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Clinton vs Trump: globalizzazione vs protezionismo, guerra vs isolazionismo


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Clinton vs Trump: globalizzazione vs protezionismo, guerra vs isolazionismo

Scritto il 29 settembre 2016 by Federico Dezzani

Incombono le presidenziali che decideranno chi, tra la democratica Hillary Clinton ed il repubblicano Donald Trump, siederà nello studio ovale per i prossimi quattro anni: per la prima volta da decenni, la diversità tra i due sfidanti è sostanziale. Hillary Clinton è la rappresentate di quell’establishment liberal e basato sull’asse finanziario Londra-New York, che dai tempi del presidente Woodrow Wilson è paladino dell’interventismo e della globalizzazione economica. Donald Trump, al contrario, appartiene a quel filone isolazionista che affiora come un fiume carsico nel partito repubblicano: la sua vittoria è l’ultima occasione per evitare che il confronto tra gli Stati Uniti e le potenze emergenti degeneri in un’escalation militare.

Democratici, il partito dell’interventismo

Si avvicinano le elezioni negli Stati Uniti e, per la prima volta da decenni, la sfida tra la democratica Hillary Clinton ed il repubblicano Donald Trump non è soltanto un pro forma, utile a regalare all’opinione pubblica la speranza del cambiamento e l’ebrezza del voto.

Il sospetto che la dialettica repubblicani-democratici serva soltanto a garantire una parvenza di democrazia è, in effetti, fondato, specialmente dopo l’avvicendamento di Barack Hussein Obama, e George W. Bush: all’indomani dell’11 Settembre un attonito generale Wesley Clarck sente dirsi che gli Stati Uniti entreranno in guerra con sette Paesi (Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan ed Iran) ed a distanza di dieci anni si scopre che quelli risparmiati da Bush, finiscono nel mirino di Obama attraverso la Primavera Araba e lo Stato Islamico. Già, il Califfato: l’entità sunnita che avrebbe dovuto installarsi nel cuore del Levante balcanizzato, proprio come nei piani concepiti dai neocon nei lontani anni ’90. Certo, forse Bush avrebbe bombardato la Siria nel 2013 e rifiutato di firmare un accordo sul nucleare civile con l’Iran, ma Obama ha perseguito in fondo gli stessi interessi con mezzi diversi, fomentando la guerra tra sunniti e sciiti e forgiando l’ISIS.

Che dire dell’economia? La bolla dei mutui spazzatura esplode nell’ultimo scorcio dell’amministrazione Bush ed è il governatore della Federal Reserve scelto in epoca repubblicana, Ben Bernanke, l’uomo cui si affida Barack Obama per tirare l’economia fuori dalle secche della crisi. Come? Mandando in bolla i mercati finanziari con la politica dei tassi a zero, così da “generare sicurezza tra gli investitori ad alimentari i consumi”: poco importa se i principali beneficiari dell’operazione sono quelle stesse banche che hanno inondato il mercato di prodotti finanziari infetti. Dopotutto tra i principali finanziatori della campagna elettorale di Obama figuravano JP Morgan e Goldman Sachs: già, Goldman Sachs, ai cui vertici aveva seduto Henry Paulson, il Segretario del Tesoro che gestisce il fallimento di Lehman Brothers sotto la presidenza di George Bush. E così via, in una costante serie di rimandi, quasi che l’amministrazione democratica avesse ricevuto il testimone direttamente da quella repubblicana.

Qualcuno farà giustamente notare: è risaputo che la “democrazia” (come, peraltro, qualsiasi altro regime) è concepita per preservare gli interessi della classe dirigente ed è inutile aspettarsi profonde fratture.

Le elezioni americane del 2016 potrebbero rappresentare un’eccezione sotto questo aspetto: dopotutto anche la storia evolve. Ci deve essere qualche ragione se tutto l’establishment americano, compreso il clan Bush ed i maggiori esponenti neo-conservatori (lo storico Robert Kagan, l’ex-direttore della CIA Robert Gates e qualsiasi altra figura sensibile agli affari esteri) si siano espressi a favore di Hillary Clinton. Qualche lato di Donald Trump deve essere avvertito come una vera minaccia, e non sono di certo le battute salaci. Nessuno, a questo proposito, è stato più chiaro dell’ex-direttore della CIA, Robert Gates, che, intervistato dal Wall Street Journal, ha dichiarato1:

“Trump è irrecuperabile. Si ostina a non voler sapere nulla del mondo e di come guidare il nostro Paese e il governo, ed è caratterialmente inadatto a guidare donne e uomini in uniforme. Non è qualificato ed è inadatto a essere commander-in-chief.”

Un candidato che non voglia sapere nulla del mondo esterno è perfettamente idoneo a guidare gli USA (e non sarebbe il primo), purché la sua agenda sia tutta incentrata sulla politica interna e releghi gli affari esteri in secondo piano. Così facendo, Donald Trump riallaccerebbe semplicemente i fili con una tradizione che risale alle origini degli Stati Uniti.

Fu un approccio a lungo adottato grazie alla natura “insulare” degli USA e che trovò proprio tra le fila del partito repubblicano i maggiori sostenitori per tutta la prima metà del Novecento e persino nell’immediato dopoguerra, quando i sovietici erano ancora “alleati”. Furono i cosiddetti “isolazionisti” che ebbero nel senatore Robert Taft (1889-1953) il loro indiscusso campione: più di una volta Robert Taft cercò di conquistare la candidatura repubblicana alla Casa Bianca, schierandosi ora contro l’ingresso degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, ora contro la NATO, ora contro la guerra in Corea, ora contro qualsiasi provocazione che deteriorasse i rapporti con Mosca.

Essendo ancora fresca la memoria di George W. Bush e delle sue disastrose campagne mediorientali, si è incline a considerare il partito repubblicano come il paladino degli interventi militari e dell’ingerenza negli Stati terzi. La famiglia Bush, spesso identificata con il partito repubblicano benché abbia caratteristiche più simili all’establishment liberal (Bush Senior è il rampollo di una ricca famiglia dell’East Coast, educato a Yale e fattosi le ossa come ambasciatore all’ONU), è in realtà un’eccezione.

La storia dice esattamente l’opposto: democratico fu il presidente Woodrow Wilson che portò in guerra gli Stati Uniti nel 1917, democratico fu il presidente Franklin Delano Roosevelt che fece lo stesso nel 1942, democratico fu lo scialbo Harry Truman che sganciò le atomiche sul Giappone e diede il nome all’omonima dottrina per il “contenimento” degli ex-alleati sovietici, democratico fu Lyndon Johnson cui si deve l’escalation in Vietnam, democratico fu Jimmy Carter che strinse l’alleanza con l’islam radicale in chiave anti-russa (vedi invasione dell’Afghanistan), democratico fu infine Bill Clinton, grazie a cui per la prima volta dal 1945 i bombardieri tornarono in azione nei cieli d’Europa (vedi guerra in Bosnia e Kosovo) e sotto cui nacque Al Qaida (attentati alle ambasciate di Tanzania e Kenya del 1998) che avrebbe poi “sferrato l’attacco” dell’11 Settembre. Nulla fu l’opposizione democratica all’invasione dell’Afghanistan nel 2001 (una riproposizione delle guerra afghane dell’Ottocento con cui l’impero britannico cercò di incunearsi in Asia centrale in chiave anti-russa) e molto modesta a quell’Iraq nel 2003, tanto che Hillary Clinton si espresse a favore.

Tanto il partito democratico tende verso l’interventismo militare, quanto il partito repubblicano (depurato dal clan Bush), tende a ripiegarsi nei confini americani e a cercare un modus vivendi con l’esterno: furono i repubblicani i più convinti assertori del protezionismo che ...

Continua....


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