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Tao
 Tao
Illustrious Member
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Vabbè: i licenziamenti nel nostro (ex) Belpaese non fanno mai troppo rumore. Neanche in tempi di crisi. Ma oggi il Corriere della Sera - diretto dall’audace, Paolo Mieli - ha veramente superato sè stesso. Ieri, infatti: i lavoratori della Indesit - per la cronaca, grande multinazionale tricolore degli elettrodomestici - sono scesi in piazza a Torino. Arrivavano da tutta Italia. E avevano tanto di sindaco (sempre di Torino), Sergio Chiamparino in testa. Ma il celebre e ineffabile quotidiano di via Solferino è riuscito a liquidare un corteo lungo 2000 dipendenti (e per di più imbufaliti) così:

Totale: 14 righe. O se si preferisce: circa 30 parole (articoli e preposizioni escluse). E dire che di motivi per protestare (e quindi di ragioni da spiegare), i dipendenti (imbufaliti) ne avevano. E a iosa. Indesit, infatti, ha deciso di chiudere un intero a stabilimento a Torino. E di licenziare 650 persone. Esattamente il contrario di quello che farà in Polonia. Dove, per usare la neolingua tanto cara agli imprenditori de’ noantri, l’azienda ha intenzione di “concentrare la produzione”. E quindi, e insomma: di assumere altro personale. Un classico caso di delocalizzazione in piena regola. Che agli operai proprio non è andato giù.

Ma va da sè che: queste sono questioni di punti di vista. E secondo il “Corriere”, appunto, cortei e manifestazioni contano poco. Mentre il punto di vista di Maria Paola Merloni - figlia 45enne di Merloni Vittorio, presidente indesit; consigliere delegato Indesit; deputato del partito democratico; e pure e per giunta ex ministro ombra del defunto governo ombra di Walter Veltroni - meritano di più. E infatti sempre questa settimana il celebre e ineffabile quotidiano di Paolo Mieli ha dedicato un tantinello di spazio in più a un’intervista a Maria Paola sull’azienda di famiglia:

ROMA - «In un momento di recessione un imprenditore deve tener saldo il principio della continuità dell’ azienda per poter puntare al rilancio quando la crisi sarà passata». Maria Paola Merloni, nel doppio ruolo di consigliere d’ amministrazione dell’ azienda di famiglia, Indesit Company, storica impresa di Fabriano, e parlamentare del Pd, i suoi conti con la crisi li sta già facendo. Una degli stabilimenti del gruppo, quello di None in Piemonte che produce lavastoviglie, rischia la chiusura. Per 600 dipendenti è in gioco il posto di lavoro. Onorevole, come si affronta questa situazione? «Cominciando a prendere atto che siamo nella più grande crisi economica del dopoguerra. C’ è un forte calo della domanda. Per molte imprese, soprattutto private e manifatturiere, è difficile far finta di niente». C’ è chi sottovaluta la crisi? «Spero di no, gli interventi su famiglia e consumi sono importanti ma non si possono trascurare quelli a sostegno delle imprese soprattutto medie e piccole che hanno problemi di credito». Anche voi state affrontando la crisi. Delocalizzare è la soluzione? «La nostra presenza all’ estero risale al ‘ 95 in Turchia, poi in Polonia e Russia. Essere vicini ai mercati è stata la nostra filosofia. Dei 17 mila dipendenti solo 5.500 sono in Italia». E adesso c’ è None. «La lavastoviglie è il prodotto per noi meno competitivo nonostante gli investimenti fatti. Oggi None vive una situazione di difficoltà, stiamo lavorando per dare continuità all’ impresa senza penalizzare i lavoratori». A questo proposito i suoi colleghi di partito le hanno rimproverato di non aver fatto abbastanza per l’ occupazione. «La nostra impresa ha dimostrato nel tempo che la responsabilità sociale non è un semplice slogan ma una pratica quotidiana». In che modo? «Potrei ricordare come mio nonno Aristide trovandosi in difficoltà con la fabbrica di bombole per il gas, pagò lui personalmente una sorta di cassintegrazione fai-da-te». E per None cosa si sta facendo? «Mentre alcuni, anche nel mio partito, fanno dichiarazioni, stiamo lavorando a una soluzione, in silenzio e senza curarci di chi strumentalizza questo momento». Quale soluzione? «In un’ impresa ci sono diversi ruoli, io sono uno degli azionisti. Il management sta lavorando da settimane: c’ è un rapporto prioritario azienda-sindacati e lì si sta cercando il modo di uscirne». Ma i lavoratori saranno ricollocati? «Non spetta a me entrare nel merito. Rispettiamo l’ autonomia del tavolo. Auspico una soluzione nell’ interesse dei lavoratori e dell’ impresa». Risentita per gli attacchi nel suo partito? «Ringrazio gli imprenditori e i politici che mi hanno espresso solidarietà. Essere imprenditrice e fare politica nel centrosinistra non è in contraddizione. Stiamo costruendo un partito riformista che non rappresenta solo una classe o una categoria. Mi auguro sia ancora possibile».

Certo: a pensarci, fa un po’ fa strano. I lavoratori pagano le tasse (e quindi indirettamente finanziano i giornali attraverso i contributi alla stampa, Corriere compreso). Comprano dal lecca-lecca al Suv (e quindi si vedono appioppate pure le spese della pubblicità che compare su quotidiani e tivù). E in più: per l’appunto sono loro a leggere ed acquistare i giornali (sempre Corriere della Sera, compreso).

Insomma: loro pagano il conto; e loro dovrebbe avere spazio, quando hanno qualcosa da dire.

Ma anche questi son punti di vista (anzi è il nostro punto di vista). Quel che è certo, invece - come si legge in un vecchio articolo (24 novembre 2008) sempre del Corriere - è che la “Merloni Invest” è una “holding cui fa capo tra l’ altro il 2,090% di Rcs Mediagroup, la società che edita il Corriere della Sera”. Merloni come Merloni Maria Paola della Indesit? Sì. E non è solo un caso di omonimia. Ma di dinastia (degli elettrodomestici e non solo). Quando si dice: la coincidenza. Coincidenza?

Fonte: http://bamboccioni-alla-riscossa.org
Link: http://bamboccioni-alla-riscossa.org/?p=1229
21.03.2009


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