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Firme false, il caso Palermo fa tremare anche Beppe Grillo


Davide
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Alta tensione nel movimento. Il capo dei 5 stelle sarebbe stato informato prima che gli attivisti parlassero col pm. Sullo scandalo che coinvolge una ventina di grillini in arrivo gli avvisi di garanzia

Beppe Grillo sa quello che accadde la sera di quattro anni fa quando un gruppo di attivisti ricopiò duemila firme per paura che un errore sul luogo di nascita di uno dei candidati, stampato sul retro dei fogli, potesse portare all’esclusione della lista dalle comunali di Palermo. Risulta al manifesto che il capo politico del M5s ha raccolto lo sfogo di chi era presente quella sera, anche se fonti del M5S a Roma fanno sapere che «non c’è mai stato alcun contatto con Claudia La Rocca e che, come già detto più volte in precedenza, la regola generale è di rivolgersi sempre alla magistratura per fare chiarezza».

MA NON È SOLO GRILLO a sapere, al corrente sarebbe stato messo anche Luigi Di Maio: questo prima che Claudia La Rocca, deputata pentastellata all’Assemblea siciliana, si presentasse volontariamente in Procura per raccontare ai magistrati la sua verità. Perché quella sera c’era anche lei in quell’ufficio a ricopiare le firme. La parlamentare ha deciso di parlare dopo settimane di riflessioni e un lungo travaglio interiore. Non ha retto al peso di quella scomoda verità negata invece, e in modo netto, da altri suoi colleghi, la truppa di deputati nazionali eletti a Palermo, tra cui Riccardo Nuti e Claudia Mannino. I due, tirati in ballo dall’attivista Vincenzo Pintagro, sentito come testimone dai magistrati dopo la sua denuncia a Le Iene, hanno risposto querelando il professore di educazione civica per calunnia.

PRIMA DI PRESENTARSI davanti ai pm Dino Petralia e Claudia Ferrari, che coordinano l’inchiesta condotta dagli uomini della Digos, La Rocca si è confrontata con i suoi colleghi del gruppo parlamentare all’Ars, riferendo quel che successe quella sera e spiegando di non poter più tacere per una questione di coscienza. Parole accolte con sollievo dal gruppo ma anche con un certo fastidio perché fino ad allora un’altra protagonista di questa storia, Samantha Busalacchi, attivista della prima ora, aveva rassicurato proprio i deputati regionali, con i quali collabora dall’inizio della legislatura nell’ufficio di Palazzo dei Normanni, sostenendo che non ci fu alcuna ricopiatura.

Busalacchi, secondo il professor Pintagro, è tra gli attivisti che quella sera ricopiarono le firme. Lei, come i deputati nazionali, ha però querelato. Ricostruendo quanto accaduto quella notte, fonti qualificate riferiscono al manifesto che proprio Samantha Busalacchi ebbe un ruolo cruciale durante la campagna elettorale di quattro anni fa per il suo forte legame con Riccardo Nuti, all’epoca candidato a sindaco. Quando gran parte delle duemila firme ormai erano state raccolte a supporto della lista dei candidati, qualcuno si accorse dell’errore: Giuseppe Ippolito, uno dei candidati, non era nato a Palermo, così come trascritto sul retro di ognuno dei fogli con le firme autografate a supporto, ma a Corleone.

NON È CHIARO, ancora, se ad accorgersi dell’errore sia stato proprio Ippolito o chi, assieme a Samantha Busalacchi, era stato incaricato di trascrivere i dati anagrafici dei candidati. Nell’ufficio di via Sampolo, quartier generale pentastellato di allora, scoppiò il panico. Le fonti del manifesto ricordano le urla e i momenti d’isteria generale. «È possibile che per un errore così banale rischiamo di fare saltare la lista?», fu la riflessione a capo chino degli attivisti. È a quel punto che viene presa la decisione: correggiamo l’errore e ricopiamo le firme. Chi prese quella decisione? Saranno i pm ad accertarlo nell’ambito delle indagini che al momento vedono coinvolti una ventina di attivisti, alcuni diventati intanto parlamentari.

Ma torniamo a quelle ore drammatiche. Dal quartier generale parte l’ordine: «Tutti in sede»; in tanti si precipitano e partecipano alla ricopiatura delle firme. I tempi sono stretti, anzi strettissimi. Che quelle firme furono ricopiate non solo lo ammette Claudia La Rocca, che si è autoaccusata di essere stata presente quella sera, ma anche altri due attivisti che stanno collaborando con la Procura. E alcuni dei firmatari avrebbero confermato, sentiti dai magistrati, che le sigle sugli elenchi ufficiali depositati all’anagrafe del comune e acquisiti dai pm non sono le loro, mentre quelle originali si trovano nei fogli che un anonimo ha recapitato a Le Iene.

LA PROCURA DOVREBBE concludere le indagini in pochi giorni, poi sarà noto l’elenco degli indagati. I pm ipotizzano il reato previsto dall’articolo 90, secondo comma, del testo unico 570 del 1960 che punisce con la reclusione da 2 a 5 anni, tra l’altro, «chiunque forma falsamente, in tutto o in parte, liste di elettori o di candidati od altri atti dal presente testo unico destinati alle operazioni elettorali, o altera uno di tali atti veri oppure sostituisce, sopprime o distrugge in tutto o in parte uno degli atti medesimi». «Chiunque fa uso di uno dei detti atti falsificato, alterato o sostituito, – recita la legge – è punito con la stessa pena, ancorché non abbia concorso nella consumazione del fatto». C’è chi confida però nell’archiviazione poiché il reato, se accertato, non avrebbe in realtà portato alcun vantaggio: la lista dei 5 Stelle non riuscì a superare il quorum del 5% per potere eleggere propri consiglieri al comune. Si vedrà.

L’imbarazzo però è palese. Dal direttorio M5S non arriva alcun segnale, nonostante Grillo e Di Maio siano stati messi al corrente di quel che accadde nelle stanze di via Sampolo. L’ordine sembra quello di aspettare l’esito dell’inchiesta, e soltanto dopo saranno assunte le decisioni politiche riguardo alla sospensione nel caso la Procura invierà gli avvisi di garanzia.

GRILLO TERRÀ CONTO della scelta di chi ha collaborato per la verità o queste persone saranno trattate come chi invece, coinvolto nell’indagine, ha scelto la via della querela negando persino il fatto in sé? Se vale quello che Grillo scrisse nel suo ultimo post sul caso dovrebbero esserci dei distinguo: fu proprio il capo politico Cinquestelle a fare appello a chi sapeva qualcosa a farsi avanti in anonimato compilando un apposito format. A breve si saprà se negazionisti e collaborazionisti saranno trattati allo stesso modo.

Alfredo Marsala
Fonte: www.ilmanifesto.info
16.11.2016


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