Notifiche
Cancella tutti

Ortigara, macello insensato. Stop 4 novembre!


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 33516
Topic starter  

Quattro metri di quota conquistati per sei giorni. Il prezzo: 3mila morti al metro. Pensi a loro chi celebra la guerra

Allora raccogliamo l'accorata esortazione di Mario Monicelli, dedichiamo il 4 Novembre ai soldati caduti per esempio nella battaglia dell'Ortigara. Ai soldati, appunto come chiede Monicelli, non a quei comandi che li hanno mandati al massacro. Ortigara, una storia della Prima guerra mondiale che merita di essere conosciuta in tutta la sua verità.
Una storia tenuta nascosta, oppure raccontata in modo menzognero dai giornalisti embedded dell'epoca (tipo Paolo Monelli) e in seguito anche celebrata nella retorica patriottarda come «una delle più epiche e delle più sfortunate pagine della nostre truppe alpine».
Colossale, sporca bugia. L'Ortigara fu solo quello, uno dei tanti macelli inutili perpetrati su ordine di comandi irresponsabilii, incapaci e cinici. L'Ortigara fu un massacro ordinato a freddo e immotivato. La Commissione parlamentare d'inchiesta sulla condotta della guerra istituita dopo Caporetto non poté, infatti, lasciarla passare sotto silenzio. «Nei riguardi dell'azione del giugno 1917 (Ortigara) non sono mancati i rilievi di testimoni autorevoli che la giudicarono, oltre che sanguinosa e infeconda come altre nel 1917, altresì ingiustificata, non solo per i risultati che poteva offrire, ma anche perché disarmonica con la intonazione del piano generale delle operazioni».

Sanguinosa, infeconda, ingiustificata, disarmonica rispetto agli stessi criteri guerreschi: parole gravi e tuttavia eufemistiche, riduttive, se rapportate a ciò che è stata veramente quella maledetta battaglia.
Giugno 1917. Altipiano di Asiago. Quattro corpi d'armata per un totale di trecentomila uomini sono stati lì dislocati in attesa dell'attacco, previsto per il 20 di quel mese. E l'attacco vuol dire la presa del baluardo nemico formato dai monti Ortigara-Campigoletti-Chiesa-Forno, cioè la testa di ponte che gli austriaci sono riusciti a mantenere sulle alture a nord est di Asiago, anche dopo che la loro vittoriosa strafexpedition (spedizione punitiva) ha perso la sua spinta ed è rifluita nel Trentino.
Prendere quella postazione appare subito una impresa pazzesca, anche a tavolino, sulle carte militari. Quelle quattro vette del massiccio montano, lassù a oltre 2000 metri, che devono essere espugnate dai nostri soldati, formano una barriera praticamente insormontabile.

Il primo enorme ostacolo è la eccezionale asperità del terreno: dalle trincee collocate in basso, le truppe italiane devono andare all'assalto arrampicandosi praticamente in verticale sulle pendici e sui costoni. E il secondo ostacolo non è da meno, riguarda le formidabili difese lassù approntate dagli austriaci, venite a prenderci se siete capaci. Loro infatti, hanno adottato «una nuovissima tattica difensiva: abbandonando le trincee, avevano sistemato cannoni, mitragliatrici e uomini in profonde e numerose caverne scavate nella roccia. Inoltre, l'artiglieria pesante, piazzata sulla corona delle montagne attorno, poteva battere al millimetro il terreno su cui doveva svilupparsi il nostro attacco; e ciò anche di notte, con la nebbia o col cattivo tempo, essendo già prestabilite le traiettorie di tiro» (Ufficio Storico del ministero della Difesa).

L'impresa è in realtà assuda oltre che impossibile, ma Cadorna e i suoi non sono tipi da fermarsi per così poco. La cosa prioritaria, per le loro medaglie, al momento è rifarsi della brutta figura rimediata appunto sotto i colpi della strafexpedition , cercando di riconquistare il terreno perduto mesi prima. E, in seconda battuta, c'è da creare un diversivo per alleggerire la situazione sul Carso dove è in atto un'offensiva austriaca (la mossa è inutile nonché idiota, vista la distanza tra i due fronti del Trentino e dell'Isonzo, diranno poi gli esperti). E quindi avanti Savoia, all'assalto dell'Ortigara.
Anzi, meglio anticipare, non aspettare la data prefissata del 20, si può fare prima. Il 5 giugno un dispaccio del Comando supremo chiede così alla VI Armata di abbreviare i tempi. Il generale Mambretti ordina l'attacco per il 9; ma l'8 una potentissima mina (una tonnellata di dinamite), che il genio ha collocato in località Casara Zebio, con l'intenzione di far brillare sotto le trincee austriache non appena fosse iniziato il nostro fuoco, scoppia con 24 ore di anticipo e sulle nostre linee: una strage-preludio che uccide 29 ufficiali e 100 soldati, la guerra è la guerra, no?

Comunque, avanti Savoia, alle 5,15 del 10 giugno l'artiglieria della VI Armata apre il fuoco sulle postazioni nemiche dell'Ortigara. Dopo la mina, la tempesta, pioggia e vento spazzano la zona, gli artiglieri non vedono niente, non riescono ad aggiustare i tiri sulle trincee austriache; alle 15 il comandante della 52ma divisione in linea davanti all'Ortigara chiama al telefono il suo superiore, tale generale Montuori: «Qui non riusciamo a centrare le postazioni nemiche, bisogna aspettare a far uscire dalle trincee i nostri reparti, ritardiamo almeno di un'ora», gli dice. «No, non è possibile, dovete andare avanti», è la risposta del Montuori.
Fuori! Avanti Savoia, allora. Alle 15 i fanti della 52ma e 29a divisione escono allo scoperto, sotto la pioggia battente che ha trasformato in fango viscido le pendici e i costoni.
Più che un assalto è un suicidio di massa.

Al primo attacco i soldati sono massacrati sui reticolati nemici, letteramente fatti a pezzi dal fuoco incrociato delle mitragliatrici e dei cannoni. Al secondo attacco, «facendo ponte sui mucchi dei cadaveri dei compagni», pur con altissime perdite, gli italiani riescono a conquistare l'ultimo gradino dell'Ortigara e lì vengono fermati; più a sud, nonostante i furiosi ripetuti assalti - alcuni battaglioni lasciano sul terreno il 70 per cento degli uomini - il XXII corpo non riesce nemmeno a scalfire le difese austriache di Monte Zebio e Monte Mosciagh.
Non importa, i soldati devono morire, la partita deve continuare. Dopo un'ora di combattimento all'arma bianca - quel terrificante corpo a corpo con la baionetta innestata - la 52ma divisione, vittoria!, urrah!, riesce a superare il gradino dell'Ortigara a quota 2101 portandosi a quota 2105.
«Quattro battaglioni di alpini, due battaglioni di fanteria della brigata Piemonte e il 9 reggimento bersaglieri lasciano la metà dei loro uomini nella scalata di quei quattro metri di dislivello» (Cesare De Simone, L'Isonzo mormorava , Mursia).

La "loro" inutile, vigliacca guerra. Dopo quindici giorni di inferno, all'alba del 25 giugno, l'Ortigara è riconquistata dagli austriaci, l'offensiva italiana è fallita dappertutto. Dal 10 al 25 giugno la VI Armata ha avuto 26mila uomini fuori combattimento, la metà dei quali uccisi.
Il conto è semplice. Dal momento che l'unica vittoria conseguita sull'Altipiano di Asiago è stata la conquista, per sei giorni, di quattro metri di quota (da 2101 a 2105, ricordarselo) sull'Ortigara, quel tratto di montagna è costato 3mila morti al metro.
(E, oltretutto, inutilmente).

Maria R. Calderoni
Fonte: www.liberazione.it
5.11.08


Citazione
marko
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 224
 

... si potrebbe parlare, al 4 novembre, di come l'Italia abbia tradito la Triplice Alleanza, di come abbia perso miseramente all'unica offensiva austrotedesca dopo 10 fallimentari offensive italiane, ecc ecc.

Per capire qualcosa della Grande Guerra, consiglio "Uomini Contro" di Dino Risi e "Orizzonti di Gloria" di Kubrick.


RispondiCitazione
Condividi: