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Chiude un gioiello italiano strangolato dalla crisi globale


mastermind
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Iris, chiude un gioiello italiano strangolato dalla crisi globale

La recessione non ha sfumature e minaccia di spazzare via tutti, buoni e cattivi

Questa è la storia di come ti entra in casa la globalizzazione, e dopo la globalizzazione la crisi, e dopo la crisi chissà. A Sassuolo, quarantamila abitanti, una delle capitali mondiali della ceramica, la faccia cattiva della recessione si è affacciata senza bussare.
Erano anni che il settore della piastrella, quello descritto negli anni Sessanta dal giovane Prodi come il "modello di sviluppo di un settore in rapida crescita", lentamente scendeva nelle quote di mercato, limava il fatturato, perdeva addetti, ristrutturava, recuperava a fatica con la qualità e il prezzo ciò che perdeva in quantità. All'improvviso è arrivato lo schianto.

Il 5 gennaio l'assemblea sociale del gruppo Iris, fondato da Romano Minozzi, ha deciso l'autoscioglimento, la messa in liquidazione dei suoi tre stabilimenti, e la collocazione in mobilità, cioè sulla strada, dei 780 dipendenti. Un'impresa gioiello, leader sul piano internazionale, semplicemente si dissolve. Fatte le proporzioni, è all'incirca come se in provincia di Torino evaporasse da un giorno all'altro la Fiat, o nella Grande Milano fossero licenziati in un colpo solo 80 mila lavoratori.

Si chiude. Senza preavvisi, senza trattative. Mentre tutt'intorno la crisi genera incubi anche negli altri comparti industriali. Con il sindaco di Sassuolo, Graziano Pattuzzi (Pd), che sbarra gli occhi, le forze politiche che si appellano alla "responsabilità sociale" delle imprese, i sindacati sbigottiti che implorano negoziati e minacciano la mobilitazione dell'intero distretto ceramico, con le sue duecento imprese, quattro miliardi e mezzo di fatturato, 22 mila addetti distribuiti fra le province di Modena e Reggio Emilia (di cui adesso 8 mila in cassa integrazione ordinaria, praticamente una strage).

Il distretto di Sassuolo ha rappresentato nel tempo uno dei più classici miracoli italiani. Una produzione tradizionale che risale alle "majoliche" del Sei-Settecento ha visto il miracolo dentro il miracolo, quando le fornaci sono venute su da un giorno all'altro. Il boom rappresentò una produzione strepitosa di ricchezza nel cuore dell'Emilia rossa e migliorista, fra sindaci pragmatici e imprenditori disinibiti. Fu lo stesso Minozzi a sintetizzare gli anni d'oro: "Allora si diceva che, a Sassuolo, tra il fare un partita a briscola e fondare una ceramica non c'era differenza. Ma non era vero: si facevano molte più ceramiche che partite a briscola".

Il resto è storia. Invenzioni tecnologiche continue, una serie di crisi superate con ristrutturazioni sanguinose e con ripartenze brucianti. "Riducete i costi e investite, investite tutto", ammonivano i grandi vecchi della piastrella. Sono sempre stati presi sul serio. Infatti, se uno entra ora in una ceramica resta stupefatto dall'apparente assenza di addetti, mentre le fornaci a monocottura sfornano piastrelle a getto continuo e carrelli robotizzati si spostano mossi da comandi invisibili.

Sono aziende ad alta intensità di capitale, che richiedono investimenti pesanti, hanno tempi di ammortamento lunghi e una redditività moderata. Finora sono riuscite a restare competitive grazie a una impressionante flessibilità produttiva, che consente forniture praticamente personalizzate: "Un appartamento no, ma un condominio a Parigi riusciamo a servirlo". Alle aziende edili della capitale francese costa meno che una fornitura da Lione. Vent'anni fa un'azienda produceva fra i 30 e i 40 articoli, con le vendite che si concentravano su un segmento di tre o quattro prodotti. Oggi la stessa azienda realizza tremila tipologie. Tutto ciò grazie al contenuto tecnologico degli impianti, che incorporano design d'eccezione e spuntano altissimi coefficienti di qualità.

Ebbene, sotto il profilo teorico la decisione di un imprenditore storico come Minozzi di uscire dal settore, e di concentrare le risorse residue in comparti diversi, è un caso da manuale di "efficienza allocativa": si spostano gli investimenti dove le chance di profitto sono migliori. Fuori dal fumus oeconomicus, la scelta ha l'aspetto del rompete le righe. Perché è vero che negli ultimi tempi il gruppo Iris aveva conosciuto un vistoso calo del fatturato, oltre il 40 per cento nell'ultimo biennio. Ma sospendere l'attività non ha per nulla l'aspetto di una scelta aziendale; assomiglia piuttosto a una dichiarazione di resa. Come a dire: il distretto di Sassuolo è finito. Usciamo adesso e salviamo il salvabile, perché nel giro di due anni potrebbe non esserci più nulla: a recessione terminata, allorché l'economia mondiale riprenderà il suo ciclo, nel territorio fra Sassuolo, Maranello, Fiorano, Casalgrande, Scandiano potrebbero esserci soltanto relitti industriali. Un pezzo del miracolo emiliano trasformato in un cratere lunare.

"È cominciata l'era glaciale", ha scritto Minozzi nella relazione societaria. Colpa dell'iperproduzione e del dumping cinese. Colpa dell'euro troppo alto sul dollaro che schiaccia le esportazioni negli Stati Uniti. Colpa dei nuovi e vecchi produttori, dalla Spagna alla Turchia, dal Messico al Brasile, con la loro concorrenza senza quartiere. Colpa del Wto e dei cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro. Colpa del mondo nuovo, insomma. Di un'economia senza barriere e senza limiti, che favorirà anche la "distruzione creatrice" di Schumpeter, ma per il momento, qui e ora, distrugge e basta.

E allora l'obiettivo inevitabilmente si allarga, l'inquadratura si amplia, da Sassuolo all'Emilia, dall'Emilia all'Italia produttiva della piccola e media impresa. A cerchi concentrici investe tutta l'Europa. E non solo. Perché se il distretto ceramico è davvero il possibile paradigma degli effetti della crisi, il problema non è soltanto economico. Diventa filosofico, si fa addirittura morale. Gli economisti che hanno dettato il dogma liberista negli ultimi trent'anni, e che hanno dileggiato il modello "renano" dell'economia sociale di mercato, proveranno a spiegare che gli shock di settore a cui assisteremo saranno semplicemente malattie adattative, a cui il mercato risponderà con le terapie migliori, cioè allocando in altri settori gli investimenti. "Nel lungo periodo" si ristabilirà l'equilibrio, riprenderà l'accumulazione di ricchezza, l'occupazione crescerà di nuovo. La "grande trasformazione" dell'Ottocento, descritta da Karl Polanyi come la nascita dell'economia moderna, conoscerà un nuovo capitolo.

Troppo facile rispondere, con il bignami keynesiano, che nel lungo periodo siamo tutti sottoterra. Ma c'è un elemento fattuale che andrebbe precisato: vale a dire che la crisi non conosce sfumature. Non si limita a ripulire le inefficienze. Non è l'igiene dell'economia. Perché minaccia di spazzare via tutti: i cattivi e i buoni, gli inefficienti e gli efficienti, i non competitivi e i competitivi.

Rischia insomma di annichilire tutte le qualità insite nel lavoro e nell'impresa. L'Emilia dei distretti industriali e l'Italia delle mille specializzazioni produttive intravedono un orizzonte spettrale, in cui la metamorfosi economica mondiale assume fattezze catastrofiche. E allora anche le domande si fanno incerte, perché toccano la sostanza stessa di un assetto sociale. Quale senso ha infatti un sistema economico che non contiene un principio di giustizia, che non distingue, che fa a pezzi sia gli acrobati della finanza illusionistica come il grande truffatore Bernard Madoff sia i protagonisti dell'intelligenza applicata alle tecniche di produzione e ai prodotti? Quale giustificazione razionale ha un sistema che si dimostra nei fatti privo di una moralità intrinseca?

Qui è consigliabile fermarsi, perché fra Sassuolo e la metafisica c'è solo un passo. Ma se uno guarda alla infinita megalopoli industriale nella pianura padana, se mette a fuoco i prodigi tecnologici di cui è disseminata, la quali
tà del lavoro che si è espressa nella manifattura italiana, non può fare a meno di pensare che non sappiamo che cosa potrà sopravvivere di tutto questo, della virtù tecnica delle centinaia di aziende intorno alla Ferrari di Maranello, nelle piccole cattedrali della meccanica e della meccatronica, nelle aziendine dell'ultratecnologia, nella produttività furibonda del Nordest.

Nel frattempo, guarda caso, sono praticamente ammutoliti i fautori della "mano invisibile". In attesa che si rifacciano vivi, non sarebbe il caso di ricominciare a discutere il mercato, la crescita, i fallimenti della capacità autoregolatrice del mercato? Magari anche soltanto per spiegare, a quel piccolo epicentro che è Sassuolo, cioè alla capitale di un cortocircuito autenticamente glocal, a una comunità che senza volerlo si ritrova in un punto cruciale di questa selvaggia "New Era", dove crisi mondiale e dramma locale si incrociano, che un giorno potrà andare orgogliosa di avere fatto da cavia alla nuova "grande trasformazione".

Edmondo Berselli
Fonte: www.repubblica.it
Link: http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/economia/crisi-10/chiude-sassuolo/chiude-sassuolo.html?ref=search
12.01.2009


Citazione
lino-rossi
Reputable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 482
 

berselli ed il sindaco di sassuolo farebbero bene ad andare a chiedere spiegazioni ai loro riferimenti politici: prodi, fassino, bersani, d'alema, padoa-schioppa e compagnia.


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rosacroce
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 185
 

il bello è che il destino della iris e lo stesso di migliaia di altre ,almeno a guardare i grafici delle prime 100 aziende quotate italiane(perdite tra il 70 e 95 %).la repubblica come al solito dice che fra 2 anni ci sarà la RIPRESA ,è dal 2000 che dicono che l'anno dopo ci sarà la ripresa ,,,,intanto però.......va sempre peggio.


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