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Ateismo non equivale all'assenza del Sacro


GioCo
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Sacro e profano sono due termini opposti ma inclusivi: l'uno determina l'altro. Ciò che determina il profano descrive il sacro e viceversa: è una tracciatura di confini ideali di fede religiosa, se ci appoggiamo all'etimo più probabile di religione, cioè "legare" con riferimento al valore vincolante degli obblighi e dei divieti sacrali [fonte treccani].
Per ciò chi ha degli obblighi riferiti a certi sacramenti attua giuramenti di fede che comportano precisi obblighi nei comportamenti, nelle azioni riconoscibili socialmente con un certo valore "sacro".

Rovesciando i termini dell'equazione si può stabilire quindi che certi comportamenti ripetuti ritualmente e inscritti in significati condivisi socialmente, siano indizio di presenza religiosa, cioè di giuramenti (più o meno essoterici, cioè verbalizzati) di fede, tanto nell'esaminare una etnia tribale di poche centinaia di individui dispersa in qualche angolo del pianeta, quanto la civiltà occidentale in cui viviamo.

La civiltà moderna tende a dirci che c'è una contrapposizione tra religione e ateismo, definendo in questo modo la prima una dottrina sapienziale teologica, portata avanti da prelati (cioè persone con una investitura pubblica), dotti (studiosi della dottrina), sapienti (guide spirituali) e sacerdoti (guide tradizionali) mentre la seconda sarebbe priva di tutte queste figure in quanto non c'è un obbligo di fede che si riferisca a una qualche divinità che viene pensata come "assenza" e non come "presenza".

Ma la questione è molto più complessa di come appare. Se infatti ritengo che la religione sia un giuramento di fede legato a una divinità, allora i conti tornano. Ma come la mettiamo con l'animismo dello sciamanesimo o con lo spiritismo? Sono certamente fedi a cui viene prestato un giuramento, anche se può mancare l'atto formale esplicito e socialmente condiviso di adesione al culto, basta l'adesione formale estetica partecipata. Ad esempio basta la seduta spiritica o "sentire" in modo prepotente improvvisamene in una foresta le forze della natura "chiamarci a sé" attraverso il nostro "spirito". C'è quindi una prelatura (persone investite pubblicamente di un certo ruolo riconoscibile), una dottrina, una sapienza, un sacerdozio che rendono chiaramente di stampo religioso queste pratiche. Dato che si tratta poi di pratiche molto variabili per loro natura rimangono però appannaggio di un mondo religioso nebuloso, vasto e dispersivo, quasi di confine rispetto alle religioni legate al divino.

Se poi usciamo dall'impronta divina, comunque conservata nell'idea di forze invisibili, incorporee e incomprensibili ed esterne alla volontà umana generale, vediamo che non è solo il giuramento a un certo divino a creare fedeltà nei comportamenti ma moltissime altre realtà sociali umane che con la sfera del divino hanno poco a che fare. La struttura militare ad esempio o l'attività civile e politica nei partiti, ma anche quella economia dell'uomo d'affari. Nella struttura militare c'è un preciso giuramento di fede, ci sono prelati, dotti, sapienti e sacerdoti. L'impronta strutturale "estetica" è chiaramente religiosa nel senso dell'etimo che abbiamo dato all'inizio, anche se non c'è bisogno di nessun riferimento oltre l'umano. Anche se non è stato sempre così: nell'antichità gli eroi in guerra erano tutti semi-dei e (aggiungo) potremmo sospettare che per osmosi certi semi-dei siano diventati tali dopo le loro epiche imprese in battaglia. L'antico testamento (nella tradizione cristiana cattolica ortodossa) ci dice chiaramente che il comandate in capo di tutte le forze militari protagoniste delle vicende bibliche era Dio.

Allo stesso modo, rimanendo con un occhio alla storia dell'Uomo (almeno quella che ci è nota ed è condivisibile in larga misura) vediamo che anche le altre realtà sociali, come le attività civili, politiche ed economiche hanno lo stesso percorso che inizia dal sacro e divinio nell'antichità per diventare semi-divino e poi reallizzarsi entro l'umano. Pensiamo in campo civile al sangue blu dei nobili e quello "più puro" dei Re e degli Imperatori, la cui regalità è propria di una discendenza che affonda le radici nel sacro e nel divino, "autorizzata" per questo all'esercizio da una volontà divina precisa. Oppure pensiamo ai contadini, custodi di una realtà tradizionale di sfruttamento della terra e degli armenti, che avevano una precisa identità divina agreste autonoma di riferimento nell'antichità e poi sono transitati per i feudi nell'identificazione divina nel reggente semi-dio che con il suo spirito "proteggeva" la terra e i raccolti. Per confermare questa tesi possiamo osservare come originalmente la pratica dello "ius primae noctis" non era un onta per chi la subiva, ma la garanzia di una successione nobile che elevava tutta la famiglia al rango superiore di "appartenenza al favore divino". Un processo simile lo possiamo osservare per le arti e i mestieri. Pensiamo agli scalpellini che dai templi dedicati alle divinità (da loro stessi riconosciute) realizzano poi chiese e cattedrali nella cristianità medioevale dove si celebra "il figlio di Dio" (parte uomo e parte essere divino) e nel contempo si corporativizzano nella libera muratoria che al suo interno si dichiara atea, in quanto (almeno stando alle dichiarazioni formali) funzionale a un elevazione spirituale umana e non a un giuramento di fede religioso. Alla fine del medioevo, anche la libera muratoria costruisce una sua forte identità autonoma da quella divina, in grado di realizzazare nell'uomo (e per sua stessa opera) l'essere divino. Idea da cui poi trarrà spunto molta filosofia successiva e molti movimenti di pensiero che faranno la storia della cultura occidentale, come l'illuminismo.

Se il passaggio è chiaro dovrebbe essere evidente a questo punto che l'ateismo non è il rifiuto del concetto di "sacro" (il cui etimo da una radice indo-europea significa "aderire" ed opposto a "profano" il cui etimo significa "davanti al tempio", cioè esterno all'area sacra) quanto il suo occultamento. Nel senso che il sacro passa dall'essere una zona dichiarata e circostritta, stabile e pubblicamente riconosciuta, a una zona sociale indefinita, dinamica, mutevole e per questo difficile da riconoscere. In altre parole il sacro passa dall'essere un oggetto riconoscibile a un soggetto occulto, quindi di facile fraintendimento.

Non è un caso che la chiesa cattolica sia la prima a iniziare le crociate "di purificazione" al suo interno, dovendo per forza designare di volta in volta i falsi predicatori, cosi come era nelle premesse del concilio di Nicea del 325 che sancì appunto gli atti canonici da quelli apocrifi. Nessuna religione prima aveva mai avuto la necessità di identificare la predicazione falsa al suo interno, nemmeno quella ebraica da cui il pensiero cristiano prende a piene mani. Non è un caso che la parola "pagano" (il cui etimo significa "abitande del villaggio") nel suo significato attuale di "antitetico al monoteismo" è un "invenzione" medievale, occidentale e cristiana. Non è un caso che il sacro con l'avvento della cristianità esca dalle zone circoscritte dei templi per fluire nei luoghi segreti dei "raduni", come le catacombe paleo-cristiane. Lo stesso concilio di Nicea è possibile considerarlo "sacro" dai fedeli in quanto per il cristiano il sacro abita tra gli uomini e la società civile con la sua dimensione morale, non è per ciò confinato nei templi ma nei corpi e nella coscienza. Con questo spirito la religione cristiana è l'unica ad avere radicato l'opera missionaria come parte dei doveri inscindibili della fede.

In altre parole con la cristianità i patti che stabiliscono degli obblighi riferiti a certi sacramenti, mutano la pratica rituale di divinazione pre-cristiana (per lo più individuale e funzionale alla mediazione tra volontà umana e divina) in ritualità collettiva religiosamente esclusiva praticata indipendentemente dal luogo sacro e che trasforma "il tempio" in collettività di fedeli praticanti. Di contro la religione cristiana è la prima in assoluto che non può accettare per mandato che il sacro (la salvazione) "escluda" qualcuno: chi non vuole condividere la salvazione (cioè fondere l'identità sociale nel suo complesso con la volontà divina) deve per ciò essere per forza maligno. Da qui si capiscono quindi le ragioni per cui in seno alla cristianità nel medioevo, cioè in piena maturità del pensiero dottrinale cristiano, prendono corpo le crociate, la santa inquisizione e la figura del demonio.

Tutto questo formerà la spina dorsale della cultura e del pensiero tradizionale occidentale e quindi l'idea replicata che le componenti sociali cruciali per la civiltà moderna, come la giustizia, la difesa, l'economia e la politica, debbano essere costruite entro strutture indipendenti dal territorio: il territorio delimita esclusivamente la pratica, non il principio. La stessa democrazia è un modello di potere sociale dove per definizione prevale la volontà politica collettiva sull'iniziativa privata che noi pensiamo "giusto a prescindere" perché è un residuo del pensiero missionario cristiano. Lo stesso modello forgerà gli uomini protagonisti dell'epoca del colonialismo e dei lumi che con l'opera missionaria della civilizzazione porteranno tanta ricchezza alla corona inglese e tanto disastro nei territori "civilizzati" a forza.

Anche la scienza moderna nasce da questo modello, partendo dallo studio attento e autenticamente curioso dei principi naturali divini "nascosti" nei fenomeni che ci circondano. Anche la scienza vive se stessa con lo stesso spirito missionario autocelebrativo. Questo non toglie alla scienza i suoi indubbi successi, ma nemmeno dovrebbe farci credere che la fede cristiana sia del tutto scorrelata.

Come ho dichiarato più volte secondo me non è possibile non avere fede. Non avere in noi qualcosa di sacro. Proprio nella nostra società e cultura, non è possibile, dato che per tradizione ammettiamo implicitamente che il sacro (e con esso il profano) opera nell'Uomo e non fuori. Per ciò le manifestazioni esterne del sacro non sono territorialmente definite, ma ritualmente definite, cioè ciroscritte da pratiche rituali. Come andare al supermercato o usare la macchina, celebrare i compleanni o andare a scuola. Ogni atto che si compie entro un rituale per osmosi passa alla struttura valore sacro.

In questo senso l'ospedale (dove ritualmente si va a trovare il malato e incontriamo i sacerdoti della malattia) o la scuola (sede rituale della formazione e casa dei sacerdoti del sapere) non sono spazi mentali differenti dalla chiesa dove abitano i sacerdoti della fede religiosa. Cioè non sono sedi esclusive dove sono confinate le pratiche, ma istituzioni sociali rappresentative di un principio non territoriale.

Ancora, il tempio antico era il luogo dove si suggelleva un patto o almeno c'era la speranza che fosse possibile per tramite del rituale incontrare il favore divino: l'errore nella pratica rituale giustificava la delusione dell'aspettativa del fedele. Era per ciò il luogo dove incontrare gli dei, ma ciò non voleva dire che gli dei non abitassero il mondo e non incontrassero gli uomini all'esterno. Il tempio era una sorta di ambasciata divina dove si svolgevano funzioni di intermediazione burocratica, dato che la maggioranza degli incontri fortuiti o comunque esterni al tempio, per gli uomini avevano quasi sempre un esito drammatico. Le chiese cristiane conservano in parte questa idea, con la differenza che il tempio cristiano è principalmente il luogo della comunità e infatti al suo interno lo spazio maggiore è dedicato alle panche dove si radunano i fedeli, esattamente come nel teatro e nel cinema. Questo non vuol dire che l'atto della preghiera o del pentimento (per esempio nel confessionale) non siano strettamente individuali, ma che acquisiscono un significato concreto solo se portano il fedele a costruire una identità cristiana fuori dallo spazio del tempio. Un valore vincolante di obbligo e divieto sacro di fede che nei templi pre-cristiani non abitava neppure i sacerdoti, figuriamoci i fedeli.

In conclusione l'ateo non è senza una dimensione sacra interiore, ma può illudere se stesso che l'assenza di una fede nel divino, porti a una specie di antitesi alla religione complessiva. In questo modo però l'ateo finisce per costruire surrogati impliciti della fede a cui aderisce senza esserne cosciente.

L'uomo moderno rieschia sempre di trovarsi tra i perduti. Non perchè ateo convinto, ma perchè individuo senza una sua chiara identità di fede. Di converso il moderno fedele che crede nel divino tende a usare la sua fede come un bene materiale di rifugio per evitare la faticosa ricerca di una religione che lo abita nel concreto. In altre parole, colui che sceglie di credere nel divino corre il serio riscio di scoprire che un supermercato o il cinema, una banca o un dottore, hanno in lui più potere del dio in cui crede.


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PietroGE
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-Non sono d'accordo con la tesi espressa nel titolo : il sacro presuppone una divinità, che sia il Dio cristiano, quello musulmano, gli dei pagani greci o romani oppure l'imperatore romano. L'ateismo non riconosce nessuna divinità, il sillogismo dice che l'ateismo equivale quindi all'assenza del sacro. I riti non sono indizio di presenza religiosa. Anche i massoni o associazioni e sette segrete hanno dei riti di adesione, senza avere niente di sacro.

-Non sono neanche d'accordo con l'identificazione di religione e " dottrina sapienziale teologica". La prima implica la fede, la seconda non necessariamente. Io posso studiare la teologia islamica (sempre che ne esista una) o buddista senza condividere la fede nel Dio o nei precetti che questa o quella religione propone ai fedeli.

-Certamente, c'è anche a livello sociale il riferimento alla religione, ma nel senso dello sfruttamento di essa per fini di potere, sia nel monarca assoluto che basa il suo diritto a regnare in un non precisato volere divino, sia nel califfo che lo basa sull'Hadith, quasi sempre inventato, del profeta.

-La vaga religiosità (non religione) dell'animismo non arriva mai al livello del sacro come espresso nelle religioni monoteiste e si concretizza normalmente in una serie di ricette di vita e tabù per ordinare e regolare la vita sociale. Fa eccezione l'islam, per me fondamentalmente animista ( basta vedere cosa vanno ad adorare il pellegrini a La Mecca), che ha raggiunto un ruolo integralista in combinazione con le religioni di riferimento : il cristianesimo e l'ebraismo.

-Poi si può anche disquisire se l'ateismo rifiuta il sacro o lo mette sotto il tappeto.
Comunque, la necessità di una definizione correta dei principi religiosi, affermatasi nei primi secoli del cristianesimo, nasce dalla difficoltà di una teologia che vada al di là dell' antropomorfismo tipico del paganesimo, dove gli dei vivevano una vita tipicamente umana con tutte le sue passioni e difetti. È la conseguenza del Dio presente in ogni luogo che necessita il formarsi di principi universali.

-Il discorso sulla Scienza, che va considerata come metodo, sarebbe troppo lungo.
In conclusione io non credo nel 'credente in altro'.


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cedric
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Il testo è lungo e si presta a molti commenti. Per iniziare approfondirei l'affermazione di GioCo secondo me non è possibile non avere fede. Non avere in noi qualcosa di sacro. Assodato che secondo la Treccani (così si usa un lessico comune) FEDE: Credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive occorre definire propedeuticamente in cosa si debba avere fede per dare contenuto alla doppia negazione. Altrimenti si afferma solo che in qualcosa bisogna pur credere o peggio si collega il concetto di fede esclusivamente a quello di spirituale o sacro.
Peraltro Giacomo Devoto nel suo dizionario etimologico fa derivare il termine sacro dall'etimo SAK (di area italica, nord germanica, ittita ed anche tocaria sia battriana che uiguri) che indicherebbe ciò da cui si deve stare lontani perchè sacro. E' una stupenda definizione autoreferenziale che comporta che è sacro ciò che tutti sanno essere sacro utilissima per chiudere la bocca a chi vuol discutere di questi temi.

Ne consegue che credere (senza prove positive ma fidandosi dell'autorità altrui) al sacro (è sacro ciò che la gente ritiene sacro) è una geniale mandrakkata del furbacchione di turno per giustificare ed imporre leggi, comportamenti, scale gerarchiche, norme, valori ed usanze da diecimila anni a questa parte. Con qualche forzatura il termine sacro assume una valenza molto simile al termine tabù così caro alle società primitive, sempre che la nostra società attuale non si debba definire tale quando ricorre al soprannaturale, spirituale o metafisico che dir si voglia ogni volta che non riesce a spiegare qualcosa che non comprende.

Quindi la domanda è in cosa non si può non avere fede?


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GioCo
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Sono contento che stimoli la riflessione ... vediamo se riesco a rispondere alla tua domanda. Ci provo.

Premetto che per me la doppia negazione "non è possibile non avere fede" è inserita in uno schema cognitivo e non in uno esplicitamente sacro e religioso (il taglio che volevo dare al mio intervento era quello) cioè sto cercando di considerare il sacro come conseguenza di un processo cognitivo (e non viceversa) e provo a percorrere con l'analisi storica l'ipotesi che gli spazi del sacro erano per gli antichi circoscritti (ma è un ipotesi, io mica c'ero). Molti indizi propri della nostra tradizione e dei nostri valori vanno in questa direzione: il sacro è quindi -nell'ipotesi- ciò che cognitivamente registro come uno spazio (cognitivo) esclusivo, dedicato a un entità qualsiasi che agisce su di me e miei pari al di fuori della nostra "visibile" volontà. Un esempio, il modo che ha un mago (per esempio un cartomante o un medium) per costruire un pensiero magico è delimitare un cerchio esclusivo di regole (il tavolo), cioè conchiudere uno spazio fisico dove le regole siano quelle del mago. Oppure pensiamo allo spazio di evocazione spirituale che è simile allo spazio di sacrificio nel tempio. In modo simile agisce il prestigiatore, anche se lo spazio esclusivo è conchiuso in questo caso dall'illusione e non da un elemento fisico.
Non vale per il gioco: i giocatori creano uno spazio ove le regole siano quelle del gioco (cioè sistemiche, esplcite e condivise). Nel paradigma che sto indicando le regole devono essere implicite.
Non vale per esempio nel corteggamento: lo spazio è conchiuso sui protagonisti ma non c'è molto oltre la volontà e il desiderio di chi partecipa. Non ci sono regole.

Come si intuisce questa struttura aderisce a molti altri "spazi" cognitivi. Se il paradigma è corretto, ognuno di questi "spazi" ci porta implicitamente a considerare le forze "invisibili" che dettano le regole entro quegli spazi in modo equivalente al "sacro" tradizionale dei templi antichi. Ad esempio il supermercato, dove una volontà astratta ("la direzione") agisce decidendo cosa mettere sugli scaffali e quindi chi escludere dal circuito della distribuzione di massa al dettaglio: rispetto al mercato rionale balza subito all'occhio che lo spazio del supermercato è esclusivo. Un processo simile si può osservare per gli spazi domestici. Dalle cascine di un secolo e mezzo fa agli appartamenti-alverare di palazzine con decine di spazi conchiusi, anche qui si capisce che si sta parlando di luoghi che erano inclusivi e diventano esclusivi: le regole degli spazi domestici sono sempre più dettate da enti esterni, come il condominio, l'amministratore, il comune, il governo, ma anche la televisione

Ovviamente se non accosto la destinazione d'uso funzionale simile a spazi molto differenti come il mercato rionale (temporaneo) e il supermercato (stabile), non mi accorgo del passagio da uno spazio con delle regole strutturate verticalmente ("la direzione") a uno con regole poste sullo stesso piano (tra esercente e acquirente) perché è sottile. Ma proprio quella differenza avvicina cognitivamente lo spazio del supermercato a un luogo sacro.

Spero di aver risposto alla tua domanda.


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cedric
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Hai dato una risposta alla affermazione non possiamo .... non avere in noi qualcosa di sacro tralasciando la parte relativa alla necessità di avere fede. In ogni modo la risposta mi sembra coerente perchè hai premesso di non voler introdurre alcun riferimento religioso limitando il concetto di sacro alle sole implicazioni cognitive/relazionali della società civile.

In tale contesto condivido il tuo evidenziare "l'aspetto civile del sacro" che mi sembra che tu definisca come l'ambito in cui si agisce sottostando a decisioni esterne non modificabili (le regole del supermercato, del condominio, ecc). A ben vedere tale definizione si adatta bene all'etimo SAK ciò da cui si deve stare lontani perchè non si è autorizzati ad occuparcene . Non a caso per il maschio l'automobile/barca è sacra e la femmina non se ne deve occupare.

Il sacro si accompagna spesso al rito (sequenza di azioni da eseguire senza errori o modifiche pena la nullità del rito stesso) e la società civile è zeppa di riti: il processo giudiziario, l'assemblea di condominio, le compravendite, ecc. Se non si rispettano rigorosamente tutte le regole l'atto non è regolare e quindi il rito è sacro perchè nessuno tranne i ministri del rito (notaio, giudice, medico, ecc) se ne deve occupare. In molte ditte è comune affermare che "le procedure sono sacre" ad esempio quelle che regolano la conduzione di una raffineria.

In questo contesto (ma solo in questo) concordo con te che non possiamo non avere qualcosa di sacro perchè fin dalle origini la società stessa ha costruito la propria organizzazione sociale sui riti e sulle regole accettate da tutti come qualcosa di cui non ci si deve occupare, vale a dire che sono sacre.

Per fortuna ogni tanto c'è una rivoluzione che scardina quelle regole sacre, ovviamente per introdurne di nuove, ovviamente sacre anche esse, magari giustificandole come emanate da un furbacchione che sostiene di avere un sangue reale che discende addirittura da una presunta divinità. E' incredibile come in un tempo in cui si gioca con gli atomi ci siano persone nel mondo occidentale che ancora accettano il concetto di regalità. Oltre a quei quattro gatti di belgi, olandesi e norvegesi, ci sono pure gli spagnoli, gli inglesi e tutta l'allegra brigata del Commonwealth a riconoscere ad un re o ad una regina qualcosa di superiore, ma non è forse vero che per costoro la persona reale è sacra e quindi non ci si deve occupare di discuterne? Se non fosse folle sarebbe grottesco.


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GioCo
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Beh, il passo successivo al definire qualcosa che non ha un nome e per ciò e difficile da individuare (forse SAK va bene, bisognerebbe ragionarci con calma) sarebbe chiedersi: perchè "pensiamo" in questo modo? Cioè, perchè lo spazio esclusivo "meta-sacrale" è così abbondante e imprescindibile da noi? Perchè il sacro spazia liberamente fuori dai suoi territori tradizionali senza nessun bisogno evidente?
Pensiamo alla moda o alla notorietà in campo artistico musicale e cinematografico dello "star system". Perché per noi acquisiscono quell'importanza "esclusiva" astrale tanto potente da essere poi trasmessa a mediocri personaggi in carne ed ossa trasformandoli in divi?
Certo @cedric lo "star system" è un caso specifico dove agisce questo "meta-sacro", altri li hai ben citati ed altri ancora potremmo aggiungerli.

Quindi forse la questione non deriva da una realtà esterna ma da una struttura (innata?) che ci abita e ci rende naturalmente inclini a stare in rapporto cognitivo con lo spazio sacro, indipendentemente dal pensiero che ci accompagna.


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ignorans
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La necessità del sacro deriva dalla de-sacralizzazione.
Ieri sera guardavo la tv ed è apparsa la pubblicità di una delle innumerevoli merendine della Ferrero, con tanto di tizio che la inzuppava nel caffèllatte.
Ora, il cibo ridotto a merce è o non è desacralizzato? L'uomo de-sacralizza tutto ciò che "conosce". Ma è una conoscenza del cazzo. In verità non conosce nulla. Il cibo sarebbe quella cosa che ti fa vivere, ma tu lo rendi merendina da pubblicizzare e da vendere. E' evidente che di fronte a questa opera di distruzione, di banalizzazione qualcuno si potrebbe sentire offeso e dichiarare il cibo "sacro", in quanto fonte di vita. Quindi il cibo è sacro o non è sacro?
Mi sembra che quello che fa testo sia solo la comune considerazione delle cose. Solo il singolo può fare la differenza e solo per se stesso.
Poi può succedere che tanti singoli si comportino con un atteggiamento verso le cose tale da "sacralizzarle", in quel caso il "sacro" diventa comportamento collettivo ma anche abitudine. E questa è la strada che conduce alla perdita del "sacro", perchè con l'abitudine ci si dimentica lo spirito originario.


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GioCo
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[...] Quindi il cibo è sacro o non è sacro?
Mi sembra che quello che fa testo sia solo la comune considerazione delle cose. Solo il singolo può fare la differenza e solo per se stesso.
Poi può succedere che tanti singoli si comportino con un atteggiamento verso le cose tale da "sacralizzarle", in quel caso il "sacro" diventa comportamento collettivo ma anche abitudine. E questa è la strada che conduce alla perdita del "sacro", perchè con l'abitudine ci si dimentica lo spirito originario.

A me sembra che la mercificazione (che non tocca le merci cioè i beni e i servizi, ma entità che per loro natura non sarebbero oggetto di merce, come il corpo umano ad esempio) sia una lettura che dipende più dal pensiero marxiano. Il cibo in passato è tra i popoli è sempre stato oggetto di scambio sacro (per esempio nei sacrifici) ma non direttamente qualcosa di "sacro". Solo per fare un esempio, il cibo tra i popoli andini (dell'America latina) che vivono di pastorizia viene spesso lasciato come offerta agli Apu, sorta di divinità legate alla montagna di derivazione incaica, nascosto tra le aperture delle rocce e in zone non abitate. Il tipo di offerta è più spesso vegetale (mais) e di oggetti personali, perché sono i beni più preziosi da quelle parti.

Il cibo invece "divino" è generalmente qualcosa di particolare e spesso con caratteristiche più o meno spiccate di "velenosità" per gli uomini. Pensiamo ad esempio all'uso di allucinogeni di vario tipo per la divinazione.

Però è interessante partire dall'idea di de-sacralizzare qualcosa che per noi rappresenta una fonte primaria di sostentamento come il cibo, nel senso osservare come sia possibile percepirlo così, come una forma di riduzione profana nell'atto mercificatorio. Mi viene da pensare (rovesciando i concetti) come possa non essere mercificato un bene di primaria importanza come il cibo: bisognerebbe tutti fare i contadini. Ma comunque immagino che il baratto non ci sottrarrebbe alla mercificazione. Forse quindi è la propaganda? Non credo, se fosse usata con il fine dichiarato (far conoscere il prodotto) rientra in un altra necessità funzionale, se no non potrei sapere chi può fornire cibo e quale. Forse è l'abbondanza di cose non richieste ma di cui la richiesta è creata ad arte come le merendine e quindi l'uso improprio del cibo e della propaganda? Può essere ma qui i labili confini (che giustamente tu @ottavino fai notare essere individuali e all'occorrenza sociali) di sacro e profano riguardano più concetti come il rapporto con il lavoro e con il denaro piuttosto che la mercificazione del cibo.

Forse @ottavino (ma è un ipotesi) è l'idea elaborata di produrre qualcosa di macchinoso e complicatissimo ma in quantità industriali come una merendina, solo per nascondere la necessità cronica di produrre qualcosa di perfettamente inutile (se va bene, se no è pure dannoso) al fine di conservare il significato del sistema produzione-consumo fine a se stesso (indipendentemente dal cibo). Forse è questo che può dare in noi quell'effetto de-sacralizzante e fastidioso.

In questo caso avremmo una risposta almeno parziale del perché le tradizioni secolari (che si poggiano sulla ritualità e le abitudini ritualizzate) non sono mai state deprimenti per l'idea di "sacro" che volevano salvaguardare. Non come almeno lo sono le merendine ... 😉


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ignorans
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Nella Genesi della Bibbia viene indicato quale sarebbe il cibo umano ("ecco, io vi do ognierba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo"). Quindi il cibo ha tutte le caratteristiche per essere "sacro". Nel sud dell'India il riso veniva venerato come una divinità. Forse bisogna ritrovarsi in una carestia ( che capitava più spesso nell'antichità) per ritrovare la sua sacralità.
D'altra parte se non è sacro il cibo che è l'elemento numero uno della vita umana, dimmi te cosa potrebbe essere sacro.
È solo un grande ego che ci impedisce di vedere il sacro fuori di noi. Troppo impegnati a sacralizzare il nostro ego?
Nella nostra società il cibo non è sacro ma i posti di lavoro alla Ferrero, si. È tutto qui il dramma. L'uomo unica cosa sacra del creato? Aiuto!!!!


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GioCo
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Non discuto sul fatto che determinati alimenti possano poi trasformarsi in un tramite per il divino e assumere significato sacro. Non ho dati per confutare quanto affermi sul sud dell'india ma ricordo che la fermentazione delle sementi produce diverse sostanze che possono essere poi considerate "sacre": insieme ai funghetti un alimento spesso "sacro" è il miele, perchè viene fermentato. Tali alimenti poi acquisiscono una dimensione mistica e diventano simbolicamente il tramite per l'elevazione spirituale. Cioè cibo "sacro".

La Gimbutas sostiene che il lievito di pasta madre fosse inserito in un rituale sacro nelle popolazioni dell'età del bronzo, quello della panificazione. Anche la bibbia è chiara sul dato che il cibo non è direttamente sacro ma è il mezzo dell'offerta: Caino (agricoltore) e Abele (pastore) non adorano il cibo che danno in offerta, adorano Dio e l'offerta è il tramite per ottenere il suo favore. In più, ad essere valido non è la fatica sacrificata (se no era Caino a dover essere il favorito) ma il significato simbolico del gesto (secondo la dottrina teologica).

Poi ancora, l'ostia, che già nel latino classico indica nell'etimo un sacrificio fatto in onore della divinità, non si può sostituirla con la rosetta o un francesino! Tuttavia la sacralità dell'ostia non è data dal fatto che sia cibo da ingurgitare come le patatine, ma per il significato rituale e per il fatto che sia offerta da un sacerdote (per esempio nei rituali di esorcismo). Assume il suo senso sacro entro ed esclusivamente un rituale che è sacro in quando condotto da un sacerdote riconosciuto dalla chiesa.

Mio padre mi raccontava che quando faceva il chierichetto durante la guerra, si nascondeva sotto l'altare e ne mangiava a più non posso perché aveva fame. Ma credo in quel caso sia un altra storia.

Ricordo poi che fino a poco tempo fa era tradizione comune di tutte le famiglie cristiane ringraziare Dio per il cibo prima di mangiare non perchè il cibo era sacro ma perché era considerato un dono. Questo indubbiamente metteva in condizioni di considerare il cibo "come se" fosse sacro, nel senso che non era comunque mai considerato "un diritto" imprescindibile dell'uomo, ma una concessione divina. Il pro di quel pensiero era una grande considerazione per terreni e animali, simile a quella che si aveva per le persone (non era inusuale dormire e cucinare tra le bestie anche nelle case nobili) ma di contro la penuria di cibo moltiplicava gli affamati che non ricevevano di certo assistenza "solo" per questo.

Oggi il cibo prodotto industrialmente alla fonte (pensiamo all'impiego delle macchine e della chimica in agricoltura) è prodotto da tonnellate di surplus di materia prima, impiegata nel generare una abbondanza quantitativa di prodotti, ma al prezzo di un estremo scadimento qualitativo compensato ancora dalla chimica (pensiamo agli esaltatori di sapidità ad esempio). Basta esaminare il tasso medio di miceti (nelle sementi) e batteri (nelle carni) confrontandoli con le culture più "tradizionali" (senza chimica o sementi OGM) per rendersi conto che la quantità non è qualità. Questa scadenza attraversa tutto il consumo di cibo fino al prodotto finito (come le merendine): pensiamo all'olio di palma o le molecole chirali come l'acido L ascorbico, perfettamente inutili se non proprio velenose se immaginate come alimento. Di fatto è difficile considerare buono (oltre al sapore) un cibo che sai perfettamente essere spazzatura già prima del consumo, anche se finisce per creare dipendenza (come il fumo).


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ignorans
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Sono d'accordo con l'impianto complessivo del tuo post. Anche chi si definisce ateo deve fare i conti con il sacro, è costretto a sacralizzare alcuni atti della sua vita per cercare di renderli più "valorosi". Ma volendo il sacro è dappertutto, solo noi ne determinismo i confini, consapevolmente o inconsapevolmente.
Ma siccome viviamo in un oceano di pensieri, di idee, dobbiamo fare i conti con "il sacro" che proviene dall'esterno di noi stessi ( e che ci influenza). E la spinta culturale della nostra società è quella che ci induce a rendere sacro l'uomo e a tralasciare il resto.
Il risultato è che di sacro c'è solo l'uomo, cioè noi stessi, mentre tutto il resto viene dimenticato o considerato solo se finalizzato all'umano. Ma in fondo, che sarebbe l'uomo senza la terra, l'aria, l'acqua? Noi siamo solo il risultato dell'Unione di questi elementi. Quindi non siamo direttamente "sacri", ma lo siamo solo in quanto emanazione di elementi "sacri" e di una intelligenza "sacra".
Del resto il concetto di "sacro" include anche quello di "sacrificio". Il "sacrificio" di noi stessi qualifica il "sacro". E non è necessario arrivare al sacrificio umano degli antichi Antichi Aztechi. È sufficiente farsi da parte, sentirsi piccoli e insignificanti se paragonati alle energie che ci abitano e ci fanno vivere.


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