuto solo parole.

I dipendenti ormai si fidano così poco delle chiacchiere dirigenziali che hanno persino voluto far mettere per iscritto nero su bianco che, nel caso si chiudesse la sede pescarese, saranno garantiti tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge. Insomma, si è arrivati a un punto così basso nel rapporto fiduciario che dovrebbe esistere tra dipendente e datore di lavoro da far sembrare una conquista anche un proprio diritto.

Oggi, lunedì 26 luglio, sarà una giornata importante per la questione. Alle 17 ci sarà un incontro con la Regione tra l’amministratore delegato Giuseppe Viola e le controparti sindacali che chiedono chiarezza sul futuro: o si rende noto un serio piano aziendale per il futuro dell’azienda (che finora non esiste), oppure si dice chiaramente di voler chiudere la sede pescarese. In ogni caso, fanno sapere dai sindacati, “ciò che verrà detto lunedì sera alla Regione verrà portato martedì mattina in azienda per farlo votare agli operai con voto palese”.

In tutto questo bailamme intanto 82 lavoratori rischiano di trovarsi sul lastrico fra pochissimi mesi. Giorni, direi. Gente che magari a 40 o 50 anni avrà molte difficoltà a trovare un nuovo lavoro. Persone che hanno appena acceso un mutuo o che hanno la famiglia a carico. Per loro il futuro si fa davvero grigio. Nel frattempo, si sappia che anche la sede di Latina rischia la chiusura nel medio periodo. Anche se lì fanno ancora orecchie da mercante ai segnali che arrivano dalla casamadre.

Ma in Italia non interessano più a nessuno i diritti dei lavoratori?

Fonte: http://irregolare.wordpress.com/2010/07/26/storie-di-normale-disoccupazione/


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