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Asor Rosa - Non c’è più molto tempo


Tao
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Illustrious Member
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Sinistra . Rivoltare come un calzino la legge elettorale è necessario ma non basta. È la prospettiva politica del renzismo che va combattuta ritrovando un’autonomia di deputati e senatori per contrastare una presa del potere che prepara un altro ventennio

Si gioca in Ita­lia in que­sti giorni una dop­pia par­tita. La prima riguarda il con­so­li­da­mento poli­tico e di governo dell’operazione Renzi; la seconda il destino di una pro­spet­tiva rifor­ma­trice seria nel nostro paese, affi­data finora, con alti e bassi di varia natura, e tal­volta peri­co­losi cedi­menti ed equi­voci, — ma affi­data comun­que, — alle buone sorti del Pd. Se Renzi vince la prima, la seconda verrà scon­fitta, per un periodo pre­su­mi­bil­mente incalcolabile.

Quel che è uscito finora dal cap­pello di pre­sti­gia­tore dell’attuale segre­ta­rio Pd-presidente del con­si­glio è poco, con­fuso, con­trad­dit­to­rio, tal­volta incon­si­stente, spesso ine­si­stente, ma ine­qui­vo­ca­bil­mente decla­ma­to­rio e incon­fon­di­bil­mente pubblicitario.

Alcuni punti fermi. L’Italicum fonda le sue for­tune sull’asse con Sil­vio Ber­lu­sconi. Il che di per sé farebbe rab­bri­vi­dire, ma non c’è solo que­sto. Ha attra­ver­sato per un pelo i voti della Camera dei depu­tati. Lo scon­tro sulle “quote rosa” ha rima­ni­fe­stato di colpo l’esistenza sot­ter­ra­nea di un par­tito dei 101, più fedele a Renzi che al pro­prio par­tito e ai pro­grammi elet­to­rali sui quali que­sto si era con­qui­stato bene o male una mag­gio­ranza nell’ultimo voto. Restano, con le “quote rosa”, que­stioni tutt’altro che irri­le­vanti come quelle delle pre­fe­renze, delle soglie di sbar­ra­mento, delle alleanze e del pre­mio fuori misura allo sti­rac­chiato vin­ci­tore. Allo stato attuale delle cose è lecito pre­ve­dere, in caso di appro­va­zione, il rapido tran­sito alla Corte costi­tu­zio­nale per un sospetto, appunto, d’incostituzionalità (Azza­riti, Vil­lone, ripe­tu­ta­mente su que­ste colonne; ma anche su altri gior­nali il discorso cri­tico ha comin­ciato ad affacciarsi).

Dal punto di vista eco­no­mico, abbiamo tutto e il con­tra­rio di tutto: i dieci milioni di sgravi fiscali per i lavo­ra­tori dipen­denti più col­piti dalla crisi; e la pre­ca­riz­za­zione illi­mi­tata e defi­ni­tiva del mer­cato del lavoro (Alleva, il mani­fe­sto, 14 marzo). Ma soprat­tutto pende sulla mano­vra l’incertezza sulle sue fonti. Nes­suno sa, né il pre­si­dente del con­si­glio finora lo ha detto, a quali voci attin­gere per ren­dere reale la sua mira­bo­lante pro­spet­tiva (Fubini, la Repub­blica 13 marzo; Pen­nac­chi, l’Unità, 14 marzo).

Quel che Renzi offre al paese è un com­po­sto ibrido di posi­zioni, affer­ma­zioni, sug­ge­stioni e sol­le­ci­ta­zioni, di cui non è più suf­fi­ciente dire che non è più né di destra né di sini­stra, e nean­che di cen­tro, almeno nel senso tra­di­zio­nale del ter­mine, ma una nuova posi­zione politico-ideologica in cui può entrare di volta in volta tutto, pur­ché con­flui­sca a bene­fi­ciare il più pos­si­bile il pre­sti­gio e la for­tuna del Capo (o Capetto che dir si voglia).

Ade­rire alla pro­spet­tiva di Renzi non signi­fica dun­que sol­tanto rinun­ciare a una pro­spet­tiva e a una poli­tica di sini­stra; signi­fica rinun­ciare a una pro­spet­tiva “poli­tica”, se per poli­tica s’intende, e con­ti­nua a inten­dersi, come si è sem­pre inteso nella tra­di­zione poli­tica occi­den­tale (mica i Soviet, per inten­derci) un cor­retto, lim­pido e dichia­rato rap­porto tra valori, prassi e obbiet­tivi da rag­giun­gere (e, cir­co­lar­mente, viceversa).

Così facendo, Renzi si affianca, con la mag­gior verve che la gio­vane età e una natura esu­be­rante gli con­sen­tono, a quelli che, come ho avuto occa­sione di dire in un pre­ce­dente arti­colo, non sono più i suoi avver­sari ma i suoi con­cor­renti. Il popu­li­smo gli è, per­sino più che negli altri due, impresso nella sua stessa matrice gene­tica. Renzi vola, dal comune di Firenze alla segre­te­ria del Pd e di qui alla pre­si­denza del con­si­glio, in virtù di un’investitura (le pri­ma­rie dell’8 dicem­bre 2013) che non ha, mi ver­rebbe voglia di dire, nes­suna legit­ti­mità costi­tu­zio­nale. Non è dif­fi­cile ora arri­vare alla pre­vi­sione che, se fosse neces­sa­rio, non solo nel campo delle riforme ma nel campo di tutto, sarebbe dispo­ni­bile a fare, come ha già fatto, alleanze, espli­cite o sot­ter­ra­nee, con tutti.

Se le cose stanno così, — mi rendo conto, natu­ral­mente, che si potrebbe discu­tere a lungo di que­ste estre­mi­sti­che pre­messe, — biso­gna fer­mare Renzi prima che sia troppo tardi.

Non tanto per con­sen­tire la ripresa, anzi, la revi­vi­scenza, di una pro­spet­tiva poli­tica di sini­stra nel nostro paese, la quale, se cova ancora fra noi, come io penso, verrà fuori a suo tempo; quanto per con­sen­tire la ripresa di un libero, effet­tivo gioco poli­tico tra forze diverse, anche oppo­ste, tal­volta per­sino dia­lo­ganti e reci­pro­ca­mente inter­con­net­ten­tisi, ma dotate cia­scuna di un pro­prio regi­stro iden­ti­ta­rio, con il quale, orga­niz­za­ti­va­mente ed elet­to­ral­mente, iden­ti­fi­carsi o distin­guersi. Tutto ciò, mi rendo conto, non è facile. Soprat­tutto c’è poco, anzi quasi nes­sun tempo per farlo.

La prima sca­denza pos­si­bile è il dibat­tito in Senato sulla legge elet­to­rale. Biso­gna rivol­tare come un cal­zino il testo che arriva dalla Camera e, come dire, costi­tu­zio­na­liz­zarlo fino in fondo. Sui punti pre­ce­den­te­mente elen­cati sono stati assunti impe­gni pre­cisi (Ber­sani e altri). Vedremo cosa ne verrà fuori.

Ma non basta. Ha col­pito, nei mesi che ci sepa­rano dall’insediamento di Renzi alla segre­te­ria del Pd, e dalla sua pres­so­ché totale con­qui­sta della dire­zione di quel par­tito, come frutto anch’esso auto­ma­tico, delle pri­ma­rie del dicem­bre 2013, la subal­ter­nità, anzi, in nume­rose occa­sioni, la supi­nità della cosid­detta mino­ranza interna del Pd, la quale rap­pre­sen­tava tut­ta­via ancora a quella data quasi la metà degli iscritti al Partito.

Tor­niamo alle pre­messe del mio discorso. Se que­sta subal­ter­nità, o supi­nità, con­ti­nuano anche durante que­sta fase nella mar­cia di avvi­ci­na­mento di Renzi ad una gestione ormai non più discu­ti­bile del potere, non ci saranno altre occa­sioni nel corso, appros­si­ma­ti­va­mente, dei pros­simi dieci anni. Biso­gne­rebbe dun­que agire subito, e costi­tuire, tutti gli eletti Pd che intrav­ve­dono il rischio mor­tale con­te­nuto in tale pro­spet­tiva, gruppi par­la­men­tari auto­nomi, distinti da quelli ren­ziani, — e poten­zial­mente più con­si­stenti di que­sti, — per rove­sciare, nella chia­rezza della nuova situa­zione, lo svol­gi­mento nega­tivo, anzi cata­stro­fico, delle pre­messe poste alla base del mio discorso. Per impe­dire a Renzi di con­qui­stare una gestione illi­mi­tata del potere, si dovreb­bero recu­pe­rare ora, subito e soli­da­mente, e cioè con un pre­ciso e indi­scu­ti­bile atto for­male, le con­di­zioni di una pro­spet­tiva rifor­ma­trice seria nel nostro paese.

Non si tratta di una seces­sione. Anzi. Si tratta di rista­bi­lire un giu­sto equi­li­brio fra l’espressione che c’è stata del voto elet­to­rale e l’uso che ora ne vien fatto. Depu­tati e sena­tori del Pd sono stati eletti sulla base di un diverso pro­gramma poli­tico, con obiet­tivi diversi, una diversa lea­der­ship, una diversa dina­mica delle scelte da assu­mere. D
evono sem­pli­ce­mente far rie­mer­gere quel che le pri­ma­rie di par­tito del dicem­bre 2013 sem­bre­reb­bero aver inna­tu­ral­mente sep­pel­lito. Se mai saranno gli altri a pro­te­stare e a ten­tare di farsi valere. Ma non dovrebbe pre­va­lere l’opinione di un gruppo su quella di milioni di elettori.

Con­se­guenze pos­si­bili (pos­si­bili, ripeto, solo se l’andamento del pro­cesso viene rove­sciato, e rove­sciato ora): ricon­qui­stare, — e rifare, — que­sto par­tito. E cam­biare la com­po­si­zione par­ti­tica che sta attual­mente alla base della mag­gio­ranza par­la­men­tare che regge que­sto governo. Se que­sta com­po­si­zione cam­bia, pos­sono aprirsi sce­nari per ulte­riori cam­bia­menti. Se que­ste pos­si­bi­lità ven­gono espe­rite fino in fondo, non è per niente detto che il governo, cioè l’Italia, — iden­ti­fi­ca­zione que­sta che viene con­ti­nua­mente ed enfa­ti­ca­mente ripe­tuta, ma che andrebbe quanto meno discussa, — vadano a carte qua­ran­totto. Magari ne viene fuori lo stesso governo, ma diverso. Oppure un governo tutto diverso. E magari più forte. E più cre­di­bile, anche a livello euro­peo. Quel che è asso­lu­ta­mente certo è che restare immo­bili e indi­fesi den­tro la mano­vra ren­ziana, rap­pre­senta la morte, non solo per il governo, non solo per il Pd, non solo per i gruppi par­la­men­tari del Pd, ma anche e soprat­tutto, que­sta volta sì, per l’Italia.

Albert Asor Rosa
Fonte: www.ilmanifeto.it
14.03.2014


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Primadellesabbie
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...Non tanto per con­sen­tire la ripresa, anzi, la revi­vi­scenza, di una pro­spet­tiva poli­tica di sini­stra nel nostro paese, la quale, se cova ancora fra noi, come io penso, verrà fuori a suo tempo...Biso­gne­rebbe dun­que agire subito...Per impe­dire a Renzi di con­qui­stare una gestione illi­mi­tata del potere...Con­se­guenze pos­si­bili (pos­si­bili, ripeto, solo se l’andamento del pro­cesso viene rove­sciato, e rove­sciato ora)...Quel che è asso­lu­ta­mente certo è che restare immo­bili e indi­fesi den­tro la mano­vra ren­ziana, rap­pre­senta la morte, non solo per il governo, non solo per il Pd, non solo per i gruppi par­la­men­tari del Pd, ma anche e soprat­tutto, que­sta volta sì, per l’Italia.

Ovviamente, prendere frasette e avvicinarle arbitrariamente non ha senso.

In questo caso, però, vorrei cercare di far percepire la leggerezza, direi meglio l'incoscienza irresponsabile, con la quale questa specie di intellettuali rimescola la melma nel calderone, sapendo benissimo quale sia la realtà, industriandosi di sollecitare speranze chiaramente vane in chi li legge e magari li segue.

Non manca il pomposo sproloquio finale ad ammonire e ricordare la loro alta preoccupazione (uso il plurale perché sono intercambiabili) nientemeno che per il destino, ma senti un po', dell'Italia.

Hanno assistito per decenni, producendo pensierini eleganti e scrivendo vuoti ma seducenti articoletti, finalizzati a mettere bene in luce la cultura e l'arguzia di cui si credono depositari, allo sfascio di un Paese, all'abbandono di ogni forma etica capace di legare governanti e governati come si fosse trattato di un serial d'oltreoceano di cui parlare dopo cena.

Come volete che abbia qualcosa da dire una cultura che ha questi riferimenti, che ha espresso, o anche solo tollerato, questa forma di stitichezza intellettuale?

Mr. Bean é l'esito che ci si doveva attendere, dopo la troppo procrastinata assunzione di un potente lassativo.


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