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Assolto per mancanza di fondi.


darkcloud
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CENTROSINISTRA, SE CI SEI BATTI UN COLPO.
di Gian Carlo Caselli

La mafia siciliana, Cosa nostra, vuole che di lei si parli sempre di meno per poter continuare ad aumentare il volume dei suoi affari: non bisogna cadere in questa trappola. Anche se, per fortuna, uccidono in maniera meno appariscente, non sono soltanto il problema di ordine pubblico che di solito pensiamo che siano: sono un problema di sistema criminale con ricadute sull'economia che Tano Grasso ci ha appena ricordato e sono uno dei punti nodali, strategici, dei problemi che dobbiamo affrontare. Ma a me è stato chiesto di intervenire sul tema della domanda di giustizia. E questo tema mi porta a salutare prima di tutto questo settore della platea, un settore in cui sono presenti tante storie dolenti, storie di dolore, dolore vissuto con serena fermezza: molti familiari di vittime di mafia, con la loro serenità, con la loro fermezza, per molti di noi in questi anni sono stati un decisivo modello e di questo, anche, oggi li voglio davvero ringraziare. Il sistema giudiziario, è un dato di fatto, purtroppo o non funziona o funziona male, più che nelle zone sotto i riflettori soprattutto negli angoli in ombra.
E allora la domanda di giustizia: imperiosa, sacrosanta. Ma attenzione: non tutti nei fatti sono d'accordo, a qualcuno anche quel poco di giustizia che c'è dà fastidio. Basta chiedersi chi attacca la giurisdizione e perché lo fa. Lo fa, se ci pensiamo, per avere meno giustizia, non per avere più giustizia. La prova: quando un uomo politico è indagato per corruzione o per collusioni con la mafia, nel nostro Paese ormai la regola è accusare il magistrato che indaga di fare lui politica. Allo scopo evidente di frenarlo, se non bloccarlo, quantomeno di svalutare i risultati del suo lavoro. Meno giustizia, appunto. Questo atteggiamento si intreccia con l'accantonamento di fatto nel nostro Paese della questione morale. La questione morale non è, come si vuol far credere, sempre più frequentemente una pruderie di benpensanti. È una grande questione democratica, una grande questione istituzionale, per la decisiva ragione che un sistema intriso di corruzione o di rapporti con la mafia è l'emblema del prevalere dell'interesse privato sull'interesse pubblico.
E qui sta il nodo di tutti i problemi del nostro Paese. Nella seconda Repubblica, e ancora oggi, l'accantonamento della questione morale è diventato, sta diventando, rimozione. Le dimissioni dagli incarichi pubblici di chi è coinvolto, qualche volta addirittura condannato per gravi reati nel nostro Paese, sono ormai una desuetudine, a differenza di quel che accade nella maggior parte dei sistemi simili al nostro. Nei programmi elettorali - mi spiace dirlo ma è così - sia di centrodestra che di centrosinistra, è quasi scomparsa l'evocazione, evidentemente ritenuta imbarazzante, delle questioni poste dal rapporto tra etica e politica. Invece di un recupero della questione morale, frequente è l'invito alla magistratura a fare un passo indietro. Anche questa è una domanda di giustizia ma di una giustizia col passo del gambero.
È vero che siamo, per certi profili, figli di Machiavelli, che diceva che gli Stati non si governano coi pater noster, ma dovremmo ricordarci di essere anche e soprattutto figli, per esempio, di Norberto Bobbio. E Bobbio ci ha insegnato che la corruzione, io aggiungo la collusione con la mafia, è sempre priva di giustificazioni politiche, perché - diceva Bobbio - come il tiranno resta tiranno, così il corrotto o colluso resta corrotto o colluso a prescindere dal suo successo o dal consenso elettorale. C'è dunque una domanda di meno giustizia che preoccupa perché porta con sé tutta una serie di effetti a cascata: la filosofia sbianchettante del così fan tutti (il risultato, l'ho già detto, è che nessuno paga, anche se preso con le mani nel sacco, spesso); i condoni che penalizzano chi rispetta le regole; le leggi mirate su specifiche esigenze personali che cancellano anche precise responsabilità; la tendenza sempre più marcata ad essere severi, spietati, con gli altri per invocare sempre più comprensione, sempre più clemenza per noi. Questo è il trionfo degli egoismi, il trionfo degli interessi particolari che schiacciano, che annullano molte volte l'interesse generale. È il degrado del senso morale, il trionfo purtroppo dell'Italia dei furbi. E la furbizia può fare da apripista obiettivamente all'Italia dell'illegalità, all'Italia delle mafie. E allora siamo non alla domanda di giustizia ma al trionfo dell'ingiustizia.
Ma lasciamo da parte chi vuole meno giustizia, occupiamoci di chi domanda giustizia, mettiamoci nell'ottica di chi vuole più giustizia, vuole una giustizia che funzioni. Vuole le cose giuste, perché in democrazia il funzionamento della giustizia è elemento strutturale della democrazia stessa. Se ci sono cedimenti nel sistema giustizia, c'è il rischio di derive disgreganti, illiberali, perché la giustizia è garante dei diritti dei cittadini, delle regole di convivenza, è un fattore decisivo di equilibrio del sistema istituzionale. Ora, la nostra giustizia è un malato grave, ma curabile. La domanda di giustizia può essere soddisfatta, quantomeno fortemente migliorata. Ma attenzione: in molti settori, io penso, l'obiettivo, più che un diritto penale migliore, dovrebbe essere qualcosa di meglio del diritto penale. In molti settori, per esempio, è importante chiedersi se il consumo di stupefacenti sia o debba essere soltanto un problema di repressione o non debba essere anche, magari soprattutto, un problema di tutela della salute; ed è importante constatare che il diritto penale è strutturalmente inidoneo a governare fenomeni sociali epocali come quello delle migrazioni (mentre invece è questo che si chiede, e non è possibile ottenere risultati col diritto penale).
La giustizia è dunque un malato grave, ma curabile, purché si mettano in campo azioni positive capaci di meglio rispondere alla domanda di giustizia. Queste azioni positive, in estrema sintesi, debbono essere innanzitutto lo snellimento delle procedure, lo sfoltimento di tante norme che lascino in piedi le garanzie vere e facciano cadere quei formalismi, quei cavilli, quei privilegi che troppo spesso si travestono da garanzie mentre garanzie non sono. E poi occorrono uomini, mezzi, risorse. E oggi siamo letteralmente, per quanto riguarda il servizio giustizia, con le gomme a terra.
Il contenimento delle spese, il controllo delle spese sono sacrosanti, non c'è bisogno di aggiungere altro, ma costringere gli uffici a contenere la spesa entro limiti sganciati dalla realtà, fissati a priori in base a valutazioni di carattere meramente contabile, ragionieristico, ecco, potrebbe avere un senso soltanto se analogo contenimento fosse imposto ai mezzi in dotazione al crimine e al malaffare. Ma non risulta che chi delinque si ponga problemi di bilancio nel programmare le sue imprese. E allora sarà banale, ma purtroppo è semplicemente vero: impoverire gli uffici giudiziari oltre un certo limite significa ridurre le possibilità di fare adeguatamente fronte alla domanda di giustizia che la collettività esprime. Significa rischio di minore sicurezza, di minore tutela dei cittadini. Dissi inaugurando un anno giudiziario a Torino, e purtroppo mi tocca ripeterlo oggi dopo due anni: continuando così si potrebbe persino temere, con paradossale ironia, che alle tradizionali formule di proscioglimento per mancanza di prove se ne possa aggiungere una nuova: assolto per mancanza di fondi.
Sullo specifico terreno della domanda di giustizia riguardante la criminalità mafiosa io credo - e lo ha già detto sostanzialmente molto meglio di me Tano Grasso - che dalla politica dovrebbero arrivare segnali di presenza, segnali di discontinuità non soltanto formali. Per esempio, e se ne parlerà molto in questi giorni, un testo unico delle leggi antimafia (il ministro Mastella, ed è stato apprezzato da tutti, il 23 maggio scorso, a Palermo, pubblicamente, assunse questo impegno. Sono sicuro, signor mini
stro, che lei vi darà seguito, perché fu un impegno pubblico, in quella circostanza). È importante, perché si tratta non soltanto di razionalizzare un insieme di norme che molte volte sono anacronistiche, contraddittorie, e perciò inceppano l'incisività della risposta. È importante anche per aggiornare una serie di norme, penso in particolare ai testimoni di giustizia (di cui si occuperà il gruppo coordinato dall'avvocato Rando): qui c'è una voragine. Una vera e propria voragine che deve essere in qualche modo colmata con interventi più significativi, più rispondenti al coraggio di queste persone che non sono pentiti, non hanno niente da farsi perdonare. Sono soltanto uomini che coraggiosamente hanno fatto il loro dovere cercando di dare una mano alla giustizia e a tutti quanti noi. Lasciarli un po' alla deriva, come oggi purtroppo accade, non affinare gli strumenti perché alla deriva non siano più, a me sembrerebbe una grave omissione.
Poi il nuovo impulso all'aggressione delle ricchezze mafiose, e se ne è già ampiamente parlato. E poi cominciare sistematicamente a prosciugare davvero il grande mare del consenso mafioso. Un mare che è alimentato dalla mancanza di risposte adeguate a bisogni, esigenze, diritti fondamentali di larghi strati di popolazione soprattutto giovanile. Questo consenso di cui purtroppo gode la mafia si combatte potenziando l'antimafia dei diritti. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che è già stato citato, nella memorabile intervista a Giorgio Bocca pochi giorni prima di essere ucciso, rispondendo all'intervistatore che richiedeva cosa si può fare per sconfiggere la mafia disse tante cose, tra l'altro: "Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva. Gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli. Togliamo questo potere alla mafia. Facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Questa è l'antimafia dei diritti. La strada che partendo dalla legalità ci può avvicinare alla giustizia. La giustizia che consiste nel consegnare a ciascuno quello che gli appartiene, quello che gli serve per vivere decorosamente. Un compito che ha bisogno della legalità, ma deve anche coinvolgere la responsabilità personale, l'impegno di ciascuno di noi. Questa responsabilità personale, questo impegno, voi, i tanti ragazzi presenti di Libera e delle altre associazioni che cercano di organizzare sul versante della legalità e dell'antima-fia la società civile, questa responsabilità e questo impegno ce l'avete dentro e ne siete oggi testimonianza. Voglio chiudere però ricordando che Libera e queste altre forme di organizzazione della società civile sono una realtà che ci consente di rivendicare, orgogliosamente, senza retorica, che l'Italia è sì purtroppo un Paese che ha problemi di mafia, ma è anche il Paese dell'antimafia. Di questo Paese dell'anti-mafia, Libera e le altre associazioni sono un simbolo, un simbolo che opera quotidianamente nel senso di costruire qualcosa di concreto con una linea di continuità. Per questo, grazie ragazzi a tutti quanti voi. Grazie perché ci siete e per come ci siete. Grazie.

Da http://www.adistaonline.it


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