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amarcord la carovana del 1991


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http://www.liberatv.ch/articolo/15004/sabato-27-luglio-1991-un-caldo-torrido-il-nano-alla-carovana-bastardi-viva-la-lega

Sabato 27 luglio 1991, un caldo torrido, il Nano alla Carovana: "Bastardi! Viva la Lega!"
Il racconto dalla prima grande protesta leghista vissuta da cronista. La telefonata di Pedrazzini a Maspoli. L'arrivo di Bignasca a Stalvedro. Poi la partenza e il caos

di Marco Bazzi - 26 luglio 2013

LUGANO – Nel luglio del Novantuno ero cronista al Giornale del Popolo, redazione di Bellinzona. Fui ‘comandato’ a seguire la Carovana della libertà. Salii fino ad Airolo in auto con Flavio Maspoli. Ridiscesi fino a Lugano in sella alla moto del mio fotografo. Firmai l’articolo che uscì il giorno dopo con il collega Roberto Mazza, che oggi dirige il Dicastero sport a Lugano. Sulla base di quel pezzo ho ricostruito i ricordi di quel giorno.

La prima manifestazione degli anni ruggenti della Lega nacque quasi in sordina, nel silenzio deliberatamente deciso dalle direzioni dei giornali. Qualche timido articolo prima e brevi resoconti dopo. Alla Lega non bisognava concedere troppo spazio, ma io, che avevo appena terminato la pratica, ero uno dei pochi giornalisti che sgomitavano per raccontare le vicende del Nano. Perché sentivo che quel manipolo di folli avrebbe fatto strada. Che la Carovana della libertà era l’inizio di una rivoluzione politica.
Oggi - comunque vada la Carovana-bis - nulla sarà più come prima.

Faceva un caldo torrido…

Faceva un caldo torrido quel sabato, da sudare anche l’anima. Ventisette luglio 1991. La Lega aveva soltanto sei mesi di vita e molti già la davano per morta. L’asfalto bollente sfiatava aria calda come una vaporiera. Le immagini erano tremolanti, parevano filtrate da un vetro smerigliato. In lontananza, sull’autostrada che d’un tratto s’era fatta deserta, chiazze d’acqua luccicavano al sole: miraggi della Fata Morgana.

Non c’era più nulla davanti allo sguardo se non una distesa di asfalto. Dietro, una diga di macchine aveva imbrigliato il traffico che sgorgava come un fiume dal Gottardo e si era messa lentamente in movimento.

I ticinesi non avevano ancora capito bene, allora, chi fosse in realtà quel Giuliano Bignasca che guidava la Carovana a cavallo della sua Uno d’ordinanza, come un generale alla testa di un esercito. Chi fosse l’uomo che in un batter d’occhio aveva fondato il Mattino della domenica, e poi la Lega. E fin dove voleva arrivare, fin dove sarebbe arrivato.
Non lo sapeva nemmeno lui, a dire il vero. Non poteva immaginarlo. Fenomeno da baraccone, dicevano i suoi avversari, personaggio esagitato, prodotto del folclore politico da osteria.

“Bastardi! Viva la Lega!”

Sono le 17,15 di quel sabato del Novantuno. Il Nano agita il pugno fuori dal finestrino suonando il clacson e grida: “Bastardi! Viva la Lega!”.
È una giornata speciale, come non se ne vedevano in Ticino e nel resto della Svizzera da tempi immemorabili. È un giorno di rivolta: un movimento sfida lo Stato, le Istituzioni, la Polizia, il Consiglio federale.

Sfida la legge.

Cose che, per riverenza civile, nemmeno si poteva immaginare di fare in un Paese narcotizzato dal perbenismo della concordanza. Eppure, quel sabato, tutto questo stava accadendo.

Sulla Opel Senator del Grande Puffo

Torno indietro di un paio d’ore. 15,30 circa: a Bellinzona salgo sulla Opel Senator del Grande Puffo, al secolo Flavio Maspoli, direttore del Mattino e capogruppo della Lega, che qualche mese prima aveva sbancato il Parlamento ottenendo, dal nulla, quasi il tredici per cento dei voti.

Sono seduto dietro. Maspoli guida con una mano sul volante e con l’altra si tiene il telefonino incollato all’orecchio. Io prendo appunti. Tra una telefonata e l’altra dà retta anche a me. “Non siamo i soli a dire che questo decreto è una cazz... Anche altri partiti lo pensano. Vogliamo dimostrare che quando la gente si arrabbia è capace di reagire”.

Quell’estate il Consiglio federale aveva varato un decreto anti-inquinamento che limitava a cento all’ora la velocità in autostrada. La Carovana della libertà era nata così.

L’idea fu di Foletti e il Nano era contrario

Bisogna anche dire com’era andata quella storia: l’idea di organizzare una protesta contro il decreto fu di Michele Foletti, figlio di Pablo, il cronista che raccontava in tivù la Formula 1. Si era mobilitato insieme a un amico, aveva scritto ai club automobilistici, ed erano arrivate diverse adesioni. Così Foletti, che allora era giornalista al Mattino, aveva chiesto al Nano mezza pagina per promuovere l’iniziativa. Ma si era sentito rispondere di no. A Bignasca dei cento all’ora in autostrada non gliene fregava niente.
Mauro Malandra, uno dei fondatori della Lega, gli aveva detto “Nano, guarda che saremo su in tre gatti”.

Poi, però, le adesioni fioccarono sempre più fitte e Bignasca si convinse. Come sapeva fare magistralmente senza farsi “prender via”, salì sul carro e fece sua la protesta.

La telefonata dell’Alex

Chiuso il flashback, torniamo al 27 luglio, nella Opel Senator del Grande Puffo.
A un certo punto, durante il viaggio verso l’area di Stalvedro, punto di ritrovo dei manifestanti, sul cellulare di Maspoli chiama il ministro delle istituzioni Alex Pedrazzini.
Gli raccomanda di tener fede all’impegno: ridiscendere l’autostrada a sessanta all’ora e non meno, rispettando il limite minimo di velocità. Gli ricorda le comminatorie del Codice penale. Gli chiede di tenere a freno Bignasca e le teste calde della Lega.

“Tranquillo Alex, non ci sarà bisogno della tua polizia”, risponde Maspoli. Poi si accende una sigaretta, dà un colpo di gas e sghignazzando pronuncia la frase che gli piaceva tanto: “Ul bel vedée l’è poc distant”.

Il ritrovo a Stalvedro

A Stalvedro arriviamo poco dopo le quattro. Non ci sono tante auto. “Meno gente di quanto si aspettavano i Puffi”, fa Maspoli scendendo dall’auto con calma pachidermica. Ma é ancora presto. Minuto dopo minuto l’area autostradale inizia a riempirsi e alle 17 è intasata di auto pronte a partire.

Bignasca arriva tra gli ultimi a bordo della sua Uno, in mocassini e Lacoste. Scende e inizia a sbracciarsi e a impartire ordini ai suoi seguaci, attorniato da telecamere e microfoni.
Alle cinque e un quarto la Carovana si mette in moto e, dopo aver invertito la marcia allo svincolo di Airolo, inizia l’interminabile discesa.

Inizia la Carovana

In testa alla colonna ci sono la Opel di Maspoli e la Fiat del Nano. Io salgo sulla moto del mio fotografo.
Altro che sessanta all’ora! La Carovana procede a passo d’uomo, a singhiozzo, e in pochi minuti diventata un grande serpente di macchine, un enorme tappo che occupa una decina di chilometri di autostrada. La polizia osserva, ma non interviene.

I cavalcavia sono gremiti di gente a torso nudo che applaude, che grida “viva il Nano, viva la Lega!” e sventola bandiere svizzere, ticinesi, leghiste. Ad ogni svincolo decine di auto si aggregano alla protesta. È un caos totale, un bollettino di guerra. Traffico in tilt e ingorghi ovunque.
Verso le otto di sera, all’altezza di Bellinzona, la Carovana raggiunge i venti chilometri di lunghezza, e due ore dopo si scioglie a Mendrisio. Il Nano esce prima, a Lugano, e si rintana nel suo bunker di via Monte Boglia.

La prima vo
lta che Bignasca mi mandò affa…

Poco prima di Bellinzona, durante un breve stop, mi fermo a far due chiacchiere con Bignasca. È euforico, sbraita come un matto. Continua a chiamare la redazione del Mattino per aggiornare il bollettino e dettare proclami. “Vittoria! Vittoria!”. Non crede ai suoi occhi. Gli faccio una domanda un po’ bastarda. Mi guarda dal finestrino e mi dice: “Te’, Bazzi, vaffa…!”. Probabilmente fu la prima volta mi ci mandò.

“Il Nano vince la nanosfida col Dovere”

Lo risento in tarda serata per raccogliere un’ultima dichiarazione, sperando che gli sia sbollita l’incazzatura. “Scrivi - mi dice -: il Nano vince la nanosfida col Dovere (ndr: l’ex organo del PLR). E se adesso non revocano i cento all’ora tra due settimane gli blocchiamo di nuovo l’autostrada. E questa volta verso nord. Contento? Scrivi, Bazzi, scrivi!”.


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