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Istruttive difese di Mastella


cloroalclero
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Molto istruttivo il titolo del «Secolo», il foglio di AN: «Non ci piace l’esecuzione di Mastella».
Ma non è il solo.
Anche Liberazione, autodefinito «quotidiano comunista», difende l’Uomo di Ceppaloni: evidentemente, nell’area «comunista» non c’è alcuna voglia di fargli fare «la fine di Craxi o di Biagi», azioni di cui si fregia l’area medesima.
Anche Stefano Folli, su 24 Ore-Confindustria, difende Mastella: lui dice che il Ceppalone è il comodo «nemico interno» che la sinistra incompetente e inconcludente si è formata, per assolvere se stessa; tanto più che Mastella sta per abbandonare «la sinistra» per andare con «la destra» che può vincere le elezioni.
E Lucia Annunziata?
Da La Stampa-Fiat difende «il Mastella espiatorio».
Prendersela con lui, sancisce, è una «semplificazione».
Ci sono tantissimi peggio, tante caste da abbattere.
Giusto.
Solo che, come esempio, la politologa-ammanicata cita: «L’Italia è un Paese in cui il 48% dell’economia è in nero».
Che è la tesi (non comprovata) di Visco.
«Quante corporazioni in Italia gestiscono con assoluta immobilità il loro potere di controllo sul mercato?… I favoleggiati 13 mila euro netti dei parlamentari impallidiscono rispetto ai guadagni e alle distanze sociali che il sistema genera ogni giorno».
Insomma: prendetevela con chi blocca «il libero mercato» (suppongo i notai, e i tassisti).
Prendetevela con l’economia sommersa che evade le tasse e non dà abbastanza soldi alla Casta.
Quelli sono i ricchi.
Di fronte a cui i 13 mila euro netti mensili «impallidiscono».

Infatti, e la Annunziata lo sa bene, visto che è stata messa dalla Casta alla presidenza della RAI:
e deve aver preso parecchio di più.
Tutto questo coro è parecchio istruttivo.
Questi difendono se stessi e le loro mensilità.
Tutti.
Anche Stefano Folli, dal giornale di Confindustria che lo ha elevato - lui mediocre «pastonista parlamentare» al prestigio di analista politico di prima scelta.
Nel gergo delle redazioni, si chiama «pastone parlamentare» la raccolta e la messa in fila un tanto al chilo - a cui si dedicano ogni giorno mediocri giornalisti di Palazzo romani - delle «dichiarazioni» e delle «reazioni» dei deputati, senatori, sottosegretari e ministri (quando disponibili), insomma della chiacchiera in cui vogliono farci credere consista la «politica» in Italia.
L’articolo prodotto dai pastonisti si chiama così perché è una broda densa per maiali, senza capo né coda, in cui galleggiano unti favori da fare a questo o a quel deputato o sottosegretario amico in cerca di «visibilità» sui grandi media.
Raccogliere una «dichiarazione» o una «reazione», e metterla sul Corriere o sul 24 Ore, fa diventare il dichiarante o reagente «importante».
E lui poi ti sarà grato.
E’ questo il pastone, e non importa se i lettori dei giornali lo mangino, ossia lo leggano.
Non è per loro: serve al giornale stesso per mantenere i rapporti con ciò che si chiama «politica».
E’ un mestiere ripugnante come rimestare nella broda.
Ma ci si abitua, anzi ci si appassiona alla fine: è ben pagato, e aiuta a far carriera.
I direttori dei giornali sono nati spesso lì, come pastonisti.
O magari ti fai benvolere e finisci alla presidenza RAI.

Pensate solo questo: cosa farebbe Stefano Folli se «la politica» fosse come in Svizzera, dove il parlamento è chiuso per dieci mesi l’anno, e si riunisce solo per due mesi, in due sessioni (primavera e autunno) una delle quali per approvare il bilancio?
Ed è composto non di politici di professione strapagati, ma da persone che per 10 mesi l’anno fanno un lavoro vero, e vanno lì con un certo sacrificio quei due mesi, allo scopo di controllare cosa sta facendo il governo?
Il bello è che anche in Italia potrebbe, forse dovrebbe, essere così.
L’unico obbligo del parlamento, sancito dalla costituzione, è appunto l’approvazione del bilancio di previsione.
Gli altri 300 giorni di seduta, se mai, dovrebbero controllare il governo: ma in Italia il parlamento non controlla, approva e basta, visto che è formato dalla maggioranza che ha creato il governo.
Il bilanciamento dei poteri, da noi, non funziona più da un secolo.
Ma Folli è preoccupato: difende Mastella perché difende in realtà la sua «posizione», il suo prestigio, la sua «importanza» come inutile commentatore del nulla incompetente e malversatore.
Ma il caso più istruttivo è quello del Secolo.
Ci fu un tempo in cui AN cavalcò, eccome, la protesta, e fece fare a Craxi la fine di Craxi.
Ora avverte che non cavalcherà il nuovo cavallo.
Non gli piace «l’esecuzione di Mastella».
I motivi sono tanti.
Il più immediato è che Mastella sta per passare - a pagamento - alla «destra».
Il secondo è che anche il Secolo vive dello status quo: ha zero lettori, ma 4 miliardi annui di sostegno pubblico alla stampa di partito.
Ma il motivo più vero e inconfessabile è che, dopo quella di Mastella, gli ex-missini temono le proprie «esecuzioni».
Sanno benissimo che la persistenza sulla scena «politica» di Larussa da Paternò non è meno discutibile di quella del ras di Ceppaloni, e che la Santanchè è… esattamente quella che sembra.
Se si comincia, non si sa dove si finisce.

AN è la formazione che ha ripudiato la sua ideologia non per poi sciogliersi coi suoi membri cosparsi di cenere, come avrebbe dovuto fare chiunque proclami di aver creduto nel «Male Assoluto», bensì per abbrancare il potere ministeriale, continuando ad esistere come vuoto assoluto, ma pieno di collusioni.
AN è il partito che ha piazzato a governare la Regione Lazio un suo attacchino di manifesti e picchiatore rionale che - non avendo altre capacità - è rimasto appiccicato al partito mentre gli altri trovavano qualche vero lavoro, e che - invecchiando - bisognava sistemare in qualche modo.
Parlo di Storace.
Che ha ridotto la Regione come ci si può aspettare da un ex attacchino, e in più gli pesa sul collo l’inchiesta sui reati che ha commesso o fatto commettere per distruggere il micro-partito della Mussolini, ridicola operazione degna di un attacchino di periferia.
Ora, è vero, Storace ha fatto secessione.
Continua a prendere i suoi 13-15 mila euro mensili però, e solo restando lì può sperare di farla franca con la legge.
Il che spiega come mai Storace abbia praticamente salvato il governo Prodi, facendo mancare il suo voto per la famosa «spallata del Polo» di qualche giorno fa, fallita come sempre.
Se fosse caduto Prodi, elezioni anticipate: e chi lo rivota Storace, ormai senza partito che lo metta in lista sicura?
Addio ai 13-15 mila euro.
Tornare all’attacchinaggio, manco a pensarci; e magari da pregiudicato, chi ti dà un lavoro?
Storace avrebbe salvato anche il regime di Pol Pot.
Ecco perché tutti, ma proprio tutti, difendono Mastella: difendono il sistema, e dunque anche se stessi.
Hanno interessi concreti, molto personali, molto privati, ma potentissimi: il che significa che sono pronti a tutto, contro la cittadinanza che protesta.
Anche qualche lettore (cattolico, naturalmente) mi dice che prendersela con Mastella è ingiusto, che già in un bar di Mestre ha visto una lista di proscrizione di politici, che escludere dal parlamento i pregiudicati è pericoloso, insomma che si rischia di far di ogni erba un fascio…

Vorrei invitare questi benintenzionati a concentrarsi sullo scopo che auspichiamo.
Qual’ è lo scopo?
Liberarsi di una casta parassitaria che occupa le istituzioni; se possibile, con l’ambizione di mutare le istituzioni stesse, in modo da rendere più difficile questa misura (e
norme) di parassitismo non solo corrotto, ma incompetente, da attacchini di governo, che ci porta alla rovina come nazione, e che corrompe ciascuno di noi.
E’ un compito difficile, durissimo, perché gli avversari hanno motivazioni potenti e concretissime per difendere lo status quo, e per giunta si fanno «la legalità» che li protegge.
E’ un compito rivoluzionario.
Certo, prendersela con Mastella non basta.
In cima alla mia lista personale di meritevoli di «esecuzione» ci sono Visco, Padoa Schioppa, Oscar Luigi Scalfaro, senza dimenticare Ciampi e il senatore a vita drogato Emilio Colombo.
Ma bisogna pur cominciare da qualcuno: e Mastella è il bersaglio giusto.
E’ quello che attrae meglio la rabbia pubblica, in ragione della sua stessa impudenza da macchietta, della sua sordità ad un qualunque richiamo etico.
Consente di mettere a fuoco l’indignazione collettiva, di darle una faccia.
Nella Francia del 1789, quella faccia fu Maria Antonietta, del tutto irresponsabile dei mali veri e presunti dell’ancien régime morente.
La sua sola colpa, di non capire che il tempo stava cambiando, è umanamente la più veniale: viveva nella sua bolla dorata.
Eppure, proprio questa sua «assenza» la rese bersaglio di ogni rabbia: era «l’autrichienne», aveva detto «mangino la brioches», la si accusò perfino di rapporti incestuosi col figlioletto; la si decapitò.
Mastella non è una Maria Antonietta, non ha nulla dell’innocente.
Il partito che ha allestito - se ben ricordo, rimettendo in gioco una formazione temporanea messa insieme da Cossiga per motivi oscuri - non fa nemmeno finta di avere un progetto complessivo per il Paese: si presenta al voto, nelle sue zone clientelari, come il partito della clientela.
Programmaticamente.
Il clientelismo non come mezzo, ma come fine in sé.
A cominciare dalla famiglia sua.
Maria Antonietta fu un bersaglio pretestuoso: Mastella no.

Il suo partito, dell’1,4%, ha come scopo precipuo e conclamato di inserirsi in una coalizione qualunque, purchè di governo, per esercitarvi il potere di ricatto («Passo dall’altra parte») allo scopo di ottenere «posti» e ministeri.
Un partito così andrebbe vietato per legge.
Ma la legge, in Italia, la fanno loro.
Dunque non c’è speranza di liberarsene con mezzi «legali».
Ho sentito il predecessore di Mastella alla Giustizia, Castelli, onest’uomo razionale, dire: in quanto ministro della Giustizia, Mastella ha il diritto-dovere di trasferire un magistrato come quello di Catanzaro, se i suoi ispettori mandati sul posto hanno fatto rapporto sfavorevole al giudice; certo, se Mastella trasferisce quel magistrato perché indaga su di lui e su Prodi, allora…
E’ proprio questo il problema, onesto Castelli, ingegnere lombardo.
Un ministro non può esercitare il proprio dovere, perché è sospetto di interesse personale.
Non può svolgere il suo dovere d’ufficio, perché è sospetto.
Macchia con la sua natura sospetta le istituzioni.
E’ proprio questo il punto: Mastella non ha l’autorità morale per coprire il ministero della Giustizia.
Sotto di lui, quella diventa «giustizia» tra virgolette; e lui non può trasferire magistrati magari meritevoli di trasferimento.
Capite?
Il danno inflitto è molto superiore a qualunque mazzetta o tangente.
E’ per questo che le istituzioni sono corrotte.
La Casta ha consumato tutta la sua autorità morale.
Mastella, semplicemente, dovrebbe dare le dimissioni.
Come Visco, abusivista edilizio per la sua villa, e come gli altri.
Non lo faranno mai spontaneamente.
Resteranno lì a far marcire le istituzioni nostre, a succhiarci il sangue, ad accusarci di evasione mentre ci impoveriamo.

Come si fa?
Bisogna forzarli.
Per questo, bisogna anzitutto - anche come cattolici, credo - capire che il male che fanno a noi è molto peggio del male che possiamo fare a loro: distruggono i nostri figli, il loro futuro.
Bisogna tener fermo che la «legalità» corrente non ha più «legittimità», e che la legittimità va ricostituita.
E adesso, forse, c’è un’occasione per cambiare ciò che deve essere cambiato, e la dà l’indignazione collettiva.
E’ una forza, meno forte di quella che anima Storace che teme di perdere i suoi 13 mila euro, meno potente e durevole di quella di Mastella che mette moglie e figli su Regioni e aerei di Stato.
Bisogna approfittarne, altrimenti siamo perduti.
Lo dico a quel lettore che mi scrive: ho visto una lista di proscrizione di politici in un bar di Mestre. Ma quella, caro lettore, è una cosetta da ridere!
Nei bar di Mestre, dalle liste non si è mai passati all’azione!
Nemmeno ai tempi del favoloso nord-est serenissimo!
Invece, caro lettore, quelli elencati su quella lista agiscono, eccome.
Ogni ora.
Non pensano ad altro che a rubare.
E non è qualunquismo: come avrai notato, i nostri «politici» non sono interessati a governare, si annoiano.
Quando vincono le elezioni, il governo lo lasciano fare ai «tecnici», tipo Padoa Schioppa o Ciampi - perché loro sono troppo occupati in ciò che chiamano «la politica», schieramenti, alleanze, favori, clientele… è questo che li diverte, e per cui li paghiamo tanto.
Del resto, le decisioni vere le prendono altri: Bruxelles, Washington, la Banca dei Regolamenti.
Il governo è da tempo passato in mano ad entità che non abbiamo mai eletto, e nemmeno mai visto.
Paghiamo questi 13-15 mila euro ciascuno perché facciano ammuina.
Un po’ è sempre stato così.

Ma prima, dall’Unità d’Italia, il funzionamento dello Stato era garantito dall’alta burocrazia, dai grand commis, appunto dai tecno-burocrati di carriera.
Erano loro che governavano.
Niente di eccelso, certo, come tutto in Italia, ma avevano esperienza.
Avevano un partito di riferimento, erano messi ai posti dirigenziali pubblici da esso in cambio di tangenti, ma avevano autonomia e competenza e senso di responsabilità.
Ettore Bernabei alla RAI, per esempio.
O Lorenzo Necci alle Ferrovie.
Tutti sbattuti fuori da Mani Pulite.
E dopo?
Dopo, i «politici» hanno messo a quei posti che richiedono competenza i loro compari, i loro deputati non votati e trombati, gli amici, i politici di serie C da sistemare.
Così, oggi, la Casta non ha nemmeno il polso della realtà sociale.
Il ministro dell’Interno è sorpreso dall’afflusso di zingari rumeni:ma in Germania e Francia, l’afflusso è stato bloccato, subito hanno emanato una moratoria alle norme-Schengen, e questo perché i loro tecnici, ben informati, avevano messo sull’avviso: attenti, ora che la Romania è europea, arrivano i delinquenti (1).
Da noi no.
I compari, i trombati da sistemare e gli attacchini di manifesti non diventano dei «tecnici».
Ne hanno solo gli stipendi, moltiplicati per tre o quattro.
Dunque il male che possiamo fare a Mastella scompare di fronte a quello che fa a noi.
Che gli può succede?
Che torna a casa a godersi gli immobili accaparratisi, la pensione miliardaria da ex deputato ed ex ministro.
Io gliela toglierei: ma questo richiederebbe la rivoluzione (2), e so che i miei lettori cattolici non sono pronti.
Un giorno scriverò come si deve fare una rivoluzione, istruzioni per l’uso: ce n’è bisogno, perché è tanto che non ne facciamo…

Lo dimostra anche un altro lettore, che dice: ma anche se dimezziamo gli stipendi alla Casta, non risolviamo il debito pubblico.
Ma certo, è ovvio.
Lo scopo è di togliere ai «politici» il solo motivo per cui stanno lì, uno stipendio che - date le loro qualità reali - non si sognerebbero nemmeno se si imbottissero di allucinogeni.
Lo scopo è di togliere lo stipendio e gli altri benefici scandalosi come «scopo ultimo della politica», inconfessato magari, ma reale.
E poi, non è nemmeno vero quel che dice il lettore.
Se la Casta ha davvero fatto sparire 98 miliardi di euro in tassazioni dovute per le slot machines, il danno che ci infligge come contribuenti, e che infligge allo Stato, è immensamente superiore ai loro emolumenti: questi disonesti incompetenti (disonesti «perché» incompetenti) hanno fatto sparire quasi tre Finanziarie, roba con cui potevano ridurre durevolmente il debito pubblico e gli interessi che paghiamo su di esso.
Ma come indignare la gente parlando di debito pubblico, di 98 miliardi di euro?
L’indignazione ha bisogno di una faccia e di un nome: e allora, dàgli a Mastella.
Non è un capro espiatorio, non è innocente.
A prenderlo di mira, comunque, non si sbaglia.
Purchè sia solo l’inizio, si capisce.

Maurizio Blondet

Note
1) Un altro esempio di questo non-governare sta nelle sedicenti «norme anti-elusione» escogitate da Visco. Obbligano le piccole imprese a fare «istanza preventiva» alle Entrate: ossia a chiedere prima se possono fare una cosa (poniamo, creare una filiale all’estero) che il fisco possa vedere come elusiva. E «l’assenza di risposta vale come rifiuto». Cosa vuol dire? Che Visco e i suoi uffici sono incapaci di elaborare una normativa contro l’elusione, perché troppo incompetenti e ignoranti dei meccanismi della modernità del mondo degli affari, che ne inventa una ogni giorno. Perciò, impongono ai contribuenti l’auto-denuncia preventiva, onde gli uffici possano farsi un’idea di quel che sta avvenendo e sancire se commettono un reato (o quasi-reato). Tuttavia, a scanso di rischi, «la non-risposta vale come rifiuto»: sapendosi sempre in ritardo, gli «uffici» nullafacenti hanno rovesciato a loro favore il principio del «silenzio-assenso» (se gli uffici non rispondono, il richiedente è libero di fare), reso necessario nel nostro sistema giuridico proprio perché gli uffici non rispondono mai in tempo. Si può solo immaginare la paralisi che questo infligge alle aziende, specie alle esportatrici, che devono cogliere occasioni al volo sui mercati globali, e rischiano di essere tacciate di elusione. Naturalmente, questo non mette in pericolo l’elusione di Della Valle e Montezemolo, che hanno le loro finanziarie in Lussemburgo e in Olanda: sullo yacht che Della Valle s’è fatto a forza di elusione, Mastella ci va, e Visco è sempre invitato.
2) Ad ogni richiesta di ridursi gli stipendi e le pensioni, lorsignori rispondono che sono «diritti acquisiti»: come le pensioni dei lavoratori con 40 anni di anzianità, che pure intaccano quando pare a loro. Per questo le rivoluzioni istituiscono immediatamente i tribunali rivoluzionari: per spogliare dei suoi «diritti acquisiti» il ceto parassitario da abbattere, e che potrebbe farli valere come «legali», mettendo in mezzo avvocati e giudici ordinari, soggetti alla «legge». E’ la giustizia sommaria, che ha i suoi vantaggi, purchè sia basata su criteri spicci ma oggettivi. Per esempio: chiunque, in una qualunque carica pubblica, abbia guadagnato più di 6 mila euro netti mensili perde la pensione e subisce la confisca dei beni. Il limite dei 6 mila euro serve ad esentare la dirigenza pubblica utile, come prefetti e questori, di cui nessuna rivoluzione può fare a meno.
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