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Così i derivati di JP Morgan hanno aiutato i conti di Roma


Tao
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I meccanismi finanziari svelati dall´inchiesta del New York Times Il governo ha tentato forse di guadagnare sui mercati invece di tutelarsi dal rischio L´Italia, con un debito di quasi 1.800 miliardi, è uno dei migliori clienti del settore

Un po´ di creatività finanziaria per i governi di mezzo mondo simile a quella che per anni ha tenuto in piedi la Enron e la Parmalat. Operazioni spericolate che le banche d´affari non hanno esitato ad usare per la cosmesi dei propri bilanci, come insegna il fallimento della Lehman Brothers, e che è stata estesa anche ai clienti "Top", gli Stati sovrani, quelli con la "T" maiuscola, perché se il debito di una multinazionale è nell´ordine di qualche miliardo di euro quello degli Stati si misura in migliaia di miliardi. Il che moltiplica anche le commissioni per le banche d´affari. E l´Italia, con un debito pubblico di quasi 1.800 miliardi, è da sempre uno dei migliori clienti del settore.

Gli artifici in questione sono i derivati che invece di essere stati usati per tutelare gli Stati dal rischio dell´oscillazione dei mercati sarebbero serviti o come forme di finanziamento del debito pubblico o come scommesse per cavalcare una favorevole situazione di mercato. Nel primo caso, rientrano le accuse che il New York Times ieri l´altro ha rivolto contro Goldman Sachs e Jp Morgan. «Le banche - scrive il quotidiano Usa - fornivano liquidità immediata in cambio di rimborsi futuri», si tratta del meccanismo degli up front, le commissioni che le banche versano subito ai governi, dotandoli di liquidità immediata per vedersela poi restituire con gli interessi alla chiusura e durante la vita del derivato. Con il beneficio aggiuntivo per lo Stato di non vedere segnata l´operazione tra i debiti. L´Italia, secondo il Nyt, se ne sarebbe servita nel 1996 con la consulenza di Jp Morgan per portare in linea il bilancio. E avrebbe continuato a utilizzarli fino al 2000 per centrare i parametri richiesti per entrare nell´euro. In quell´epoca erano due gli uomini chiave di Jp Morgan a tenere i rapporti con il Tesoro, il francese Bertrand Despallier e l´italiano Matteo Del Fante, che nel 2003 passa direttamente dalla banca d´affari Usa alla poltrona di direttore finanziario della Cassa Depositi e Prestiti.

Nel secondo caso, invece, rientrerebbero i benefici che il governo ha ottenuto scommettendo sul ribasso dei tassi. In quattro anni, tra il 2003 e il 2006, secondo i dati di Banca d´Italia, i derivati avrebbero portato utili alle casse statali per 4,4 miliardi di euro, con una netta inversione di tendenza, nel 2007, quando il saldo è diventato negativo per 600 milioni di euro. I numeri mostrano un bilancio positivo, ma se vengono letti con in mano l´andamento dei tassi di interesse (Euribor) di quegli anni non possono che destare preoccupazione. I derivati servono per tutelare chi li stipula da un rischio cambio o tassi. La preoccupazione per esempio di chi stipula un mutuo, è che il tasso non salga oltre un certo limite. Ed ecco che allora trasforma un tasso variabile in fisso. Nel caso italiano come si spiega allora il fatto che proprio mentre la curva dei tassi scende ai minimi, ovvero nel 2005, il beneficio raggiunge il massimo? Un comportamento prudente avrebbe fatto emergere una perdita nel periodo di tassi favorevoli e un guadagno in tempi sfavorevoli. L´ipotesi è che il governo, invece di tutelarsi dal rischio dei mercati, li abbia cavalcati per guadagnarci.

Walter Galbiati
Fonte: www.repubblica.it
17.02.2010


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