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Putin e il braccio di ferro con la Nato


JeanPaulGuilloche
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A mille chilometri da Mosca, la Russia ha il controllo di una regione incastonata tra due paesi Nato e con accesso diretto al Mar Baltico. E' la regione di Kaliningrad, enclave russa tra Polonia e Lituania dove - tra il 5 e il 10 dicembre scorso - il presidente Putin ha inviato 9.000 soldati, 250 carri armati, 55 navi e 41 aerei da guerra. Segno che la crisi ucraina va contestualizzata in uno scenario che non è ristretto alla regione del Donbass, ma che può estendersi anche su altri fronti. L'atteggiamento del presidente russo Vladimir Putin difatti non piace in primis alla Nato. L'alleanza militare nata nel 1949 in funzione anti-sovietica per riunire Stati Uniti e paesi europei sotto lo stesso ombrello strategico, da un anno a questa parte ha ritrovato la sua vocazione iniziale.

Mentre i leader di Russia, Ucraina, Francia e Germania sono impegnati in questi giorni a trovare una soluzione politica alla nuova escalation di scontri tra esercito ucraino e separatisti filo-russi nella zona di Donetsk – 224 i morti e 545 i feriti - c'è un dettaglio da ricordare. La crisi ucraina non obbliga la Nato ad operazioni militari via terra o via aria. L'Ucraina non è nella lista dei 28 paesi che fanno parte dell'alleanza atlantica, e la Nato può offrire al governo di Kiev solo armi e munizioni, che devono essere gli ucraini ad imbracciare. Ma la dottrina Putin – l'idea che la Russia abbia il diritto di agire per proteggere comunità che parlano il russo, non importa in che nazione si trovino – mette a rischio Estonia, Lettonia e Polonia. I primi due sono paesi dell'ex-unione sovietica confluiti nella Nato nel 2004, preceduti nel 1999 dalla Polonia. Tutti e tre sono stati fino al 1991 sotto la protezione dell'Unione Sovietica come membri del Patto di Varsavia. E tutti e tre hanno in comune la presenza di comunità russofone. A questi paesi si aggiunge la Lituania, paese che parla poco russo – solo l'8% della popolazione - ma che è entrato nel 2004 nella Nato rafforzando un sodalizio diplomatico con gli Stati Uniti che dura dal 1922, come si legge sul sito del Dipartimento di Stato.

I movimenti di dicembre al confine con la regione di Kaliningrad hanno messo in preallarme il governo lituano. L'esercito da due mesi è in allerta con unità in grado di dispiegarsi in appena due ore, e la guerra va “studiata” tenendo a portata di mano perfino un apposito manuale. Il ministero della Difesa lituano ha infatti mandato in stampa un manuale – da distribuire in libreria e alle fiere militari - pieno di consigli e raccomandazioni utili a far fronte ad una eventuale invasione russa. “Rimanete concentrati, non vi fate prendere dal panico e non perdete la lucidità”, spiega il manuale secondo quanto riporta Reuters. “Gli spari fuori dalla vostra finestra non sono la fine del mondo”, bisogna resistere all'occupazione straniera con scioperi e manifestazioni o “almeno facendo il vostro lavoro peggio di quanto fate di solito”. Il ministro della Difesa Juozas Olekas ha spiegato a Reuters come “gli esempi di Georgia e Ucraina, che hanno perso parte del loro territorio, ci mostrano che non possiamo escludere un simile tipo di situazione qui, e che dobbiamo essere pronti".

E se lo scontro tra Russia e Georgia del 2008 durò appena una settimana, la crisi ucraina dura da quasi un anno. L'annessione della Crimea del 17 marzo prima, il supporto logistico e militare ai separatisti accusati di aver abbattuto il 17 luglio un volo di linea con a bordo 298 persone poi, fino ad arrivare al 12 agosto con l'invio di un convoglio – formato da oltre 200 vagoni - di aiuti umanitari al confine con l'Ucraina orientale. Confine a distanza di una settimana oltrepassato senza autorizzazione del governo di Kiev e della Croce Rossa Internazionale. Un gesto che oltre ad indispettire Stati Uniti e Unione Europea, provoca la reazione della Nato, con la condanna dell'allora Segretario Generale Anders Fogh Rasmussen che parla di atteggiamento finalizzato a “portare solo all'ulteriore isolamento della Russia”. Parole che non hanno effetto su Mosca – il Cremlino ha sempre negato responsabilità dirette sulla crisi ucraina - che il 25 agosto invia altri camion con armi e rifornimenti e mezzi corazzati ai ribelli separatisti nel sud-est ucraino, che aprono nuovo fronte sulle coste del mare d'Azov, con le due città in territorio ucraino di Novoazosk e di Mariupol che se conquistate dai ribelli aprirebbero un varco verso la Crimea, distante appena 350 chilometri dal porto di Mariupol. Un fronte nuovamente riaperto il 10 febbraio, con nuovi scontri tra esercito ucraino e ribelli filo-russi - come riporta Reuters – per una giornata che ha segnato anche il lancio di razzi contro civili nella città di Kramatosrk, nell'est dell'Ucraina. I civili uccisi sarebbero più di 10, e i feriti 26, tra cui 10 soldati. Mentre dall'inizio della crisi ucraina – dicono i numeri forniti dalle Nazioni Unite - si contano più di 5300 morti. E il cessate il fuoco sancito dagli accordi di Minsk del settembre scorso è stato più volte violato, provocando l'irritazione della Nato e l'accusa diretta del presidente Obama, che il 9 febbraio ha dichiarato: “La Russia ha violato ogni singolo impegno che aveva preso lo scorso settembre”.

Secondo Kurt Volker – ambasciatore americano alla Nato dal 2008 al 2009 – l'alleanza è sul punto di una difficile mediazione. Bisogna mostrare abbastanza forza dal mettere in guardia Mosca senza però apparire dichiaratamente ostili, stuzzicando le ambizioni espansionistiche del presidente Putin. Come scrive la rivista Foreign Policy, l'ultima cosa che vuole la Nato è una seconda Guerra Fredda. Fatto sta che dati alla mano da quando è scoppiata la crisi in Ucraina la Nato ha implementato le operazioni nei paesi dell'ex blocco sovietico. Nell'aprile scorso Reuters parlava di un numero triplicato di pattugliamento aereo nell'area dei Balcani a partire da maggio. Ad ottobre una esercitazione militare in Polonia ha visto coinvolti tra gli altri gli eserciti di Olanda, Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Repubblica Ceca. E giovedì scorso a Bruxelles il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg ha annunciato l'intenzione di installare sei nuove postazioni di comando e la creazione di una forza speciale di 5.000 unità a rapido dispiegamento. Per Stoltenberg si tratta del “più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dai tempi della guerra fredda”, giusto per rimanere in tema. Le nuove misure porteranno a 30.000 il numero delle truppe Nato impegnate alla difesa dei confini dell'Europa orientale – oggi sono 13.000 – dislocate nelle nuove postazioni di comando in Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania e Bulgaria. Truppe che avranno supporto aereo e navale la possibilità di essere affiancate da unità speciali, così come da due brigate di terra aggiuntive – tra le 6.000 e le 10.000 unità - pronte ad entrare in azione in caso di escalation.

Sul piano politico la Nato deve giocoforza fare i conti con la Russia, dato che i numeri della crisi ucraina permettono al presidente Putin di fare pressioni – e richieste – al presidente ucraino Poroshenko. La valuta ucraina continua da un anno a perdere valore – a gennaio addirittura il 50% in meno in due giorni – mentre il paese galleggia grazie ad un prestito di 17 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale – che verrà presto rinegoziato - e la Russia rimane ancora oggi il più grande partner commerciale dell'Ucraina, come scrive Forbes. Se sarà il caso bisognerà ridiscutere il Nato-Russia Founding ACT, un accordo datato 1997 che afferma come le due parti non si considerino reciprocamente una minaccia. Sul piano militare bisognerà garantire adeguata protezione militare non solo ai paesi membri dell'alleanza ma anche all'Ucraina, in nome di quella che Kurt Volker ha definito sulle pagine di Foreign Policy “l'integrità territoriale non solo dei paesi membri della Nato, ma
dell'intera Europa”. L'esercito ucraino – che Putin ha di recente definito una “legione straniera della Nato – da solo non può farcela: i dati forniti dall'istituto di ricerca militare IHS e diffusi dalla CNN ci dicono che per ogni carro armato ucraino ce ne sono quattro russi – 735 contro 2.850 – mentre per un soldato ucraino ne corrispondono quasi sei della Russia – 139.000 contro 774.500 – e il rapporto numerico tra le due flotte navali è ancora più impietoso: una nave ucraina e nove russe, 25 contro 219.

Ma è sul piano politico che si gioca la partita più importante. Bisogna capire – tornando alle parole di Volker – che se la NATO non dimostra di saper essere un contrappeso fondamentale nello scenario, la Russia può pensare alla prossima incursione. E allora la soluzione potrebbe essere quella di tracciare una nuova “linea rossa”, come quella tracciata dal presidente Obama nell'agosto del 2012, quando un eventuale attacco con armi chimiche da parte del regime di Bashar al Assad avrebbe portato ad un diverso coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto siriano. “C'è bisogno – scrive Volker – di tracciare una linea netta che i Russi sanno di non dover oltrepassare”.


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marcopa
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Su www.noguerranonato.it si può firmare l' appello per l'uscita dell' Italia dalla Nato,

ieri, giorno in cui è uscita la notizia delle truppe USA ai confini russi c'è stata una impennata delle firme come non avveniva da tempo,

gli avvenimenti delle ultime settimane,

tensione contro la Russia, le sanzioni a Mosca contestate da M5S, FI e Lega,

Ue contro i migranti che se infischia dell' Italia dopo aver messo a ferro e fuoco Libia e Siria,

dimostrano anche agli indifferenti che la politica estera italiana è

tutta da rivedere

la petizione contro la Nato è uno strumento fortissimo per contestare tutta la politica estera italiana


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Anonymous
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perche non trovarti un onesto lavoro?


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Storno
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Chissà come sono felici, oggi, "quelli di Maidan".
Quasi quanto i libici che hanno abbattuto Gheddafi.
Quasi quanto i sudditi del regno delle due sicilie che appoggiarono i piemontesi.
Od i milanesi cannoneggiati dai piemontesi.
O come ...

Chissà chi saranno i prossimi a voler essere felici.


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Bastian
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L'unica linea rossa che vale qualcosa è la striscia di sangue lasciata dalla NATO e dai suoi sodali in Africa, Asia e ora anche in Europa.
Vale molto, vale molte migliaia di morti innocenti uccisi basandosi su menzogne.
Ormai non ci crede più nessuno a quello che dice Obama o il segretario della NATO


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Io ero appena nato, ma molti hanno dimenticato quella crisi (gli occidentali in particolar modo)

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_dei_missili_di_Cuba

Siamo di nuovo vicini ad una crisi del genere, tempo meno di un anno e sarà la stessa cosa, oramai è una escalation.


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vic
 vic
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Temuchin,

la crisi dei missili di Cuba era psicologicamente molto diversa dalla crisi ucraina di oggi.
Prima di tutto nell'amministrazione statunitense c'era John Kennedy come presidente e suo fratello Robert quale consigliere personale. Anche la Nato era molto diversa, stava essenzialmente sulle sue. Non andava in giro per il mondo a combinare macelli osceni.

Comunque la crisi venne risolta grazie ad un'intesa fra Krusciov e Kennedy, i quali avevano una certa stima personale reciproca, pur stando su fronti opposti. Non si puo' assolutamente dire lo stesso di Putin ed Obama, benche' Putin non sia a capo di un'URSS ma semplicemente della Russia. Quando Kruscev compi' un famoso viaggio ufficiale negli USA ebbe un successo mediatico clamoroso. Agli americani della strada stava simpatico, malgrado la guerra fredda.

Come fini' la crisi di Cuba: gli statunitensi tolsero i loro missili dalla Turchia ed i russi da Cuba. Della prima misura l'opinione pubblica ne seppe qualcosa molto dopo. La seconda invece venne strombazzata dai media. Kennedy pero' un certo rischio di guerra nucleare lo corse, imponendo il blocco navale attorno all'isola. Per fortuna i due capi di stato riuscirono a parlarsi e ad intendersi. Il grado di fiducia reciproca venne confermato in seguito quando JFK propose direttamente a Kruscev di andare congiuntamente sulla luna. Nikita rifiuto' 3 volte ma alla quarta accetto'. Pochi mesi dopo JFK venne ammazzato e Krusciov venne dimesso.

Putin quel che pensa lo dice abbastanza chiaramente. Sono gli USA e l'UE che non vogliono intendere. Sapessero Putin e Obama parlarsi schiettamente come facevano JFK e Krusciov! Putin lo fa, Obama no, e' ostaggio dei poteri forti. E andra' ancor peggio se divverra' presidentessa quell'ambiziosa vecchietta che e' la Clinton.

USA ed UE non sanno intendere. Sanno solo imporre. A diktat, spesso mascherati da giustizia. Ancor piu' spesso sotto forma d'intrusioni di tipo militare e paramilitare. Nonche' con enormi pressioni militari-commerciali-finanziarie.


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Quindi Vic, questa situazione è molto peggio, o mi sbaglio?


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brumbrum
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marcopa
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Il Coordinamento per la Pace di Trapani contro lo svolgimento dell' esercitazione Trident Juncture 2015 a Trapani

Cinquemila soldati, ottanta velivoli da combattimento, un mese di operazioni. Questi i numeri del programma di esercitazioni della Nato che coinvolgeranno la base militare di Birgi nell’ambito del più ampio programma denominato Trident Juncture 2015, una messa a punto delle capacità di intervento rapido delle forze armate occidentali per gli scenari di guerra programmati per il prossimo futuro.

Non è purtroppo un caso che la scelta dei vertici dell’Aeronautica militare sia ricaduta su Trapani. Nel loro primo comunicato, ormai irreperibile sul sito ufficiale, i militari italiani avevano incautamente ammesso di non poter svolgere le operazioni in Sardegna, a Decimomannu, perché non sussistono «le condizioni per operare con la serenità necessaria». Un’evidente ammissione di difficoltà che conferma l’efficacia delle mobilitazioni del popolo sardo, impegnato da anni nella lotta contro la nefasta presenza delle servitù militari in Sardegna.

In Sicilia occidentale, invece, la presenza di Birgi, della Nato, o del radar di contrada Perino, non è mai stata percepita – tranne alcune eccezioni – con particolare fastidio dalla popolazione. Basti pensare allo stolido entusiasmo che circondò, un anno fa, le vergognose esibizioni aeronautiche di «Fly for peace», quando per alcuni giorni i cieli di Trapani furono infestati da rombanti e lugubri aerei da combattimento.
Ma nonostante il permanente inquinamento acustico, atmosferico ed elettromagnetico causato dalle infrastrutture belliche, a Trapani ci si accorge di quanto siano fastidiosi i militari di Birgi solo quando l’aeroporto civile viene chiuso per dare spazio ai suoi veri padroni intenti a fare la guerra (così come accadde nel 2011, con l’aggressione militare in Libia).
Abbiamo ragione di credere che anche per le prossime esercitazioni Nato, l’aeroporto “Vincenzo Florio” subirà un drastico ridimensionamento della sua attività, con evidenti ripercussioni sul flusso turistico e le attività economiche del territorio.

Ma il ragionamento va allargato alla natura assassina delle esercitazioni Nato in un quadro internazionale che va ben al di là del nostro ombelico e che ci rende, comunque, un obiettivo sensibile.
I paesi del Patto atlantico si preparano alle nuove, imminenti guerre da scatenare su più fronti. Dopo aver scientificamente destabilizzato il Medioriente e il Nordafrica mortificando le aspirazioni alla libertà di quei popoli in favore dei settori più conservatori e oscurantisti, i governi occidentali pensano di risolvere le conseguenze dei disastri delle loro politiche neocoloniali ricorrendo al solito strumento: la guerra. Che si tratti dell’estremismo islamico che incendia il Vicino Oriente o dei flussi migratori dei disperati che scappano in Europa, la soluzione prospettata è sempre di tipo militare.

Se a tutto questo aggiungiamo le rinnovate tensioni con la Russia, l’appoggio occidentale all’Ucraina, la corsa al petrolio dell’Artico, si comprende bene la strumentale necessità degli apparati politici e militari di tenere in piedi la macchina criminale della Nato.
D’altra parte, la guerra permanente è sempre un ottimo affare: basti pensare che nel 2014 l’export di armi italiane verso i paesi del Nordafrica e in Medioriente ha fruttato qualcosa come 30 milioni di euro.

Il circolo vizioso è proprio questo: i paesi occidentali vendono armamenti in cambio di risorse energetiche, alimentano in questo modo i conflitti e i terrorismi che infiammano il pianeta, forniscono le armi proprio a chi dicono di voler combattere, fomentano l’odio razzista contro le persone che scappano da questi orrori, e poi si attrezzano per ulteriori guerre in nome della “pace” o della “sicurezza internazionale”.

Coordinamento per la Pace – Trapani

Fonte: https://coordinamentoperlapacetp.wordpress.com
09/06/2015


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