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Afghanistan,Camera,Scotto(SeL) e Molteni(Lega Nord)


marcopa
Illustrious Member
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Di seguito gli interventi di Arturo Scotto (SeL) e Molteni (Lega Nord), sull' informativa del ministro della difesa Mauro nell' aula della Camera sulla morte del militare italiano La Rosa in Afghanistan.

Molteni nell' ultima parte del suo intervento ha riportato che a Bruxelles il 5 giugno l' Italia ha assicurato la propria disponibilità a gestire l' addestramento dell'esercito afghano in un' ampia regione del paese.

Questo compito è stato rifiutato da Inghilterra e Francia. Mauro ha detto che quando saranno noti i dettagli la decisione sarà presa dal Parlamento, il Parlamento però deve subito interrogare il ministro sulle posizioni espresse alla stampa da lui e da altri esponenti politici stranieri, in particolare dallo statunitense Hagel su questo tema.

Mauro e la Bonino hanno affermato che saranno impegnati nel compito in Afghanistan alcune decine di militari, la Germania per un impegno analogo ne impiegherà 600-800.

Io credo che i ministri abbiano detto una bugia e lo verificheremo nei prossimi mesi. I parlamentari avrebbero dovuto incalzare il ministro e non l' hanno fatto, a parte l' esponente della lega Nord.

Marcopa

ARTURO SCOTTO.(SeL) Signor Presidente,signor Ministro, abbiamo apprezzato, nella sua informativa, lo spirito con cui ha affrontato questo momento tragico, la morte del capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa, una morte drammatica. A lui e ai suoi cari vanno il cordoglio profondo del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà. Vorrei ricordare anche un altro fatto: Giuseppe La Rosa era siciliano, era meridionale, come tanti dei soldati che
ogni anno vengono inviati nelle missioni militari perché, molto spesso, non hanno alternativa rispetto ad un lavoro che manca e un Mezzogiorno che retrocede sempre di più.

Contemporaneamente, segnaliamo che,nella sua informativa, nel passaggio legato all’equipaggiamento dei militari, c’è un limite, che è quello che il convoglio Lince che è stato, come dire, fermato e assaltato dai terroristi era, come segnalano da tempo all’interno anche del mondo delle Forze armate, sprovvisto di torrette remotizzate e della possibilità anche di avere
una protezione più adeguata. Quando facciamo a retorica sui nostri ragazzi in divisa che vanno lì a combattere per la patria dovremmo provare almeno a dargli e garantirgli qualche forma di sicurezza in più.
Inoltre, è tempo di bilanci e credo che il bilancio non sia, come dire, all’ altezza dei proclami che nel corso degli ultimi anni sono stati fatti. Lo dico all’onorevole Cicu: non abbiamo partecipato al fallimento, a un fallimento? Come chiama allora quei dati che soltanto nel 2011 l’UNICEF fornisce sull’ Afghanistan ? 1.756 bambini morti, uccisi o feriti in conflitti, una media di 4,8 bambini al giorno. Probabilmente, questa è l’attestazione di una situazione che nel corso degli ultimi anni si è andata ulteriormente incancrenendo.
Noi pensiamo che bisogna accelerare l’uscita, bisogna farlo non per un vezzo
pacifista ma perché probabilmente quella missione ha segnato una serie di elementi di arretramento nella battaglia per la democratizzazione di quel Paese, nella battaglia per rendere quel Paese più aperto, più civile; e noi siamo convinti che uscire dalla missione ISAF, come hanno fatto Canada e Francia, non sia un tradimento delle alleanze internazionali, ma sia la scelta più giusta per accelerare l’autonomia di quel Paese che deve vivere un libero processo democratico e, contemporaneamente, lo dico perché sia chiaro, nessuno di noi immagina di lasciare solo l’Afghanistan, soli gli afgani. Guardate, nei dati che vengono citati manca sempre ilcapitolo della cooperazione; lo diceva l’onorevole Di Battista, abbiamo speso 5,5 miliardi di euro per la missione in Afghanistan, soltanto 250 mila euro sono andati in cooperazione.

Noi proponiamo, accanto all’uscita prima del 2014 dalla missione ISAF, che
per ogni euro risparmiato sulla missione, il 30 per cento vada a progetti di cooperazione e sviluppo per rafforzare la democrazia in Afghanistan e per rafforzare le istituzioni civili di quel Paese

(Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

NICOLA MOLTENI. (Lega Nord)
Signor Presidente,colleghi, rappresentanti del Governo, siamo ancora una volta riuniti in Aula percommemorare la morte di un nostro militare
in A fghanistan, il capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa, ucciso nell’infida provincia occidentale di Farah; e riflettere sopra il significato di questa nostra missione, e più in generale dell’impegno italiano in quel Paese.
Non spetta alla Camera, non spetta alle Assemblee parlamentari occuparsi di tatticae neppure di strategia, se non limitatamente agli aspetti che interagiscono con la politica. Non entreremo quindi in dettagli, che riteniamo debbano essere lasciati agli approfondimenti degli esperti e de gli stati maggiori. Come sia possibile centrare la ralla di un Lince con una bomba a mano lo dovranno chiarire le persone che valutano le performance dei mezzi militari e la validità delle dottrine di impiego che li concernono, non certamente noi.

Possiamo però, e dobbiamo anzi, occuparci di politica. Il problema è, a nostro avviso, sempre lo stesso: cosa stiamo a fare in Afghanistan, dal momento che non abbiamo in quel Paese alcun vitale interesse
nazionale in discussione, eccezion fatta dal rapporto che ci lega con gli Stati
Uniti d’America, Paese che tuttavia ha deciso di porre un termine alla missione ISAF entro il 31 dicembre 2014. È necessario chiederselo perché le morti degli ultimi mesi ci paiono troppi inutili: a differenza di quelle subite fino a un paio d’anni fa, che pure alimentavano importanti dubbi nella Lega Nord, all’epoca ancora al Governo.

A differenza di allora, non c’è infatti più un nostro progetto di riscatto per
l’Afghanistan: al contrario, abbiamo deciso di mollare il Paese al suo destino, restituendo l’Afghanistan a se stesso e alle sue forze di sicurezza, con la graduale riduzione della presenza sul terreno delle truppe occidentali, senza curarci troppo di valutare cosa accade nelle zone che vengono
abbandonate. Tutto infatti deve essere fatto rispettando una rigida tabella di
marcia, per poter dire a tutti che è finita senza che abbia preso corpo un disegno per il futuro afgano. Non siamo più nel 2001, quando anche noi convenimmo che reagire gli attacchi dell’11 settembre era doveroso e necessario. E sono purtroppo alle spalle anche anni relativamente tranquilli come quelli di metà decennio scorso, quando davvero si pensò di far bruciare a Kabul le tappe dello sviluppo.

Dire oggi che ci si batte per la modernizzazione e democratizzazione dell’Afghanistan è nel migliore dei casi alimentare un’illusione, nel peggiore annunciare una menzogna. Stiamo gestendo un ripiegamento
ordinato, che ci permette di affermare che se non abbiamo vinto, almeno
non abbiamo perso. L’attività dell’ISAF sul terreno è notevolmente diminuita, e parallelamente sono calati i morti occidentali;
ma lo scotto pagato dai militari e poliziotti afgani che sono subentrati ai
nostri è altissimo, a riprova che il Paese non è stato affatto stabilizzato.

Il processo per la riconciliazione nazionale procede in modo disordinato, e a
quanto ne capiamo avanza al di fuori di qualsiasi risultato precostituito. I taliban hanno aperto un proprio ufficio politico in Qatar, Paese che lo stesso Hamid Karzai inizia a visitare sempre più spesso. Emissari del vecchio regime oscurantista di Kabul si sono recati a Teheran, mentre in precedenza altri di loro avevano partecipato a un convegno in Francia, allo scopo di discutere con altri elementi dell’opposizione a Karzai un nuovo assetto per l’Afghanistan. I disegni del Presidente gli Stati Uniti sono tuttora misteriosi, ma una cosa è chiarissima: l’Afghanistan non
è più una priorità per la Casa Bianca.

Anche se i piani sono ancora confusi, perché alla loro determinazione manca
proprio il sigillo americano, alla Ministeriale NATO della settimana scorsa è stato però lo stesso deciso di varare nel 2015 una nuova missione, la Resolute Support, che non prevede alcuna funzione di combattimento per i Paesi che vi prendono parte, ma che si annuncia comunque foriera di pericoli ed irta di difficoltà.

PRESIDENTE. La invito a concludere.
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NICOLA MOLTENI. Per d’Italia vi ha partecipato il Ministro della difesa, che
senza alcuna consultazione con le Camere ha accettato che il nostro Paese continui a gestire l’intero ovest afgano nel quadro della nuova missione, che non contemplerà mansioni di combattimento, ma ci obbligherà in ogni caso a mantenere laggiù delle basi per un certo numero di anni, chissà quanti. Gli americani si sono presi l’est e il sud, mentre tedeschi rimarranno al nord; per Kabul e dintorni, una candidatura turca. Questa volta, onorevoli colleghi, siamo davanti persino agli inglesi, che non hanno assunto alcuna responsabilità maggiore, ed evidentemente ne hanno abbastanza.
Concludo, signor Presidente. Ci conviene davvero far così ? Cosa pensiamo di guadagnarci ? La successione alla testa della NATO per un nostro candidato quando Rasmussen mollerà ?
Occorre dire davanti al Paese cosa ci induce ad assumere responsabilità che, annualmente, persino Londra rifiuta. Dobbiamo chiarircelo prima che si debba nuovamente spiegare con parole stantie a qualche altra madre dolente perché ha perso un figlio

(Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).


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