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Napoleoni: Pechino vittima del suo successo


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Pechino e' vittima del suo successo

di Loretta Napoleoni (*) - 30 agosto 2015

Non succedeva da sei anni. Un lunedi' nero di queste proporzioni sembrava un ricordo. E invece - seguito da un vigoroso "rimbalzo" nei giorni successivi - e' accaduto. Le preoccupazioni per l'economia cinese, dopo l'esplosione della bolla finanziaria, all'inizio della settimana hanno fatto andare in picchiata, gambe all'aria, le economie di mezzo mondo. I titoli quotati sui mercati hanno perso milioni su milioni, una emorragia inarrestabile che ha creato il panico generale nelle banche, con gli operatori disperatamente impegnati ad arginare la valanga al ribasso. L'indice di Shanghai ha chiuso a -8,49%, dopo aver toccato -9%. Lo Swiss Market Index (Smi) di Zurigo ha perso quasi il 4 per cento. Poi, da martedi', con la banca centrale cinese che ha tagliato i tassi monetari e immesso nuova liquidita', ecco arrivare la brusca risalita che ha in parte tamponato le perdite. Shanghai ha chiuso la settimana con un +4,9%. Gli investitori hanno ripreso a osservare la crescita americana, con il +3,7% del Pil nel secondo trimestre che ha vivacizzato le sedute di Wall Street. E anche la Svizzera, dopo che molti analisti avevano parlato dello spettro della recessione con segno meno nel primo trimestre, nel secondo ha registrato un piu' 0,2% per cento del Pil.

Dopo un'ascesa spettacolare durata piu' di un anno, dall'inizio del 2015 il mercato finanziario cinese non fa che scendere ed ultimamente e' precipitato. Nei primi sei mesi dell'anno aveva perso il 30 per cento - equivalente a tutta la produzione del Regno Unito del 2014 - ed entro la fine di agosto non e' escluso che perda un ulteriore 10 per cento. Insomma si parla di grossi numeri. Dato che l'economia cinese e' la seconda al mondo e la Cina e' la Nazione piu' popolosa del pianeta, non c'e' da meravigliarsi se il crollo cinese ha trascinato con se' i listini delle piazze affari mondiali. Difficile prevedere se ci troviamo di fronte ad un nuovo 1929 o se si tratta di una correzione di mercato, sicuramente necessaria, a livello mondiale. Nel primo caso le conseguenze negative si faranno sentire nel lungo periodo e sara' doloroso e difficile riprendersi, nel secondo caso le prospettive sono migliori, dopo un periodo di contrazione economica l'economia cinese, e forse anche quella mondiale, saranno piu' solide.

Si puo' tracciare un parallelo tra gli Stati Uniti nel 1929 e la Cina attuale?
E' quello che alcuni economisti ed analisti stanno facendo da un po' di tempo. Oggi, lo sviluppo economico cinese si trova pressappoco dove si trovava quello statunitense alla vigilia del 1929, all'indomani di un decennio di crescita economica, creazione di ricchezza ed eccessi senza precedenti. Bisogna poi aggiungere che in entrambi i casi la crescita economica e' stata legata alle migrazioni dalle campagne alle citta', e sostenuta da una forza lavoro a buon mercato assorbita dal settore industriale. Infine sia lo sviluppo economico cinese che quello americano sono stati aiutati dall'impennata del credito, anche se quella dei ruggenti anni venti fu notevolmente minore rispetto a quella cinese.

Si puo' tracciare un parallelo anche con i mercati finanziari?
La bolla finanziaria cinese si e' formata nel giro di un anno, nel 2014 il valore delle azioni si e' duplicato, mentre gli indici di Wall Street salirono costantemente durante la seconda meta' degli anni venti. Tuttavia nel 1929 ci fu un'accelerazione che poi porto' al crollo. A questo va aggiunto che la bolla del '29 ando' di pari passo con quella immobiliare, un fenomeno che abbiamo riscontrato anche in Cina. Altro elemento in comune sono i segni premonitori della crisi: la caduta dei prezzi delle materie prime e la contrazione del commercio internazionale.

Esistono differenze fondamentali tra l'economia usa degli anni '20 e quella cinese.
In primis l'economia cinese e' ancora controllata dal partito comunista, quindi de facto e' un'economia socialista e non capitalista pura come era quella americana. Il nuovo governo cinese, insediatosi due anni fa, sta anche cercando di cambiare radicalmente l'economia per renderla meno dipendente dai capricci dei mercati. La crisi finanziaria si inserisce in un contesto di riforme lanciate due anni fa che mirano a 'ripulire' l'economia, non solo in termini di inquinamento ma anche e soprattutto in termini di moralizzazione ed etica degli affari. La crisi potrebbe rivelarsi uno strumento potente nell'attuazione di questo processo. Ad esempio, dal 2010 sono state rilassate le restrizioni nei confronti dell'indebitamento marginale - quando si comprano titoli in borsa senza avere i soldi per farlo ma contraendo un debito che verra' ripagato dall'aumento del valore di questi stessi. Questo tipo di attivita' moltiplica sia l'aumento che la caduta degli indici di borsa. E' probabile che la crisi finanziaria faciliti la reintroduzione di restrizioni nei confronti del debito marginale.

Quali sono state le misure prese da Pechino per arginare la crisi finanziaria?
Il governo ha tagliato i tassi d'interesse, ha acquistato titoli di borsa per sostenere i listini, ha convinto le case di brokeraggio a fare la stessa cosa. Ha sospeso la compravendita di piu' di un terzo dei titoli ed ultimamente ha concesso ai fondi pensione di acquistare obbligazioni sul mercato. Ma nonostante circa 200 miliardi di dollari siano stati pompati in borsa, la caduta dei listini non e' stata bloccata. Ad un certo punto Pechino ha gettato la spugna, ma e' prematuro dire che la Cina finira' come l'America all'indomani del 1929.

Puo' il governo guidare l'economia attraverso questa tempesta?
Non sarebbe la prima volta che la Cina ci sorprende a questo riguardo. Nel 2008 molti erano convinti che il crollo della Lehman avrebbe trascinato nel baratro l'economia cinese ed invece non solo non e' stato cosi', ma la Cina ha sostenuto quella mondiale impedendo alla domanda globale di crollare attraverso un programma di stimoli economici. Questo stratagemma ha funzionato per la Cina e per il mondo perche' la crescita economica cinese proveniva principalmente dal settore dell'investimento per l'esportazione. Ma questa situazione e' cambiata con l'avanzare dello sviluppo. Obiettivo del governo e' sostituire il volano dell'esportazione con quello della domanda interna, il mercato cinese e' il piu' grande al mondo, 1,3 miliardi di consumatori. Ma non e' facile farlo. Gli indicatori economici sembrano confermarlo: il settore immobiliare, che fino all'anno scorso contribuiva per il 20 per cento al Pil si e' contratto del 18 per cento; i consumi si sono ridotti ed il debito e' aumentato. In piu' la popolazione sta invecchiando rapidamente, altro fenomeno che rallenta la crescita della domanda interna.

Lo Yuan e' stato svalutato per far decollare le esportazioni e crescere ancora?
Sicuramente. Negli ultimi anni il valore dello Yuan rispetto alle monete forti e' salito, un fenomeno che ha tarpato le ali all'esportazione. Prima della svalutazione di un paio di settimane fa la moneta cinese valeva il 50 per cento in piu' di sei anni fa. La svalutazione avra' un effetto positivo sul settore dell'esportazione ma sara' insufficiente a far impennare la crescita, che nel 2014 e' stata del 7,4 per cento. Cio' pero' non significa che a pagare le conseguenze della piu' modesta crescita cinese sara' questa nazione, e' possibile infatti che a necessitare un tasso di crescita cinese maggiore sia l'economia mondiale e non quella cinese.

La Cina insomma potrebbe convivere meglio con i crolli in borsa del resto del mondo?
Da mesi il governo cinese cerca di sgonfiare la bolla finanziaria, il crollo dei listini in fondo fa proprio questo. Allo stesso tempo
la svalutazione della moneta e la politica monetaria espansiva dovrebbero sostenere l'economia reale ed incentivare il consumo interno. Se Pechino riesce a dirigere la crescita economica verso i bisogni del mercato interno ed allo stesso tempo ripulire il settore finanziario dalla speculazione selvaggia, allora anche se nel breve periodo la contrazione creata dal crollo delle borse si fara' sentire, nel medio e lungo periodo l'economia cinese sara' non solo piu' solida ma piu' matura. Non bisogna dimenticare che con un mercato di 1,3 miliardi di persone la Cina non ha bisogno del resto del mondo, e' pero' vero il contrario.

Cosa puo' fare il mercato globale di fronte a questo scenario?
L'opera di pulizia finanziaria dovrebbe essere globale, sono anni che gli indici crescono sostenuti esclusivamente da una domanda figlia delle presse delle banche centrali. Non esiste infatti alcuna correlazione con la crescita economica. La correzione in atto, anche se drastica e' benvenuta. E questo vale non solo per le economie mature ma anche per i mercati emergenti. Piu' che di deflazione dovremmo parlare di un aggiustamento realista dei titoli e degli immobili, un riallineamento della ricchezza ai valori reali.

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(*) Esperta di economia internazionale e terrorismo. Ha pubblicato vari libri; l'ultimo uscito e' 'Democrazia vendesi'.


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bertol
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Rimando all'articolo di paul craig roberts "WALL STREET E MATRIX. DOV’E’ NEO QUANDO ABBIAMO BISOGNO DI LUI ?" pubblicato oggi da questo sito.
Nell'epoca in cui il capitalismo occidentale, di rinvio in rinvio, deve ora trovare il modo di far saltare il banco per oscurare il proprio fallimento, trovare un capro espiatorio esterno come la Cina o una possibile guerra alla Russia sono due carte prese in considerazione.


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