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Li abbiamo votati, facciamogliela pagare.


darkcloud
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Possiamo ancora votarli?

Le varie anime dei movimenti e della cultura democratica italiana rispondono agli interrogativi di Flores d’Arcais
(‘Caro Nanni, cari tutti’, MicroMega, 8/2006). Con il governo Prodi siamo di fronte ad un berlusconismo senza Berlusconi? Possiamo continuare con la politica del male minore? Come si evita il qualunquismo del ‘sono tutti uguali’? Come si esce da una ‘palude’ che favorisce il ritorno del regime di Arcore?

Pubblichiamo dall'ultimo numero di MicroMega, un pezzo di Marco Travaglio, estratto da una sezione, con numerosi altri interventi sul tema.

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«Caro Nanni, dove abbiamo sbagliato?», domanda Paolo Flores d’Arcais sul penultimo MicroMega. Forse, per cominciare, abbiamo sbagliato e continuiamo a sbagliare ripetendo «caro Nanni». Moretti è uno splendido regista e una splendida persona, che si è spesa politicamente per un certo tratto di strada, ma che da un pezzo ha deciso comprensibilmente di tornare al suo lavoro. Lasciamolo in pace e cominciamo a dire «Caro Prodi», o «Cara Unione». Non perché l’Unione ci sia cara, ma perché – parlo per me – ci è costato piuttosto caro votarla un’altra volta. Personalmente, se avessi saputo che il primo atto del nuovo parlamento in materia di giustizia sarebbe stata la nomina di Mastella a ministro della Giustizia e il secondo l’indulto di tre anni per i reati commessi fino al 2 maggio 2006 per salvare Previti, Berlusconi e Consorte, il 9 aprile non sarei andato a votare. Sarei andato a fare una rapina in banca e oggi mi godrei felicemente il bottino.

Non ho spazio a sufficienza per elencare compiutamente le ragioni del mio disgusto sui primi mesi della maggioranza che ho contribuito a eleggere. Mastella, indulto extra-large, decreto per distruggere i dossier Telecom, disegno di legge per limitare le intercettazioni e vietarne la pubblicazione, legge-brodino sull’antitrust televisiva, legge vergogna sul (anzi in favore del) conflitto d’interessi, inciucio per mandare in vigore la controriforma Castelli sull’ordinamento giudiziario, inciucio in commissione Antimafia per respingere la proposta di escludere gli inquisiti e i condannati per mafia, nessuna legge vergogna cancellata, minuetti per rinviare sine die la cacciata da Montecitorio del pregiudicato interdetto Previti, voti quasi unanimi per salvare i forzisti Simeoni e Fitto dall’arresto, calma piatta alla Rai con la conferma del cda petruccioliano e il mancato reintegro di tutti gli epurati tranne uno (Santoro, imposto dai tribunali a una dirigenza recalcitrante), viale Mazzini sempre più infestato dai partiti, melina sul verminaio del Sismi dei Pollari e dei Pompa, tutto come prima in Iraq e in Afghanistan, afasia totale sulla denuncia di Diario sui brogli del 9-10 aprile, D’Alema a braccetto con Hizbullah, Prodi che stringe la mano ad Ahmadi-Nejad, le pantomime della finanziaria più pazza del mondo e così via.

Temevamo un berlusconismo senza Berlusconi, ci ritroviamo un berlusconismo con Berlusconi. Il Cavaliere è più ricco, potente e videocratico che mai. Ha potere di veto su tutte le leggi in materia di giustizia e televisione (le uniche che gl’interessano), con la scusa dei numeri al Senato. Continua a comandare nelle sue tre reti e in due su tre della Rai. Anzi, abbiamo scoperto grazie all’Unione che non è neppure in conflitto d’interessi perché sta all’opposizione e il conflitto d’interessi, secondo la nuova legge, si manifesta solo quando va al governo (prospettiva alla quale il centro-sinistra sta alacremente lavorando). Tant’è che il ministro Gentiloni, così solerte nel ricevere Confalonieri in cambio di insulti, ha addirittura sponsorizzato, non si sa bene a che titolo, lo sbarco di Mediaset in Germania (i tedeschi però non gli hanno dato ascolto e hanno respinto Sua Invadenza alla frontiera, col foglio di via). Ogni tanto viene addirittura da dubitare che Berlusconi abbia davvero perso le elezioni, visto che vince sempre, anche quando le perde.
Curzio Maltese ha ribattezzato il centro-sinistra «coa(li)zione a ripetere», evidenziando le incredibili analogie fra quanto accadde nella legislatura dell’Ulivo 1996-2001 e quanto sta accadendo nei primi mesi della legislatura dell’Unione. Stessi tic, stesse cazzate, stessi inciuci, stessi velleitarismi, stessa vocazione al suicidio, stessi complottini contro Prodi in attesa di rovesciarlo un’altra volta, stesse fregole di larghe intese (o «larghe imprese», come si lasciò sfuggire nel ’96 Lamberto Dini) e «grandi riforme», stessi revisionismi sulla Resistenza e su Mani Pulite. L’altra volta, a parte i lettori di MicroMega e di poche altre testate, gli elettori dell’Ulivo attesero cinque anni prima di accorgersi che il programma di Prodi era stato sostituito con quello di Previti. Fino a pochi mesi dalla disfatta del 15 maggio 2001, milioni di illusi e beoti «nutrivano fiducia» che sarebbero presto arrivate la legge sul conflitto d’interessi, l’antitrust televisiva, le politiche antimafia e anticorruzione. Invece niente, e tornò Berlusconi.

Bisogna fare tesoro di quell’esperienza fin da subito, andando a studiare come fummo turlupinati l’altra volta per evitare di esserlo anche stavolta. Perciò condivido in pieno l’appello a minacciare concretamente fin da ora di «non votarli più», nemmeno se questo significasse il ritorno di Berlusconi (che non ha bisogno di tornare perché non se n’è mai andato: è vivo e lotta insieme a noi, anzi insieme a loro). Ma non basta. Flores si domanda perché l’esperienza dei girotondi e dei movimenti s’è spenta, smarrita per strada e perché oggi le piazze sono vuote. Mi torna in mente un convegno di MicroMega a Milano ai tempi della Bicamerale. Il pubblico ministero Francesco Greco disse che «l’Ulivo sta facendo cose che nemmeno Craxi aveva osato fare»: il governo lo trascinò subito dinanzi al Consiglio superiore della magistratura per un processo disciplinare, esattamente come fece con Gherardo Colombo quando osò dire la verità sulla Bicamerale «figlia dei ricatti». Anche allora le piazze rimasero vuote, anche se tanta brava gente ammutolì dinanzi all’allergia alla legalità del governo «amico».

Ecco, forse bisogna uscire dalla logica del governo «amico» e stabilire una volta per tutte che non esistono governi amici. Non per concluderne che sono tutti uguali (finché c’è Berlusconi – per quanti sforzi si facciano – è impossibile eguagliarlo). Ma per renderci conto che, anche se abbiamo votato per l’Unione turandoci il naso, con l’Unione non abbiamo nulla a che fare. Perché questo parlamento non l’abbiamo eletto noi, ma l’hanno nominato le segreterie dei partiti profittando voluttuosamente della legge-porcata di Calderoli & C. Come scrisse Montanelli nel ’76, quando invitò a votare Dc turandosi il naso in funzione anticomunista: «Vi abbiamo votati, ma ce la pagherete».

Fargliela pagare. Ma come? Anzitutto, ponendosi davvero fuori dagli schieramenti, giudicando i comportamenti a prescindere da chi li attua. Se le stesse cose che ho appena elencato le avesse fatte Berlusconi, saremmo già scesi in piazza non una, ma dieci volte. Le ha fatte l’Unione in joint venture con Berlusconi, e allora in molti è scattata la doppia morale di chi è sempre pronto a perdonare la propria parte. Ma una società civile matura non ha una «parte» prestabilita. Non dobbiamo averla noi giornalisti, devono imparare a non averla gli elettori. Ci si può schierare, al massimo, il giorno delle elezioni, quando si deve decidere per chi o contro chi votare. Per il resto della legislatura, mani (e menti) libere. Sforziamoci di capire e spiegare che destra e sinistra, i «nostri» e i «loro», non esistono più: esiste solo un’oligarchia, una casta trasversale di intoccabili che ha sequestrato le istituzioni con metodi formalmente legali e fa quadrato ogni qual volta qualcuno, da fuori, tenta di partecipare alle decisioni o di controllarle
: sia esso la magistratura, la libera stampa, il cittadino-elettore.

Chi incorre continuamente, da quindici anni, negli stessi errori e omissioni non ha più diritto ad alibi (i numeri al Senato, il dialogo, la stabilità, le urgenze più urgenti…) né alla presunzione di buona fede. Smettiamola dunque di coltivare illusioni, di chiedere incontri e consultazioni, di sollecitare riforme e di offrire candidature a presunti «rappresentanti» che non rappresentano altri che se stessi. E impariamo a riprenderci i nostri diritti con le nostre mani. Anzitutto il diritto a contestare e a rompere le palle. Come fa Piero Ricca, come fanno i ragazzi dei Meetup di Beppe Grillo, come hanno fatto quelli che agli stati generali di Libera hanno chiesto la cacciata dei pregiudicati dal parlamento e dalla commissione Antimafia, bisogna approfittare di ogni festa di partito, comizio, convegno, meeting in cui parla un politico per contestarlo, ricordargli le promesse mancate, criticarlo e sputtanarlo davanti a tutti.

Promettere che non li voteremo più, ma non solo. Bisogna impegnarsi, anche singolarmente, anche in piccoli gruppi, nella raccolta di firme per il referendum contro la legge elettorale-porcata. Chiedere sempre e ovunque le elezioni primarie e, se arriveranno, fare di tutto per delegittimare i notabili della partitocrazia e per sostenere facce nuove, pulite, competenti e legate al territorio. Bersagliare le segreterie dei partiti con fax, telefonate e e-mail di protesta. Quel che è accaduto dopo l’indulto dimostra che la rabbia degli elettori è l’unico linguaggio che lorsignori riescono ancora a capire: infatti erano già pronti per una bella amnistia, e ora – dopo un’estate trascorsa a parare i colpi degli elettori inferociti – non osano più nemmeno pronunciarne la parola.

In questo momento va privilegiata la pars destruens. Inutile perder tempo con critiche costruttive: quel che si dovrebbe fare e non viene fatto lo sanno tutti. Meglio concentrarsi sulle critiche distruttive, contestando ogni inciucio e ogni tradimento delle promesse elettorali. MicroMega e tutta la stampa libera hanno il fondamentale compito di continuare a informare compiutamente i lettori di quel che accade nel Palazzo, cioè di fornire ai cittadini gli strumenti conoscitivi necessari perché la critica sia informata, documentata, precisa, chirurgica. Alla pars construens penseremo se e quando potremo eleggere qualcuno che sia in grado di realizzarla.

Marco Travaglio

Brano estratto da MicroMega 10/2006 in edicola da venerdì 1 dicembre

Visto su: www.canisciolti.info
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6.12.06


Citazione
illupodeicieli
Prominent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 760
 

dice bene che chi è al governo non ci rappresenta, essendo state persone scelte e imposte dalle segreterie dei partiti. forse non sapeva (e neanche altri credo) che mercoledì 6 dicembre a Roma è stato presentato alla stampa un "progetto operativo per la presentazione di una legge di iniziativa popolare per realizzare le elezioni primarie aperte a tutti".
certo le segreterie dei partiti e diversi parlamentari e gli oltre 500mila (c'è chi parla di 750mila) cittadini che vivono alle spalle di parlamento ,governi regionali , provinciali e comunali ...fino alle circoscrizioni comunali, ecco costoro non salteranno di gioia. però nessuno ne parla volentieri.[/b]


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Interconnessioni
Reputable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 254
 

Interessante quell'iniziativa di cui parla lupodeicieli, andiamo a curiosare qui: http://www.laspedizionedei1001.it/ bisogna avere birra (per me meglio tisana sennò mi addormento) per portarla avanti ma se ci sono ancora energie sopravvissute ci si può dar dentro! Non tutto è perso, mai. 😉 😉 😉


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