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Razzismo, Angelo Del Boca: il colonialismo italiano non è stato migliore degli altri

La recente pubblicazione dell’intervista al Professor Michal Balcerzak ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/22/onu-lignoranza-del-passato-coloniale-tra-le-cause-del-razzismo-in-italia-ii-parte/1972025/ ) (membro del Gruppo di Lavoro ONU sulle persone di origine africana), intitolata “ONU: l’ignoranza del passato coloniale tra le cause del razzismo in Italia”, ha provocato vive reazioni tra i lettori, molti dei quali hanno espresso dubbi quanto alla reale entità delle responsabilità coloniali italiane (soprattutto quando paragonate a quelle di altri paesi europei come la Francia o l’Inghilterra) come a riguardo dell’esistenza di un legame di causalità tra l’ignoranza della nostra storia coloniale e l’attuale diffusione del razzismo in Italia. Ho dunque contattato lo scrittore, giornalista e storico Angelo Del Boca, che ha dedicato la sua vita allo studio ed alla divulgazione della storia coloniale italiana, per avere la sua opinione su questi argomenti.

Dottor Del Boca, il Professor Balcerzak ha dichiarato che l’ignoranza del passato coloniale è una delle cause del razzismo in Italia. Cosa pensa di quest’affermazione?
Il giudizio del prof. Balcerzak è in gran parte corretto. Sino al 1970 gli italiani ignoravano completamente il passato coloniale dell’Italia o, peggio ancora, pensavano fosse stato un modello di virtù, ben diverso da quello di altri paesi dal passato coloniale.

Lei non pensa, come alcuni lettori, che il colonialismo italiano sia stato, nel suo insieme, migliore e più umano di quello di altri paesi europei?
Per alcuni aspetti il colonialismo italiano è stato più severo, più ingiusto di quello di paesi come la Francia, la Gran Bretagna e il Portogallo. In Libia, ad esempio, per contrastare l’opposizione di Omar el Mukhtar sono stati creati dei campi di concentramento nella zona più arida del paese, dove sono state raccolte intere popolazioni della Cirenaica, con un bilancio finale di 40 mila morti, a causa delle malattie, il cattivo nutrimento e le continue percosse o fucilazioni.

Tuttavia alcuni sostengono che i colonizzatori non abbiano compiuto solo crimini, ma anche lasciato dietro di sé importanti infrastrutture e promosso l’educazione.
Uno dei peggiori crimini del colonialismo italiano è stato quello di proibire ogni forma di istruzione. Il limite massimo era la quinta elementare, sufficiente per ricevere ordini ed eseguirli.  A differenza di ciò che accadeva nelle colonie inglesi e francesi, dove si garantiva la formazione di una classe dirigente, a volte di alto livello.

Cosa ne è stato del trattato di Bengasi che prevedeva che l’Italia pagasse 5 miliardi di dollari alla Libia come compensazione per l’occupazione militare, in seguito alle guerre civili in Libia e alla morte di Gheddafi?
Dopo la morte atroce di Gheddafi non si è più parlato in Italia del trattato di Bengasi, che forniva una giusta riparazione ai danni economici e morali provocati dalla spietata occupazione italiana della Libia fra il 1911 e il 1945.

A suo avviso, hanno ragione i lettori che sostengono che sia in corso una vera e propria “invasione” da parte dei rifugiati e migranti, soprattutto in provenienza dall’Africa?
Si tratta, in realtà, di una vera e massiccia invasione, la quale, però, a nostro avviso, non ha l’aspetto di una tardiva punizione per i crimini del nostro passato coloniale. Si tratta di un esodo epocale da un continente, come l’Africa, che si sta ripopolando troppo rapidamente.

Per concludere, quali raccomandazioni si sente di fare al governo italiano e all’Unione Europea per gestire l’emergenza dei profughi e migranti sul suolo Europeo?
Quello che stiamo facendo, nel Mediterraneo, da alcuni anni, è già un buon esempio di soccorso umanitario. Vanno migliorate le condizioni di accettazione dei profughi, che non sempre sono state perfette. E’ da scartare, in ogni modo, ogni forma di intervento in Libia, pur con la tutela delle Nazioni Unite. Ciò che è accaduto nel recente passato dovrebbe scongiurare ogni intervento, capace soltanto di rendere più caotica la situazione.

Enrico Muratore
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/
28.08.2015


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I “crimini di guerra” in Etiopia: la verità oltre la faziosità anti-italiana (1)

Roma, 17 ago – La pubblicazione di Gas in Etiopia, di Simone Belladonna (Neri Pozza) riapre l’annosa questione dei “crimini di guerra” italiani in Etiopia. Una vicenda su cui la propaganda anti-italiana fa leva per processare ancora una volta la storia nazionale. Pubblichiamo quindi a puntate questo studio dello storico Pierluigi Romeo di Colloredo che cerca di fare chiarezza (speriamo definitiva) sulla questione.

Quando il 2 ottobre del 1935 le truppe italiane passarono il confine con l’Etiopia varcando il fiume Mareb, numerosi esperti militari europei si affrettarono a predire una nuova Adua, o, nel migliore dei casi, che le enormi difficoltà logistiche non avrebbero consentito agli italiani il conseguimento di risultati rapidi e brillanti ed era stato previsto che la guerra si sarebbe arenata allungandosi per anni, se non addirittura sarebbe finita con una disfatta italiana.

Allora come oggi ad ogni guerra le redazioni dei giornali richiamavano in servizio vecchi generali in pensione, presentati come esperti di strategia e tattica. E allora come oggi le loro previsioni si presentarono quasi sempre completamente sballate.

Riportiamo ad esempio alcune citazioni di corrispondenti militari stranieri: così il Völkischer Beobachter, organo del Partito nazionalsocialista il 14 luglio 1935 prevedeva che gli italiani avrebbero fatta la fine di Napoleone in Russia; gli aeroplani si sarebbero rivelati inutili poiché non c’è niente da bombardare (Deutsche Allgemeine Zeitung, 11 aprile ’35); il giornale svedese Dagens Nyeter del 5 settembre ’35 scrisse che

…Contro l’Abissinia nulla possono né i gas [dunque anche un mese prima dell’inizio della guerra c’era già etiopiachi parlava di gas!] né gli aeroplani né le armi moderne degli italiani….

A guerra iniziata:

Dopo la stagione delle piogge tutto sarà consumato. Gli italiani hanno perduto, è inutile negarlo (Jouvenal, 25 gennaio 1936).

Tra i più scettici sul successo italiano furono i nazisti tedeschi: la volpe teutonica era ancora avvelenata per l’uva austriaca sottrattagli dall’intervento del Duce. Dopo la tensione tra Italia e Germania seguita all’omicidio di Dollfuss nel ’34, Mussolini era detestato in molti ambienti nazisti (si ricordi che oltre all’invio di un corpo d’Armata al Brennero nell’estate del 1934, le grandi manovre del 1935 vennero tenute in Alto Adige): il giornale delle SS Das Schwarze Korps era decisamente filoetiopico ed antifascista; il giornale nazista non si limitava a parteggiare apertamente per il Negus ma si burlava anche della crociata civilizzatrice del Duce e faceva dei pronostici velenosi sulle aleatorie probabilità degli italiani di sconfiggere rapidamente le armate del Negus, pronostici poi sconfessati dai fatti.

Naturalmente, allora come oggi, rivelatesi fallaci le previsioni catastrofiste, si disse poi che gli italiani avevano vinto grazie alla superiorità dei mezzi ed all’uso di armi proibite dalle leggi internazionali, e così via.

La batosta presa dagli abissini spinse gli inguaribili antifascisti ed anti-italiani a giustificare il bruciante insuccesso del Negus ricorrendo alla storiella dell’uso dei gas, che avrebbe messo in crisi gli eroici combattenti etiopi.

Premettiamolo subito: gli italiani usarono i gas, e li utilizzarono molto più spesso di quanto la pubblicistica post-bellica di destra abbia voluto ammettere. Errore grave quello del negare l’uso dell’iprite, tanto da dare credito ad una propaganda di segno opposto, sovente grottesca nel falsare la realtà ben più di quella di matrice neofascista.

Sull’argomento si è passati infatti da una totale negazione ad un’acritica adesione alle tesi della propaganda etiopica sull’uso indiscriminato dei gas.

Dapprima i lavori dell’inviato del Giorno (spacciato usualmente per storico professionista, ciò che non è mai stato) il novarese Angelo Del Boca, poi di autori britannici quali Mockler (Haile Selassie’s War, I, The War of the Negus, tradotto non si sa perchè in italiano, ma che essendo uno dei pochi lavori in inglese sull’argomento è troppo spesso utilizzato da autori anglofoni come fonte) e l’indefinibile Denis Mack Smith nel suo pessimo Le guerre del duce fecero assurgere a verità di fatto le più strampalate leggende che la propaganda abissina, attendibile quanto un bollettino di guerra napoleonico, potesse concepire.

Cominciamo a vedere quali sono i fatti.

Per quanto riguarda l’uso dei gas asfissianti, la richiesta del maresciallo Badoglio (che non va dimenticato, s’era formato in gran parte durante la guerra 1915- 18, in cui i gas furono utilizzati normalmente) di utilizzare aggressivi chimici allo scopo di accelerare le operazioni belliche, richiesta accolta dal Duce solo in casi eccezionali per supreme ragioni di difesa (DEPA, Tel. Mussolini A.O., segreto, n. 14551), è da ritenersi una decisione profondamente errata: sotto il profilo militare, perché non recò alcun effettivo vantaggio; sotto il profilo politico perché diede l’occasione di screditare le forze armate e, quindi l’Italia, a tutti coloro che all’estero avevano disapprovato il conflitto, come scrisse il generale Bovio già direttore dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.

L’utilizzo di gas diventava addirittura una stupidaggine, e di quelle grosse, quando il loro impiego era così limitato da non produrre alcun sostanziale vantaggio militare: ma abbastanza diffuso da tirarci addosso tutte le conseguenze negative di un fatto che necessariamente prescindeva dalla “quantità”.

Spesso si è attribuito quasi un significato politico all’uso delle armi chimiche, tralasciando di notare come non si fece impiego dei gas nella prima fase della campagna, sotto il comando del fascista e quadrumviro della Rivoluzione De Bono, che pure, come comandante del IX Corpo d’Armata, nel 1918 usò i gas contro gli austriaci sul Grappa con la compagnia chimica X, ma a partire dal dicembre del 1936, sotto quello del tecnico Badoglio (e, in Somalia, di Graziani, che fascista non fu mai, neppure durante la R.S.I.). Mussolini diede sì l’autorizzazione all’uso delle armi chimiche, ma su richiesta di Badoglio in qualità di Comandante superiore e di Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, sul quale come s’è visto, faceva pieno affidamento per la parte operativa della campagna. Furono usate bombe all’iprite e, sul fronte sud, anche fosgene. (continua)

Pierluigi Romeo di Colloredo


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I “crimini di guerra” in Etiopia: la verità oltre la faziosità anti-italiana (2)

Roma, 18 ago – Si è affermato che vennero usati anche proiettili a gas sparati dai pezzi da 105/8, secondo il sistema in uso nella guerra del 1915- 18.

Va ricordato che all’epoca i gas non erano considerati una mostruosità, ma quasi come un’arma più umana e meno crudele di quelle convenzionali.

Per chi era uscito dalla prima guerra mondiale i gas erano un’arma come un’altra, ed addirittura preferibile ad altre, in quanto poteva fiaccare il morale avversario senza essere necessariamente sempre letale[1].

Il generale Fuller, uno dei maggiori innovatori britannici in campo strategico scriveva nel 1923 nel suo The Reformation of War:

…uccidere non è l’obbiettivo della guerra. Se quest’assunto è accettato, allora, dal momento che un bagno di sangue è antieconomico, un tentativo dev’essere certamente fatto per sviluppare quei mezzi che possano costringere un avversario a modificare la sua politica sconfiggendo il suo esercito senza spargimento di sangue. La guerra dei gas ci consente di farlo, in quanto non c’è nessuna ragione per cui i gas impiegati come armi debbano essere letali (…) Il gas… è per eccellenza l’arma della demoralizzazione, e poiché può terrorizzare senza necessariamente uccidere, più di ogni altra arma conosciuta può servire ad imporre in modo economico la volontà di una nazione ad un’altra.

Non furono solo gli italiani ad usare aggressivi chimici. Gli inglesi usarono i gas nel 1931 a Sulainam, in Irak, per sopprimere il capo curdo Karim bey, reo dell’uccisione di due funzionari britannici e ancora nel 1935 in Afghanistan, lungo la frontiera con l’India, contro tribù pathane ribelli.

Va poi ricordato che una nave statunitense piena di aggressivi chimici venne affondata nel porto di Bari nell’ottobre del 1943 dalla Luftwaffe. Per una migliore comprensione storica il comportamento degli italiani in Etiopia andrebbe quanto meno contestualizzato nel quadro della condotta coloniale dell’epoca.

Angelo Del Boca si è spesso vantato d’esser stato il primo a portare a conoscenza del pubblico italiano l’impiego delle armi chimiche, ma ciò non risponde a verità.

Il Del Boca del resto può venire accusato di tante cose, dalla selettività nella scelta degli argomenti alla faziosità, ma certo non di falsa modestia: si pensi che giunse a scrivere, parlando del proprio libro del 1965, che avrebbe a suo dire suscitato ampi consensi da parte della stampa democratica [sic, per di sinistra e d’area comunista] e, di riscontro, la violentissima reazione degli ambienti nazionalfascisti (Del Boca 1984, p.432; subito dopo il giornalista piemontese cita opere di vari autori, quasi tutti di un solo orientamento). Si tratta di un passaggio autoreferenziale davvero inconsueto, per di più nel testo e non in una nota a piè di pagina, la cui lettura è assai istruttiva per comprendere il personaggio. Naturalmente Del Boca si guarda bene dal citare le critiche alla sua metodologia di ricerca ed alla selettività sulla scelta delle fonti e del loro utilizzo (si vedano le parole dedicate al giornalista da due storici professionisti, Luigi Goglia e Fabio Grassi nel loro Il colonialismo italiano da Adua all’Impero, Roma- Bari1981, p.425: e si tratta di autori certo non sospettabili di simpatie nazionalfasciste)

Che durante la guerra d’Etiopia si fossero usati i gas era invece noto già da prima dei lavori di Del Boca, malgrado le sue millanterie; basti citare la testimonianza di Paolo Caccia Dominioni sui bombardamenti sul Mai Tonquà del gennaio ’36. Intorno al giorno 22 gennaio sul Mai Tonquà, sotto l’Amba Tzellerè, l’aviazione aveva impiegato i gas asfissianti per la prima volta; testimonia Caccia Dominioni:

Gli aerei hanno avuto, se così si può dire l’ala pesante. E non soltanto con bombe e mitraglia. Numerosi cadaveri non portano tracce di ferite (…). Sono giunte, con gli ascari, anche squadre dette di disinfezione, specializzate. Hanno ordine di non perdere tempo questi seppellitori: debbono far scomparire subito le tracce di quanto è successo.

Giuseppe Bottai, tenente colonnello della divisione Sila, annota a sua volta nel proprio diario, alla data del 5 febbraio dello stesso anno:

(…) Precauzioni: non raccogliere le bombe inesplose dei nostri aeroplani, che si trovassero sul terreno e le schegge di bombe, che potrebbero essere ipritiche (…) [2] .

Circolavano inoltre fotografie scattate da soldati italiani di morti per i gas [3], che vennero sicuramente mostrate al ritorno dalla guerra ad amici e familiari in Italia.

Se realmente dunque gli aggressivi chimici fossero stati usati in maniera massiccia come preteso dagli etiopi e da certi storiografi se ne avrebbero molte più testimonianze, mentre molti soldati italiani poterono ignorarne l’uso in perfetta buona fede[4].

Ciò è ricordato anche da Luigi Goglia:

a questo proposito (il fatto che i combattenti ignorassero l’uso dei gas asfissianti) è stato notato da altri, ma anche chi scrive ne ha fatto diretta esperienza intervistando reduci di quella campagna, che l’uso dei gas era ignorato allora dai più (ancora oggi molti sono increduli)[5]

Basti dire che malgrado fotografie e filmati realizzati durante la campagna siano numerosissimi e ben noti, in nessuno è visibile un solo soldato italiano equipaggiato con portamaschere modello 1933 o 1935, cosa impensabile se davvero i gas fossero stati usati nelle quantità pretese dal giornalista novarese.

Anche il duca Luigi Pignatelli della Leonessa si era occupato dell’uso dei gas prima del giornalista novarese e con ben altra obiettività, scrivendo che:

Dobbiamo ritenere (e a Ginevra non lo smentimmo) che nel corso della campagna fu fatto talvolta uso, dai bombardieri italiani, di bombe all’iprite. L’impiego di questa terribile arma, che con altre simili e peggiori era stata largamente utilizzata da entrambe le parti belligeranti nella guerra 1914- 1918, fu limitato a particolari casi e se non mancò di avere effetto psicologico, fu ben lontano, come è ovvio, dall’agire risolutivamente sulle sorti della campagna. Sconsigliato a suo tempo dagli ufficiali esperti della guerra coloniale, fu, senza alcun dubbio, un inutile errore.

Un racconto anche sommario del conflitto italo etiopico, non può, in ogni modo, prescindere dal registrare obiettivamente il fatto, il quale non è destituito d’importanza[6] .

Come si vede, che i gas fossero usati non è certo una scoperta di Del Boca…

Il giornalista britannico Anthony Mockler, visto che non poteva attribuire ai gas italiani i massacri di cui si è favoleggiato, arrivò a scrivere nel suo Haile Selassie’s War, I, The War of the Negus, che

Il gas costituiva un grosso problema, ma causava più spavento che danni (…) Anche quando i gas arrivavano a contatto della pelle, le scottature potevano essere evitate. Ras Immirù aveva avvertito i suoi uomini di “lavarsi sempre”.

Addirittura nel suo pamphlet sulle guerre del Duce Denis Mack Smith (che il maggior storico del Risorgimento, Rosario Romeo, inserì nella categoria degli storici definiti Italy’s haters, lett. Odiatori dell’Italia) sulla base di due articoli di Del Boca, apparsi su Il Giorno del 12 e del 14 novembre 1968 arriva a scrivere di

…ordini espliciti di Mussolini che imponevano all’esercito di ricorrere se necessario, ad ogni mezzo, dal bombardamento degli ospedali all’impiego “anche su va
sta scala di qualunque gas” e addirittura alla guerra batteriologica.

Va detto che Del Boca nelle sue opere ha avuto il buon senso di omettere accenni all’uso di armi batteriologiche, di cui l’Italia non disponeva. Programmi di ricerca in tal senso furono sviluppati dagli inglesi nel 1925 e dai giapponesi nel 1932; gli statunitensi iniziarono ad occuparsene nel 1941, e i tedeschi solo nel 1943[8].

Elementare buon senso che purtroppo è stato recentemente buttato nella spazzatura da giornalisti incompetenti in un pamphlet sulle armi non convenzionali usate dagli italiani.

Anche gli altri ordini citati dallo storico britannico non esistono: anzi, riguardo al bombardamento degli ospedali in un telegramma del Duce a Badoglio del 1 gennaio ‘36 si fa esplicitamente divieto di bombardare la Croce Rossa :
[V.E.] dia ordini tassativi perché impianti croce rossa siano dovunque e diligentemente rispettati: [9].

Mack Smith giunse a scrivere che Mussolini aveva deciso di attaccare l’Etiopia

riservandosi come obiettivi successivi l’Egitto e il Sudan e magari anche il Kenya.

Il che vuol dire credere che Mussolini fosse totalmente pazzo o non aver capito niente della visione sostanzialmente conservatrice della politica estera italiana sino alla guerra di Spagna; Mussolini temeva semmai che gli inglesi potessero attaccare dal Sudan le forze impegnate contro gli abissini, tanto che il 12 aprile del 1936 raccomandò a Badoglio di studiare eventuali misure difensive. Il Maresciallo incaricò di tale studio il gen. Babbini.

Si parlò dello studio delle possibilità di un’azione difensiva verso il Sudan come copertura per la missione di Badoglio e Lessona nell’ottobre del 1935, ma, come scrissero Indro Montanelli e Mario Cervi nel loro L’Italia littoria,

...De Bono (…) non era sciocco al punto di bere questa panzana.

Mack Smith evidentemente sì. (continua)

Pierluigi Romeo di Colloredo


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I “crimini di guerra” in Etiopia: la verità oltre la faziosità anti-italiana (3)

Roma, 19 ago – Ma lasciamo adesso Mack Smith e torniamo al Dalai lama dell’anti-imperialismo italiano, al fustigatore del colonialismo tricolore.

Del Boca fa naturalmente da grancassa alle chiacchiere della propaganda etiopica sugli apocalittici effetti dei gas asfissianti. Il buon Del Boca riporta diligentemente le dichiarazioni di ras Cassa di grande drammaticità che non si possono negare al lettore:

Il bombardamento era al colmo quando, all’improvviso, si videro alcuni uomini lasciar cadere le loro armi, portare urlando le loro mani agli occhi, cadere in ginocchio e poi crollare a terra. Era la brina impalpabile del liquido corrosivo che cadeva sulla mia armata. Tutto ciò che le bombe avevano lasciato in piedi, i gas l’abbatterono. In questa sola giornata un numero che non oso dire dei miei uomini perirono. Duemila bestie si abbatterono nelle praterie contaminate. I muli, le vacche, i montoni, le bestie selvatiche fuggirono nelle forre e si gettarono nei precipizi. Gli aerei tornarono anche nei giorni successivi. E cosparsero di iprite ogni regione dove scoprirono qualche movimento.

Una piaga biblica… Evidentemente gli uomini di ras Cassa non avevano acqua per lavarsi… né risulta che a causa dei gas sia deceduto un solo ascaro, un solo nazionale, un solo mulo italiano.

Ora, se è vero che i gas tossici furono certamente impiegati in misura assai maggiore di quanto ammise l’ex ministro delle colonie Michele Lessona, in realtà le armi chimiche non influirono in maniera rilevante sulle operazioni militari, così come non furono decisivi nella Grande Guerra.

Questa è anche l’opinione di Luigi Goglia che pur ricordando come l’uso dei gas non solo a scopo di rappresaglia sia ricordato nel Diario storico del Comando Supremo AOI , ma scrive che da parte etiopica si è forse voluto sopravvalutare l’importanza dei bombardamenti a gas fatti dagli italiani[1]

Del Boca- ovviamente- accetta in toto le affermazioni del ras, arrivando a scrivere, a giustificazione delle melodrammatiche affermazioni di Cassa Darghiè sulla brina impalpabile ecc. che l’iprite sinora era stata lanciata soltanto in grossi bidoni e non irrorata con speciali diffusori .
Il che è una tra le tante (troppe) sciocchezze sparse nel libro del giornalista novarese: i gas venivano lanciati con le bombe C.500T, che esplodevano ad un’altezza di 250 metri spargendosi poi per ellisse di 500 m per 100, e non diffusi con irrogatori.

Angelo Del Boca dedicò ampio spazio all’argomento della guerra chimica (cui dedicò un successivo volume, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia pubblicato dalla casa editrice del partito comunista italiano, e recentemente ripubblicato). Approfittando del prolungato e colpevole silenzio ufficiale sull’argomento la realtà venne deformata, parlando di migliaia, o addirittura centinaia di migliaia di morti.

Del Boca si affida per sostenere le sue tesi soprattutto a fonti abissine e a testimonianze di giornalisti anti-italiani che, ad esser generosi, si possono definire quantomeno di dubbia attendibilità.

Per quanto riguarda l’affidabilità della testimonianza di ras Cassa si può citare come esempio:

A Choum Aorié (…) le cento mitragliatrici che furono prese là, caddero nelle nostre mani senza l’aiuto del fucile, ma solo con quello delle sciabole. Nessuna forza di terra avrebbe potuto arrestare i miei uomini che sembravano passare fra le raffiche. Essi piombavano così rapidi sugli italiani che gli strappavano dalle mani il fucile (…) dinanzi a tali demoni, gli italiani, non conservando che i loro pantaloni appesi alle cinture, sparivano come la polvere .

Ovviamente, gli italiani durante la guerra d’Etiopia non persero mai cento mitragliatrici, né in una sola giornata e nemmeno in tutto il conflitto. Come si vede, voler scrivere la storia della guerra d’Etiopia basandosi su queste fonti è come voler scrivere la storia della prima Crociata basandosi su Torquato Tasso. Però Del Boca finge di crederci…

Il fatto che siano stati realmente usati i gas non deve nascondere che molto di quello che scrissero allora i giornalisti (poi ripreso da certi autori) fosse frutto di psicosi e di propaganda assolutamente non basata sulla realtà. Ewelyn Waugh (Del Boca riesce a sbagliarne nome e cognome, chiamandolo Evelyne- che è un nome femminile!- Waught) ricorda che la notte tra il due ed il tre ottobre del 1935 i giornalisti di Addis Abeba erano in preda al timore dei bombardamenti italiani, aggiungendo che di certi corrispondenti si racconta che giocarono a poker tutta la notte indossando le maschere antigas [2].

La psicosi dei bombardamenti e la propaganda anti italiana nei primi giorni di guerra è ben evidenziato dall’episodio grottesco delle corrispondenze sul bombardamento e la distruzione dell’ospedale di Adua, distruggendolo ed uccidendo molte donne e bambini, e dove sarebbe morta un’infermiera volta a volta svedese od americana, della quale si davano anche il nome, ed una descrizione che in realtà variava anch’essa di volta in volta, come l’età, una bella signora alta un metro e settanta, di trentadue anni, descrizioni che variavano a secondo che “testimoni” fossero un greco che conosceva bene il posto, un architetto svizzero sposato ad una mulatta od un pilota di colore americano cui l’infermiera avrebbe offerto una cioccolata proprio cinque minuti prima del bombardamento. Lo stesso Haile Selassie rimase colpito e turbato dalla tragica fine dell’infermiera.

In realtà non erano mai esistiti né l’ospedale né la crocerossina martire, come ben presto Waugh ed i suoi colleghi avevano capito:

Quando cominciammo a cercare di raccogliere particolari sull’accaduto, ci nacque il dubbio che forse ad Adua non c’era mai stato nessun ospedale. Di certo non esisteva un ospedale etiopico, e le unità della Croce Rossa non erano ancora arrivate fin lassù; quanto alle missioni, non sapevano nulla di un loro ospedale ad Adua, né i Consolati sapevano di loro connazionali che vi fossero occupati.

I giornalisti furono costretti a rispondere alle pressione dei propri giornali per avere notizie:

Ben presto cominciarono ad arrivare cablogrammi da Londra e da New York: “Richiediamo al più presto nome biografia fotografia infermiera americana saltata aria”. Rispondemmo: “Infermiera non saltata aria” e dopo qualche giorno la cosa aveva già cessato di fare notizia: Waugh. Pignatelli scrive a proposito di quest’episodio: La stampa internazionale, nella quale contavamo in quel tempo ben pochi amici non ci risparmiò le sue rampogne, esagerò anzi i racconti dell’episodio, indicando gli italiani come massacratori di popolazioni inermi.

Ancor oggi taluni storici continuano a parlare del bombardamento di Adua e del suo ospedale. Il lettore forse non si stupirà nello scoprire che tra tali autori vi siano Del Boca ed il buon Mack Smith.

Pierluigi Romeo di Colloredo


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Nieuport
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Avrei da dire qualcosa, ma lasciamo perdere. Per il piacere d Oggettivista, un aneddoto. Un grande giornalista romano ha scritto un libro in cui avanza questa ipotesi: Badoglio fece ammazzare Ettore Muti nell’agosto 1943 non tanto, o non solo perchè poteva organizzare un contro-colpo di stato fascista, ma perché Muti aveva le prove della responsabilità primaria di Badoglio nell’uso dei gas in Etiopia, dove Muti era stato pilota, responsabilità che potevano portarlo a finire sotto processo dagli alleati come criminale di guerra.


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Ti ringrazio molto per il graditissimo aneddoto Nieuport.
Se e quando ne avrai voglia, spero tu possa dire ciò che oggi hai ritenuto di dovere sottacere.


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Nieuport
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Il giornalista si chiama Giuseppe D’Avanzo (non quello di Repubblica, un omonimo) e il libro si chiama Morte a Fregene. Niente, solo dire che i fatti sono incontrovertibili: l’Italia ha usato, e parecchio, i gas in Etiopia, gas che nella Grande Guerra erano leciti, ma dal 1925 erano vietati – i gas non sono stati risolutivi, ma ovviamente l’avversario ne ha gonfiato l’importanza – gli ufficiali coloniali, ma anche gli aviatori, erano contrari – la responsabilità fu del 90% di Badoglio, del 10% di Mussolini, ma politicamente di Mussolini. La differenza è nelle conclusioni, per Romeo di Colloredo si è trattato di una brutta pagina, per Del Boca di una vergogna eterna.
Per completezza, i gas furono usati anche da spagnoli e francesi contro i ribelli del Marocco dal 1921 al 1927 e dagli inglesi anche in Afghanistan e contro i bolscevichi nel 1919.


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Anonymous
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Rammento un libro di David Irving nel quale il demonizzato revisionista rende noto l'uso del gas da parte di Churchill contro i Curdi.
Strano che si scopra, magicamente, che trattasi di un inenarrabile crimine solo allorchè ne fanno impiego un Benito Mussolini ed un Saddam Hussein.
Diversamente, sembra passi inosservato...esattamente come il più attuale uranio impoverito.


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Rosanna
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Angelo Del Boca, "La scelta"

È il 1944 e, mentre crollano i miti di un’epoca e la guerra volge al tragico epilogo, per alcuni giovani dell’Italia centrale e del nord è giunto il momento della scelta: combattere con la Repubblica di Salò, come sostiene Mussolini «per non essere moralmente morti o per non meritare di essere morti», oppure unirsi ai partigiani sui monti per conquistare la libertà? Dopo alcuni mesi di renitenza alla leva, agli inizi del 1944, un giovane, per timore di esporre la propria famiglia a rappresaglie o forse perché ancora imbevuto dei falsi valori fascisti del mito delle armi e della bella morte, si presenta al Distretto militare di Novara e, un mese dopo, presta giuramento alla Repubblica Sociale Italiana. L’addestramento nei lager di Stetten e di Münsingen in Germania e poi i rastrellamenti in inermi villaggi dell’Italia del nord, le case date alle fiamme, i civili bastonati e torturati, i prigionieri umiliati e derisi, la violenza e l’orrore di un regime nell’ora del suo crudele tramonto, fanno precipitare il giovane protagonista in una crisi dalla quale non c’è che una via d’uscita: rinunciare ai falsi valori della violenza e ritrovare se stesso e il senso indistruttibile della vita. Nell’estate del 1944, il giovane si unisce alle formazioni partigiane, alle forze di Liberazione Nazionale, con le quali combatte fino all’occupazione di Piacenza, il 28 aprile 1945.

Opera autobiografica, ma anche racconto a più voci, poiché contiene la confessione di molti giovani, combattenti e imboscati, vinti e vincitori, nel giusto e nel torto, La scelta apparve per la prima volta nel 1963 ed ebbe subito un grande successo per l’analisi realistica, a volte brutale, ma insieme poetica, degli avvenimenti della guerra civile.
Libro unico e raro che descrive dall’interno Repubblica Sociale e Resistenza, La scelta mostra come la voga revisionista, che caratterizza i nostri giorni, di un’equiparazione tra fronti contrapposti, tra combattenti di presunta pari dignità, sia assolutamente, scandalosamente intollerabile.

http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=1&id_lib=182


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venezia63jr
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Ma questo del boca, da dove salta fuori? chi lo ha insignito di massimo esperto del colonialismo italiano? e' comodo sparara a zero sui morti e farsi bello con gli amici degli amici. Del boca fa parte del sistema, altrimenti i suoi libri-inchiesta non avrebbero tanta notorieta', come mai la stampa main.stream non fa scrivere un articolo ai fratelli Mattogno? del boca non scrive che i nostri falsi amici e nemici foraggiavano le rivolte, che in libia nonstante che il fascismo fosse dalla parte dell'islam creavano i ribelli che invece non erano tanti attivi sotto il dominio turco. Del boca lavora insieme agli alleati per farci sentire in debito anche le generazioni future, un sistema da 70 anni ben oliato, partecipa alla distruzione dell'ultimo lembo di patria. Questi intellettuali sono stati la rovina di ogni nazione, hanno reso la gente imbelle e codarda, parlando di una pace che non esiste se non nei loro piani di eversione. O guerra o pace, il sistema nasconde la realta', quando gli fa comodo ci rende edotti ma e' la nostra fine, perche' non abbiamo piu' difese, tale e' la situazione oggi, non vogliamo morire ma sappiamo di morire. Non difendiamoci dai criminali perche' li abbiamo resi noi tali, dice del boca e compagni, lasciamoci uccidere a casa nostra, ora invece dobbiamo offrire la gola. Questi che arrivano non sanno nenache cosa sono queste idee, e per l'odio e la vilta' dei falsi intellettuali come del boca soccombono migliaia di gente innocente.


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Anonymous
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venezia63jr@

Non proviamo a spiegarlo ai grillini i quali sono già dalla parte del nemico, sono loro stessi il nemico.


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Rosanna
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venezia63jr@

Non proviamo a spiegarlo ai grillini i quali sono già dalla parte del nemico, sono loro stessi il nemico.

Se l'amico saresti tu ... io sto volentieri dalla parte del nemico ...

😯


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MarioG
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Per concludere, quali raccomandazioni si sente di fare al governo italiano e all’Unione Europea per gestire l’emergenza dei profughi e migranti sul suolo Europeo?
Quello che stiamo facendo, nel Mediterraneo, da alcuni anni, è già un buon esempio di soccorso umanitario. Vanno migliorate le condizioni di accettazione dei profughi, che non sempre sono state perfette.

Ecco la degna conclusione del professore!
Male signori, male! Non siamo stati sempre perfetti nell'accoglienza.
O Signore, rendici perfetti!

La conclusione illumina il vero scopo di quanto precede:
notevole esempio di uso deformato della "Storia" a beneficio, neanche tanto dissimulato, della propaganda di sostegno all'invasione.

Totalmente d'accordo con venezia63jr sul giudizio di questi "intellettuali".


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Rosanna
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ahahahahahaah ...

Angelo del Boca invece è la perfetta espressione di quello che è veramente successo durante la IIGM, fascista di famiglia e di formazione, passato, durante la presa di coscienza delle atrocità compiute dai nazi-fascisiti contro il popolo italiano, nelle file della Resistenza ...

mai testimonianza fu più libera e significativa ...


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sankara
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L'uso di gas nella guerra d' Etiopia tra il 1935 e il 1936 è stato riconosciuto ufficialmente nel 1996 dall'allora ministro della Difesa Domenico Corcione.

http://archiviostorico.corriere.it/1996/febbraio/09/Guerra_Etiopia_Corcione_ammette_gas_co_0_9602097968.shtml

Riporto questo passaggio: "Dai dati disponibili in archivio risulta che nella guerra italo etiopica furono impiegati bombe d'aereo e proiettili d'artiglieria caricati a iprite e arsine e che l'impiego di tali gas era noto al maresciallo Badoglio".

Qui un altro link di conferma dell'utilizzo di gas -in particolare l'iprite, "un gas che resta sul terreno e provoca danni ai polmoni e vesciche su tutto il corpo (...) Fu lanciato sugli etiopi che scappavano, per provocare panico e paura"- da parte del generale Alberto Rovighi, incaricato dall'ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito di scrivere un libro, che nel 1995 esamina i diari militari in Etiopia e i verbali delle riunioni dello Stato maggiore dell'epoca.

http://archiviostorico.corriere.it/1995/settembre/05/Gas_italiani_Etiopia_Ora_generale_co_0_95090510455.shtml

Qui sotto, infine, il diario di un soldato
http://www.agi.it/il-punto-su/notizie/litalia-uso-i-gas-in-etiopia

L'uso di gas è insomma un dato acclarato. Apprendo leggendo questo postato che di ciò si aveva consocenza ben prima dei lavori di Del Boca, e di questo vi ringrazio. Per il resto concordo con quanto scrive Nieuport (posso sapere chi fosse lo storico?) ed aggiungo che al netto delle inesattezze e forse della selettività delle fonti usate da Del Boca (non ho elementi per poter giudicare), rimango fermamente convinto che l'uso di gas o di altre armi non convenzionali sia un crimine. A prescindere da chi lo compia. I Bombardamenti italiani in Etiopia o i bombardamenti statunitensi in Italia suscitano in me la stessa repulsione etica e politica. Dirò di più: ogni guerra di aggressione condotta contro altri popoli, il colonialismo stesso, è un'azione politica da condannare fermamente, qualunque sia l'ideologia politica o la coloritura nazionale di chi la perpetri. Che in Italia (ma non credo solo nel nostro Paese...) regni l'ignoranza sulla nostra storia coloniale (ma non solo quella credo...) lo giudico vero, che però questo sia la "causa" della "diffusione del razzismo in Italia"...mah, non so, nutro seri dubbi così come sulla stessa espressione...Non mi sembra comunque che nell'intervista Del Boca abbia affermato falsità storiche; additare la divulgazione di fatti storici realmente accaduti come "faziosità anti-italiana"... mi sembra a dir poco improprio, anche Del Boca è un italiano, e penso siano svariati gli italiani che conoscendo tali fatti li condannino fermamente... il problema semmai è far conoscere sia questi che soprattutto altri (mis)fatti; ci sono popoli e regimi che costantemente vengono indicati come il male assoluto, al di là delle loro colpe, ed altri invece nient'affatto migliori (anzi!) che non suscitano analoga repulsa...


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