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M5s, Di Maio e l'attrazione verso i poteri forti


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M5s, Di Maio e l'attrazione verso i poteri forti

Il M5s cresce e Di Maio studia da premier. Così ora tesse rapporti con i 'salotti buoni' di industriali e manager pubblici. Che lo accolgono a braccia aperte.

di Francesco Pacifico | 21 Giugno 2016

Racconta un lobbista di lungo corso: «Fino a domenica 19 giugno le grandi imprese, i più famosi professionisti e gli stessi miei colleghi pensavano che non avrebbero mai avuto a che fare con il Movimento 5 stelle. In parlamento è il secondo gruppo per numero di eletti, ma quei voti non sono mai stati fondamentali per gli interessi dei colossi che lavorano o interagiscono con la politica».

Ora però qualcosa è cambiato: «Siamo arrivati alle Comunali 2016 e alla vittoria di Virginia Raggi a Roma e di Chiara Appendino a Torino per scoprire che non ci sono rapporti tra chi conta a livello economico in questo Paese e i grillini. Non li hanno voluti né gli uni né gli altri. E ora vanno costruiti velocemente».

SANPAOLO SUBITO NEL MIRINO. Molto più velocemente di quanto si crede.
Le giunte di Torino e Roma sono destinate a essere operative soltanto a metà luglio, ma sotto la Mole Appendino si è presentata attaccando Francesco Profumo e i vertici della Compagnia di Sanpaolo per essersi aumentato lo stipendio.
Un brutto presagio se si pensa che il nuovo primo cittadino dovrebbe avallare il patto tra le anime della città (quella post comunista e quella liberal-massonica) per portare alla guida di Crt, azionista forte di Unicredit, l’ex forzista Enzo Ghigo.

DIMISSIONI IN AMA E ATAC. Nella Capitale, ad anticipare lo spoil system, ci hanno pensato le prime linee delle municipalizzate Ama (immondizia) e Atac (trasporti) presentando le dimissioni al loro azionista, il Comune.
Per la cronaca questi manager avevano dichiarato che avrebbero rimesso il loro mandato anche se avesse vinto Roberto Giachetti del Partito democratico, che a differenza di Raggi non aveva annunciato la loro destituzione in campagna elettorale assieme a quelli di Acea.

In principio fu Gianroberto Casaleggio che nella sede della sua società, in via Morone, convocava frotte di piccole e medie imprese.
Arturo Artom, suo amico e tra i primi a creare un business garantendo l’accesso credito alle Pmi, ricorda: «Non c’erano grandi nomi, ma Gianroberto passava ore a chiedere informazioni su problematiche come i ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione o gli oneri fiscali e amministrativi, che hanno ispirato non poche proposte parlamentari del Movimento».
Tra i partecipanti c’era anche Elio Radice, patron di Tech-Value: «Con grande umiltà, lui che non era un uomo d’impresa ma di marketing, ci chiedeva la nostra visione del Paese. E mai che parlassimo di politica. Il tutto era molto appagante per chi, come noi, faceva fatica a farsi ascoltare».

DI MAIO APERTO AI SALOTTI. Quegli incontri si interruppero con la malattia di Casaleggio.
Ma più in generale l’odio verso le multinazionali dell’ex guru di Grillo - si racconta scatenato dopo la sua cacciata dalla società Webegg - ha fatto sì che il movimento si tenesse lontano dal potere politico.
Racconta un suo collaboratore: «Quando dicevo a Gianroberto che bisognava darsi dei programmi e delle regole su come approcciarsi a questi mondi, mi rispondeva che sarebbe stata la Rete a indicarci la strada».
Per la cronaca, la Rete non è riuscita neppure ad acuire la tendenza all’isolamento dei cinque stelle.
Ne sa qualcosa Luigi De Maio, che ha un paio di mesi fa ha assunto come spin doctor l’ex garante dell’infanzia Vincenzo Spadafora per essere accolto nei salotti che contano.

DALLA TRILATERAL A BOCCIA. Da mesi il vicepresidente della Camera, e candidato in pectore del Movimento al governo, sta facendo un tour tra i poteri forti del Paese.
Per esempio sarebbe stato tra i primi a incontrare il neopresidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.
Il 30 aprile fece un certo scalpore saperlo a un pranzo organizzato all’Ispi a Milano, al quale parteciparono Mario Monti, nomi importanti del capitalismo milanese ed esponenti della famigerata Trilateral.
Giancarlo Aragona, ex ambasciatore a Londra e oggi presidente del centro studi, ricorda «una giornata piacevole e un giovanotto preparato ed educato, che ha risposto in maniera articolata a tutte le domande che gli sono state poste. Se c’è la stoffa dello statista? Prima di essere statista bisogna vincere le elezioni. E lì prevalgono i politici».

NELLA CAPITALE CI PENSA DIBBA. A Roma, intanto, anche Alessandro Di Battista starebbe aumentando il raggio dei suoi rapporti. Tanto che in molti sperano che possa superare certe incomprensioni create tra le imprese e il neo sindaco Virginia Raggi.

Spiega un imprenditore romano: «La Appendino viene dalla Bocconi. La Raggi, da quando le hanno fatto firmare il contratto con la Casaleggio associati, ha smesso di fare dichiarazioni folli. A Roma vi siete tutti soffermati sul presunto scontro con i palazzinari, quando in città di metri cubi ne hanno costruiti troppi. I veri problemi, casomai, sono che la macchina amministrativa è ferma da sette anni e che, se si fa eccezione per l’aeroporto, le infrastrutture per il turismo stanno a zero. Con la città gestita tanto male, credete davvero che la Raggi possa peggiorare le cose?».

POTERI ATTENDISTI. In questo clima - come il marziano di Flaiano, i leghisti alla conquista di Palazzo Marino nel 1993 e forse anche i radical-comunisti di Pisapia nella Milano pre Expo - i poteri forti si apprestano ad aspettare i pentastellati al varco.
Ostentando grande tranquillità, nonostante nessuno della business community abbia mai incontrato né a Roma né a Torino le due donne forti del movimento.
Jaki Elkann spera che sotto la Mole non cambierà nulla. Chi è vicino a Francesco Gaetano Caltagirone, l’uomo più liquido non soltanto di Roma, fa notare che i suoi interessi sono più all’estero che in Italia e ricorda anche che il suo quotidiano, Il Messaggero, ha appoggiato molto timidamente prima Marchini e poi Giachetti.

UNA GIUNTA RASSICURANTE. Dall’Acea, multiutility che crolla in Borsa ogniqualvolta la Raggi si riferisce alla più famosa controllata del governo, mandano a dire di sentirsi tranquilli con un dividendo da 850 milioni di euro per le povere casse del Campidoglio.
Senza contare che l’assessore chiamato per riorganizzare il tesoretto di partecipazioni del Comune, Antonio Blandini, è un barone della Luiss, università di Confindustria.
E poi nella giunta dell’avvocatessa ci dovrebbero essere il rugbista Andrea Lo Cicero, da sempre fan delle Olimpiadi, e Paola Muraro, che da manager dell’Ama non ha mai scomunicato gli inceneritori.

LA VERSIONE DEI PALAZZINARI. L’unico che sembra agitarsi è Giovanni Malagò, che guida insieme con Luca Cordero di Montezemolo la macchina per i Giochi di Roma 2024.
Ma paradossalmente l’industria del mattone ha metabolizzato la richiesta del M5s di razionalizzare gli spazi per le Olimpiadi o di cambiare l’ubicazione del futuro stadio della Roma.
«Noi siamo favorevoli al nuovo impianto, anche perché potrebbe creare 1.700 posti di lavoro», dice il presidente dell’Acer, Edoardo Bianchi, «ma perché le stesse corsie preferenziali non possono essere utilizzate per altre opere?».
Prima delle elezioni la Raggi disertò il faccia a faccia nella sede dei costruttori romani.
Ma Bianchi, che dovrebbe sostituire in futuro Claudio De Albertis alla testa dell’Ance, chiede «di distinguere tra quello che si dice in campagna elettorale e quello che si fa quando ci si è insediati al potere. Nei prossimi giorni le chiederemo un incontro. Intanto a Roma ci tranquillizza la nomina ad assessore all’Urbanistica di Paolo Berdini, uno che sa di cosa parliamo. Lui vuole la riqualificazione del territorio e non nuove cementificazio
ni? Ma è quello che abbiamo preteso anche noi da Veltroni, Alemanno e Marino, senza ottenere nulla. Speriamo che la Raggi si comporti diversamente».

http://www.lettera43.it/economia/affari/m5s-di-maio-e-l-attrazione-verso-i-poteri-forti_43675250669.htm


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