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Italia in recessione fino al 2010


Tao
 Tao
Illustrious Member
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L'Italia è in recessione e, secondo gli esperti del Fondo monetario internazionale, lo sarà anche nel 2009. Le debolezze strutturali del nostro paese, da diversi anni fanalino di coda dell'Ue riguardo alla crescita del Pil, ci espongono più di altri ai venti della crisi mondiale. L'ultima stima del Fmi, contenuta nel "Regional Economic Outlook", parla chiaro. Ci dice che il Pil italiano sarà negativo sia quest'anno che il prossimo: -0,1% nel 2008 e -0,2% nel 2009. Quanto al deficit, sarà 2,6% nel 2008 e 2,9% nel 2009. Sul fronte inflazione, invece, in Italia si attesterà al 3,4% nel 2008 per poi scendere all'1,9% nel 2009. «Il problema dell'Italia è strutturale, non congiunturale, il problema è la produttività», spiega Alessandro Leipold, direttore del Dipartimento europeo del Fmi.

E tuttavia il peso maggiore della crisi non ricadrà sulle spalle di chi l'ha determinata. A pagare non saranno certo gli speculatori finanziari o le Banche, visto il "paracadute" di svariati miliardi sollecitamente messo a loro disposizione dai governi europei. E nemmeno quelle imprese italiane che, nel corso degli anni, invece di investire nell'innovazione dei propri prodotti, hanno puntato sulla riduzione dei costi e sul taglio dei salari. Rendendo nel complesso il nostro paese meno competitivo. No: i più colpiti dalla crisi, fa sapere il governatore della Banca d'Italia Antonio Draghi, sono soprattutto le famiglie di lavoratori e pensionati, il cui reddito disponibile è stato progressivamente eroso «dall'inflazione e dall'aumento del servizio al debito». Il vistoso «calo dei consumi» interni a cui stiamo assistendo è, conferma Draghi, la diretta conseguenza della perdita della capacità di acquisto delle famiglie a basso reddito.
Non a caso l'Italia è uno dei paesi al mondo dove nei primi nove mesi dell'anno si è allargata di più la forbice tra ricchi e poveri. Uno studio pubblicato ieri dall'Ocse sulla crescita delle disuguaglianze sociali pone l'Italia al sesto posto tra i 30 paesi industrializzati. In particolare redditi da lavoro, capitale e risparmi sono diventati il 33% più diseguali a partire dalla metà degli anni ottanta. Si tratta del più elevato aumento nei paesi Ocse, dove l'aumento medio è stato del 12%. I ricchi sono diventati sempre più ricchi, distanziando i poveri, ma il divario è aumentato anche rispetto alla classe media.
Inoltre la mobilità sociale in Italia è più bassa che in altri paesi, come Australia o Danimarca. Figli di famiglie povere hanno, cioè, una più bassa probabilità di diventare ricchi rispetto ai figli di famiglie ricche. La ricchezza è distribuita in modo più diseguale rispetto al reddito: «Il 10% più ricco - si legge nel rapporto - detiene circa il 42% del valore netto totale. In confronto, il 10% più ricco possiede circa il 28% del totale del reddito disponibile».

Se questo è accaduto, non è per volontà divina, ma a causa di cattive politiche di redistribuzione che hanno favorito il profitto a scapito del salario. Politiche che anche questo governo intende portare avanti. «Nonostante la crisi internazionale e nonostante la possibile flessibilità ai parametri di Maastricht - fa sapere da Napoli Silvio Berlusconi - confermo che il nostro debito pubblico scenderà sotto il 100% del Pil nel 2011, come previsto. Il governo - assicura il premier - non ha alcuna intenzione di cambiare il proprio impegno». Impegno che si sta traducendo in tagli pesanti ai servizi pubblici, alla scuola, alla ricerca. Accompagnati da provvedimenti tesi a deregolamentare il diritto del lavoro.

Per la Cgil la strada da seguire è un'altra: ridurre da subito le tasse ai lavoratori per 500 euro. «Nell'attuale crisi economica, la misura per la detassazione dello straordinario non è più urgente, sarebbe invece ragionevole usare quelle risorse per chi rischia di restare senza reddito», afferma il segretario confederale della Cgil Agostino Megale.
La ricetta della Confindustria, illustrata ieri a Napoli dalla presidente Emma Marcegaglia, è invece sempre la stessa: i soldi vanno dati alle imprese. Come? Riducendo la tassazione sui soldi che gli imprenditori mettono per aumentare il capitale delle loro aziende; prevedendo aliquote agevolate per gli utili reinvestiti, un piano di risparmio energetico e una flessibilità temporanea della deducibilità degli oneri passivi.

Roberto Farneti
Fonte: www.liberazione.it
22.10.08


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