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Parigi,le voci critiche italiane che non si uniscono


marcopa
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Sull' attentato di Parigi si sono pronunciate anche molte voci che pur non giustificando la strage in Francia di questi giorni, in totale se non sbaglio almeno 21 persone uccise, hanno criticato la Francia, la Nato e l' Occidente tutto per la loro politica guerrafondaia in Medio Oriente e per la scarsa attenzione sociale alle loro periferie, politiche che hanno portato a tutto questo.

Gli articoli sono stati pubblicati per lo più da siti web e dal quotidiano cartaceo il Manifesto.

Tutte queste voci però non si uniscono , non fanno una dichiarazione comune che potrebbe essere sottoscritta anche da moltissimi italiani.

Io posso fare poco anche se conosco qualcuno che ha scritto in modo critico su Parigi, ed allora metto alcuni articoli e alcuni link, per unire in modo virtuale chi non ha trovato il modo di fare una dichiarazione comune.

Inizio con Sibialiria su cui ha scritto Francesco Santoianni e metterò articoli o link di Contropiano, Fausto Sorini su Marx21, Giulietto Chiesa su Pandora tv, Tommaso di Francesco e Manlio Dinucci dal Manifesto. Altri se vorranno potranno segnalare altre prese di posizione che ritengono le politiche militari e sociali di Nato ed UE come concause non secondarie dalla strage in più atti di Parigi.

Su CDC per esempio sono stati pubblicati articoli di Piotr da Megachip e Fulvio Grimaldi dal suo blog e probabilmente nel mare aperto del web circolerà molto altro visibile solo cercandolo con impegno.

Ma per ora insieme non ci mettiamo, però abbiamo molte posizioni comuni, chi scrive e chi senza scrivere pensa con la sua testa e magari vorrebbe fare qualcosa.

Marcopa

su www.sibialiria.org

Charlie Hebdo: la guerra e la guerra santa

7 gennaio 2015 By

Sembra un copione già scritto quello che detta le reazioni al massacro della redazione di Charlie Hebdo: un coro di indignazione contro chi minaccia la nostra “democrazia” e la nostra “libertà di espressione” e che minaccia un “giro di vite” e/o l’imposizione, più o meno coatta, ai milioni di lavoratori di fede mussulmana costretti a lavorare in Occidente dei nostri “valori”.

Si direbbe che quasi a nessuno venga in mente che se il fondamentalismo islamico ha attecchito in Europa e se i peggiori banditi di questo vi hanno trovato ospitalità questo è conseguenza principalmente degli alleati che i nostri governanti si sono scelti per condurre le loro guerre. Una strategia già cominciata in Afghanistan con Bin Laden, continuata in Libia e poi in Siria e rafforzata dalla privatizzazione-svendita di interi settori del nostro comparto economico – vedi il caso Alitalia – a stati che il terrorismo finanziano ormai alla luce del sole.

E tutto questo mentre l’Occidente scatena i suoi bombardieri dichiarando una farlocca “guerra santa” contro l’ISIS e altri suoi burattini. Ma per continuare questa guerra c’è bisogno di una opinione pubblica che – Goebbels insegna – si senta minacciata. E cosa c’è di meglio dell’omicidio di un gruppo di giornalisti come quelli di Charlie Hebdo) “colpevoli” di ferire la religione islamica? Per molti sono già “martiri della libertà” ai quali consacrare nuove guerre. Per sempre più persone dei giusti obiettivi.

Guerre e guerre sante

Francesco Santoianni

P.S. Ovviamente, anche a nome della Redazione di Sibialiria, esprimo il cordoglio per i giornalisti di Charlie Hebdo

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2839


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marcopa
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da www.contropiano.org

Parigi brucia
Giovedì, 08 Gennaio 2015 11:51

di Redazione Contropiano

Non si spara sui giornalisti, Nemmeno quando lavorano per la televisione serba di Belgrado, nel 1999. Oppure per quelle – laiche, in paesi islamici – irachene o libiche, rispettivamente sotto i regimi di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi. E incidentalmente non si spara neanche sulle ambasciate, come avvenne per quella cinese, sempre a Belgrado, ad opera dei cacciabombardieri Usa, francesi, inglesi, italiani. Ci sarebbe sembrato normale ascoltare, anche in quei casi, parole simili. Ma non sono state pronunciate, se non da isolati guardiani delle libertà sbrigativamente apostrofati come ”filo-qualcun-altro”.

Non si spara neanche sulle donne e i bambini, eppure avviene ogni giorno, con record ormai inegualiati da parte dei democraticissimi Stati Uniti in ogni angolo del mondo; o da parte della democratica e molto occidentale Israele; o con macabra regolarità da parte della Turchia, membro della Nato e alleato silente dell'Isis contro i curdi di sinistra, a Kobane come altrove.

Non si spara su chi fa informazione. Siamo una redazione che assolve a questo dovere civile consapevole del fatto che ogni parola digitata sulle nostre tastiere darà fastidio a qualcuno. In genere più potente. Pensiamo dunque anche che non si arrestano i giornalisti, come avviene sempre nella Turchia membro della Nato proiettata a esportare la “libertà”. Né si promette loro di ridurli sul lastrico per legge, come avviene in Italia, con legge approvata nelle ore precedenti la strage di Parigi.

Ci piacerebbe che questo “comandamento” fosse ricordato sempre, a prescindere dal passaporto o dalla fede religiosa (quelli jugoslavi, in fondo, erano addirittura cristiani ortodossi...).

Ci piacerebbe – ma proprio non ce la facciamo - poter essere cinici come gli inglesi, fondatori dell'imperialismo moderno e portatori dell'identica supponenza imperiale anche ora che fanno soltanto da spalla per i loro successori statunitensi. Per questo non ci ha stupito che l'unica voce fuori dal coro, ieri, ancora a caldo, con le immagini del colpo di grazia al poliziotto ferito che scorrevano centinaia di volte su tutti gli schermi, sia stata proprio quella dell'ex direttore del più prestigioso e letto giornale economico del pianeta, il Financial Times. Parole durissime, scritte da Tony Barber mentre tutti piangevano oppure ordinavano di farlo, senza porsi domande. Parole che ricordano come fare informazione sia anche un'assunzione di responsabilità, non solo un'espressione di libertà.

"Anche se il magazine [Charlie Hebdo, ndr] si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione" [...] "Con questo non si vogliono minimamente giustificare gli assassini, è solo per dire che sarebbe utile un po' di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando invece provocano i musulmani".

Lo imparano presto anche i bambini. La provocazione - o insulto - chiama insulto, induce ad alzare progressivamente i toni e la voce, fin quando questa non si spezza e un gesto, uno schiaffo, cambia il piano su cui si svolge “il confronto dialettico”. Accadde anche tra due maturi professionisti della comunicazione-provocazione, come Vittorio Sgarbi e Roberto D'Agostino.

Facciamo informazione e qui vogliamo condurre un'analisi razionale, perché non ci possiamo accontentare delle pseudo spiegazioni fondate su parole che la impediscono e richiamano all'ordine del “pensiero unico” (“follia”, “terrorismo”, “barbarie”, ecc).

E allora sgombriamo il campo dalla prima sciocchezza: quella avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo non è una strage contro la libertà di espressione. È un attacco alla Francia che bombarda in Medio Oriente come ha fatto su Libia e Mali. È un attacco portato da cittadini francesi convertiti all'islamismo politico radicale, andati a combattere in Siria contro Assad senza che nessuno impedisse loro di farlo. Anzi, si potrebbe sospettare che ci sia stata una certa condiscendenza sul lasciarli andare, proprio mentre Parigi – come Washington, Londra, Berlino, Roma – elargiva finanziamenti e armi per irrobustire una opposizione combattente al regime di Damasco. Un calcolo come tanti, nella speranza che si eliminassero a vicenda, spianando poi la strada alla “pacificazione” portata dall'Occidente. Sappiamo che le cose sono poi cambiate; ora laggiù si bombardano gli ex alleati che “si sono montati la testa”, creando un califfato a cavallo di confini scritti sulla sabbia da Parigi e Londra agli albori del secolo scorso. Un calcolo sbagliato, con combattenti avvelenati ed ormai molto esperti pronti a “riportare in casa” la guerra per procura combattuta altrove.

Un attacco mirato, contro chi – ai loro occhi – svolgeva consapevolmente o meno un ruolo in senso molto lato “bellico”. È in fondo la stessa argomentazione sollevata contro chi protestava per i bombardamenti della tv serba o libica: “sono strumenti del regime, non giornalisti liberi”. E sinceramente lasciamo ad altri il compito di decidere se sia più “civile” massacrare gente bombardandola con i droni o sparandogli in un ufficio. Noi, semplicemente non vediamo nessuna differenza, perché la dinamica della guerra le cancella.

Un attacco alla Francia neocoloniale – senza neanche addentrarci nella complessa problematica delle banlieue e dell'integrazione “difficile” - condotta contro un simbolo del disprezzo occidentale verso valori e simboli ritenuti “sacri”. Siamo atei militanti e ci risulta inconcepibile combattere per un dio. Ma sappiamo che così funziona da millenni, anche qui da noi, nella civile Europa, tra tanti opinionisti rabbiosi che richiamano da decenni ai “valori cristiani” e allo “scontro di civiltà” per nascondere il conflitto tra materialissimi interessi contrapposti. Un imperialismo anche “culturale”, per cui gli unici valori sani, le uniche modalità comunicative ammissibili, le sole ritualità comprensibili, sono le nostre.

E invece il mondo del 2015 è popolato da molti altri soggetti, poli, interessi, culture. Il problema, attualissimo, dell'”Islam politico” non può essere ridotto alla macchietta del fanatico religioso che vuole tornare al Medioevo. Al contrario, il tentativo è quello di creare un “polo islamico” capace di competere con l'imperialismo occidentale usando – pur in rapporti di forza del tutto sfavorevoli – gli stessi mezzi, persino mediatici o simbolici. I network di area sono un esempio clamoroso di “introiezione della modernità” all'interno di un contesto culturale differente e con obiettivi autonomi. Un universo complicato, fatto di stati ufficialmente “alleati” degli Stati Uniti e dell'Unione Europea come di confraternite di “mutuo soccorso”, di milizie combattenti come di service audiovideo, di servizi segreti doppiogiochisti (dove si nascondeva Osama Bin Laden?) come di “brigate internazionali”. Un universo che unisce finanzieri e rapper, tecnologi dei media e masse arretrate delle megalopoli, aggregate soltanto – e in modo mai innocente, come per tutte le religioni – dal richiamo integralista.

Un problema che abbiamo affrontato altrove, tenendo presente – come altri - che "il mondo islamico conta più di un quinto della popolazione mondiale, ha un potenziale militare fra i maggiori del mondo, pesa per circa il 9% della finanza mondiale ed ha in pugno la maggior parte delle risorse petrolifere. Ma, essendo frammentato in una trentina di stati, pesa pochissimo nella scena internazionale: non ha un solo membro permanente del Consiglio di Sicurezza o nel G8, conta pochissimo nelle istituzioni finanziarie come nelle alleanze militari ed anche nel G20, ha una presenza del tutto marginale".

Af
frontare questa competizione in termini di “scontro di civiltà” è un suicidio per la civiltà. È una semplificazione interessata che cerca di seppellire l'antagonismo tra interessi sociali all'interno del nostro mondo (esattamente come all'interno del mondo “islamico”) incanalando paure, malesseri, frustrazioni e disagi che nascono dal nostro modo di vivere, lavorare, esistere, verso un “nemico esterno”. Come sempre mostruoso, incomprensibile, pazzo, crudelissimo. Che prova a fare qui da noi quel che “noi” (i bombardieri e i militari che i “nostri” governi utilizzano) facciamo in casa loro o dei loro correligionari.

È una trappola in cui non cadiamo e che invitiamo tutti a individuare con chiarezza. È la stessa trappola scattata all'indomani dell'11 settembre, lo stesso dispositivo d'ordine che richiama come indispensabili nuove leggi restrittive, bavaglio alla libertà di stampa, militarizzazione sociale, silenziamento delle opposizioni.

La dinamica politica sottesa allo “scontro di civiltà” è chiaramente riassunta dai Lepen e dai Salvini, fascisti contemporanei che hanno con tranquillità sostituito l'antisemitismo con l'anti-islamismo, lasciando il resto dell'ideologia autoritaria intatto, anzi “modernizzato” con l'omaggio formale alla “libertà” che si intende limitare. Il destino che disegna Michel Houellebecq, insomma, di un “occidente” costretto a scegliere tra Lepen o l'islamizzazione. Ossia tra la concreta obbedienza a una deriva “fascista del terzo millennio” e un impossibile rovesciamento dei parametri fondamentali della modernità.

È una deriva che semina cadaveri anche a sinistra. Il Pcf - i comunisti francesi - ha mostrato una volta di più di non saper resistere al richiamo dell'”unità della Republique” contro il nemico esterno, abdicando a qualsiasi autonomia di giudizio e posizionamento.

Un falso scontro, che ne nasconde altri, per molti aspetti più decisivi di quelli che la cronaca ci propina continuamente in primo piano.

http://contropiano.org/editioriali/item/28467-parigi-brucia


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marcopa
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da www.marx21.it

L'attentato di Parigi: un atto criminale volto a creare un clima di guerra nell'opinione pubblica europea e occidentale.

di Fausto Sorini

08 Gennaio 2015 07:52

I comunisti italiani, sgomenti, esprimono dolore, cordoglio e solidarietà nei confronti dei familiari delle vittime e del popolo francese per il grave attentato che lo ha colpito.

L'attentato di Parigi si configura come un atto criminale assolutamente inquietante, volto a creare un clima e pulsioni di guerra e ritorsione nell'opinione pubblica francese ed europea, per trascinarla sul terreno di reazioni emotive volte a giustificare nuovi interventi militari nei confronti di Paesi additati come ostili e nemici.

Temiamo seriamente di essere in presenza di una sorta di 11 settembre della Francia (e dell'Europa), tramite il quale forze oscure, contrarie alla pace, vogliono indurre l'opinione pubblica francese ed occidentale ad una reazione di guerra in nome della lotta contro l'estremismo islamico, ad una nuova crociata contro gli infedeli, che tenda ad assumere il carattere di uno “scontro di civiltà”.

Come per l'11 settembre, in cui l'attentato alle Due Torri - attribuito ad estremisti islamici - servì all'imperialismo americano per scatenare l'aggressione e l'occupazione dell'Afghanistan (accusato di proteggerne i mandanti); così oggi l'attentato di Parigi viene attribuito da una potente campagna mediatica all'ISIS o ad analoghe entità fondamentaliste della Stato Islamico.

Si tratta di quelle stesse entità, che sono state armate e sostenute fino ad ieri dagli Usa, dalla Gran Bretagna, dalla Francia per destabilizzare ed aggredire la Libia, la Siria, l'Iraq (domani forse l'Iran), al fine di rafforzare e giustificare l'escalation della presenza militare atlantica in Medio Oriente, o in altre regioni nevralgiche del mondo. E che oggi sfuggono al controllo dei loro padroni, o ne sono in qualche misura manovrate.

Difficile non ricordare, in questo contesto, il monito di Papa Francesco, che ancora di recente ha detto che "siamo già entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli".

Siamo fortemente preoccupati per le sorti della pace mondiale, che vediamo oggi seriamente minacciata da una escalation di guerra economica e militare imperialista che, anche nella più recente crisi Ucraina, rivela un crescendo di ostilità nei confronti della Russia, della Cina, di tutte le forze che nel mondo fanno da contrappeso alla potenza Usa e atlantica.

Siamo anche preoccupati (a volte scandalizzati) per l'indifferenza o l'opportunismo con cui anche forze che si vorrebbero democratiche o di sinistra si sottraggono ad una precisa analisi e assunzione di responsabilità in materia di pace e guerra.

Invitiamo tutte le compagne e i compagni, tutte le forze progressiste e coerentemente contrarie a tale pericolosa escalation, a dare anche nelle prossime ore il loro contributo di informazione e orientamento lucido e responsabile sulle cause primarie dell'attuale tensione nel quadro internazionale.

L'Italia, membro attivo della NATO, non è certo estranea a questo teatro inquietante di escalation militare. I governi italiani che si sono succeduti in questi anni hanno pesantemente contribuito e avallato tale escalation: Iraq, Yugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina...

E' necessario operare affinchè tutte le forze amanti della pace e contrarie a tale politica di aggressione, comunque collocate, diano il loro contributo per fermare questa marcia verso un conflitto globale, prima che sia troppo tardi.

La stessa elezione del nuovo Presidente della Repubblica può e deve essere innanzitutto l'occasione per favorire l'ascesa al Colle di una figura che – diversamente dal ruolo deteriore svolto da Giorgio Napolitano – possa dare un contributo almeno in parte favorevole ad una collocazione internazionale dell'Italia meno subalterna al sistema di guerra e di aggressione militare, più disponibile ad una linea di cooperazione internazionale multipolare. In coerenza coi valori e coi principi della nostra Costituzione.

Fausto Sorini, segreteria nazionale PdCI, responsabile esteri

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/24951-lattentato-di-parigi-un-atto-criminale-volto-a-creare-un-clima-di-guerra-nellopinione-pubblica-europea-e-occidentale.html


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marcopa
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Pandora TV, commento di Giulietto Chiesa:

https://www.youtube.com/watch?v=p9mpDJgmncg


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marcopa
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Un contributo di Ascanio Celestini che mi sembra confermare quello che ho scritto nella mia introduzione.

Marcopa

Parigi, cominciamo dal rifiuto di questa nuova guerra
Ascanio Celestini condivide l'allarme di Giulietto Chiesa: chi sta cominciando questa nuova/strana guerra mondiale? Chi la avalla? Primo compito: rifiutare la guerra.

Redazione megachip
sabato 10 gennaio 2015 11:37

di Ascanio Celestini.

"Il massacro di Parigi è un attentato alla pace mondiale" dice Giulietto Chiesa, "agli equilibri della pace internazionale" cioè è "la strattonata che punta a trascinare l'Europa in guerra".
Abbiamo alle spalle mezzo secolo di pace (condita di stragi e terrorismo, ma anche di benessere) e davanti un possibile conflitto? Continua Chiesa dicendo che "l'Isis è una trappola ben congegnata, una creatura inquinata e molto dubbia, ma molti non hanno ancora capito la lezione" e poi si chiede "chi paga un esercito di oltre 50mila uomini? E poiché non è né la Russia né l'Iran. restano pochi mecenati." Quali?
Dunque: chi sta cominciando questa nuova/strana guerra mondiale? Chi la avalla?
Io credo che intanto abbiamo un impegno: non accettare la posizione dei commentatori europei che hanno tante risposte certe (e spesso inutili), ma incominciare a porci delle domande, fare dei distinguo, avere dubbi.
E soprattutto dire, come tanti anni fa, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Non vogliamo essere colonialisti,
non vogliamo produrre e vendere armi,
non vogliamo mandare i nostri militari ad ammazzare gente in giro per il mondo,
non vogliamo continuare a bombardare i morti di fame in giro per il mondo,
i soldati ci piacciono di più quando spalano il fango e fanno attraversare le vecchiette sulle strisce pedonali,
non vogliamo chiudere le frontiere ai profughi disarmati,
non vogliamo dire che questi poveracci vengono nel nostro paese per spararci addosso
perché sappiamo che assistono i nostri anziani, puliscono le scale del nostro condominio e fanno la pizza sotto casa nostra,
non vogliamo avere rapporti commerciali con paesi ricchi, arricchiti, ma schiavisti,
non vogliamo, non vogliamo, non vogliamo,
noi non vogliamo!
La coscienza può cominciare anche dal rifiuto.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/09/parigi-cominciamo-dal-rifiuto-di-questa-nuova-guerra/1325637/


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