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Come e con chi preparare il cambiamento


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Lo scambio di opinioni con Maria ha preso come spunto questo articolo di Preve:

"Costanzo Preve, nel 2001: A mio avviso non possiamo ancora fare una valutazione storica complessiva degli attuali movimenti no-global, perché essi sono una realtà solo all’inizio di un processo di sviluppo i cui esiti non sono ancora per nulla prevedibili. Essi possono essere l’embrione iniziale di un futuro movimento rivoluzionario, oppure possono evolvere verso l’"opposizione di Sua Maestà" di cui il moderno capitalismo ha bisogno, un’opposizione detta "propositiva" e "responsabile", in realtà di tipo petizionistico (si fanno petizioni ai potenti perché essi ascoltino i sudditi) e solidaristico. Dal momento che gli esiti non sono ancora prevedibili, è chiaro che in questi movimenti bisogna starci dentro senza troppi pregiudizi o sospetti. Personalmente, mi considero un rivoluzionario "classico", nel senso che tutti i progetti rivoluzionari storicamente strategici devono sempre essere radicati in interessi collettivi di classi subalterne, e non possono mai assumere la forma di movimenti caritativi e moralistici, se non in forma del tutto marginale. Io solidarizzo pienamente con la Palestina in lotta, ma se la Palestina non lottasse in prima persona, la mia solidarietà resterebbe una semplice testimonianza astratta. Il giudizio sui movimenti no-global non deve neppure essere ricavato dallo spettacolo virtuale del circo giornalistico e mediatico. Il circo mediatico conosce tre soli spettacoli fondamentali, lo spettacolo porno, lo spettacolo sportivo e lo spettacolo sanguinoso, per cui il suo unico vero modo di relazionarsi con i movimenti no-global è la distruzione urbana dei "Black Blocs", che lungi dall’essere stupidi e primitivi, hanno capito perfettamente come funziona il circo mediatico e vi si adeguano in modo brillante e performativo. Infine, il giudizio sui movimenti no-global non deve neppure essere ricavato dalla autorappresentazione ideologica e narcisistica dei suoi attuali dirigenti, un ceto professionale sottilissimo di politici di professione, scrittori di "Best Sellers" e permanenti di associazioni non governative all’autofinanziamento pubblico e privato. Un giudizio serio dovrà essere dato sulla base esclusiva della funzione strutturale anticapitalistica di cui questi movimenti saranno capaci. Per questo siamo solo all’inizio."

Maria:

Per Preve il sistema ideale pare sia quello che farebbe prevalere il polo dell'uguaglianza, gli interessi dei più poveri, un sistema che si soffermerebbe sulle classi subalterne e che diffonderebbe la cultura del lavoro sicuro e garantito e del vicinato solidale, attuando politiche di redistribuzione della ricchezza che favorirebbero i ceti disagiati. Solidarizza con questi ultimi. Con le vittime dei padroni che si servono degli immigrati per svalutare il potere contrattuale conquistato in decenni di defatiganti lotte sindacali. E con gli immigrati che anche loro subiscono l’aggressione economicista del capitalismo reale - i muratori rumeni, senegalesi, marocchini, le battone nigeriane, albanesi e moldave eccetera... Con "gli immigrati musulmani ma anche i rumeni ortodossi ed i filippini cattolici che vengono da identità culturali in cui c’è ancora un fortissimo senso del lavoro e della solidarietà familiare", e per i quali "il regno di Pannella e della Bonino" sarebbe "estraneo", secondo lui...
Solidarizza con le vittime della distruzione della stabilità e della sicurezza del posto di lavoro, condannate ad una perenne "mobilità orizzontale", oscillante tra disoccupazione, sottoccupazione ed occupazione precaria... Perché vittime dei principi dell'economia liberista globalizzata, del decentramento produttivo determinato da vantaggi competitivi di natura salariale e fiscale che hanno portato al regresso sociale, alla proletarizzazione del lavoro, alla diseguaglianza...

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=21923

Penso sia possibile farsi un'idea su quelli con cui solidarizza(va) Preve anche leggendo una conversazione tra lui ed Eugenio Renzi pubblicata due anni fa su Cahiers du cinéma. Il collegamento diretto pare non esista più sul sito della rivista, ma io avevo copiato quella conversazione e se volete la potete leggere nella mia ultima nota.

I movimenti caritativi e le associazioni non governative, "di cui il moderno capitalismo ha bisogno", come dice Preve, spesso si "rifanno" la buona coscienza aiutando qua e là alcuni di quelli che appartengono alle classi subalterne nel contesto storico attuale, mentre i dettami del turbocapitalismo continueranno ad essere messi in pratica altrove, disseminando malcontento, ingiustizia, disgrazie. (all’espressione "turbocapitalismo" Preve, in un volume in cui si confrontava con le posizioni di Giuseppe Giaccio e Alain de Benoist, dichiarò di preferire l’espressione "capitalismo puro" che si richiama sia al concetto di Karl Marx di "modo di produzione capitalistico" - un semplice modello e non una società concretamente esistente - sia al concetto di Max Weber di "idealtipo")

A differenza di molti di quelli che credono di sorvolare la società dicendosi solidali con le classi subalterne - quelle che sono spesso le vittime di una situazione caratterizzata dal dominio della produzione capitalistica - Preve pare abbia fatto anche quel passo che consiste nello "smarcarsi" dall'ossessivo pensiero unico che si maschera da apparente pluralismo multicolore: personalmente io per questo tipo di sensibilità a volte impazzisco...

Sul movimento no global Preve ha scritto anche qui:
http://www.kelebekler.com/occ/bertinotti7.htm

E Pino, riguardo ad un tuo commento di ieri in cui hai scritto "credo che non si possa generalizzare dicendo che il sistema e` inumano, arrogante. Esiste per fortuna un altra etica e un altro modo di fare affari. Certo negli ultimi decenni le societa` di capitale (complice la finanza globale e chi nei vari paesi europei (imprenditori, governanti di turno...) trae grosso profitto nel vendersi i propri beni) hanno avuto sempre piu` potere. Ma per fortuna il sistema non e` solo quello", secondo me ripetevi alcuni dei luoghi comuni del pensiero unico...

Io:

La questione del capitalismo caritatevole è solo, per me, un modo per cercare di rendere gestibili delle tensioni sociali che potrebbero avere sbocchi non facilmente controllabili.
Ed è un approccio che è figlio della storia dei tempi, che si è sviluppato in coincidenza dello sviluppo della teologia cristiana e che viene sfruttato in termini di controllo sociale.
Rimane, però, fuori da questo la questione legata al rapporto con le classi subalterne.
Un comunista pensa di dovere avere come punto di riferimento coloro i quali producono valore, per motivi legati (se vuoi) anche ad una questione di spazi fisici e di comunità. Elementi che rendono più facile il proselitismo e l'azione politica.
Quando invece si pensa in termini generali agli sfruttati ,senza dare modo di capire attraverso quali elementi si puo' pensare di organizzare quel fronte ,si corre il rischio di generare una serie di fronti ai quali manca un filo che li tenga insieme.
Io penso che bisogna intervenire su tutti i soggetti, avendo chiaro un orizzonte ed una proposta che sia la più unificante possibile e che non parcellizzi nelle comunità il fronte della lotta.

Maria:

Capisco il tuo discorso sulla carità. Nel merito penso siano interessanti anche alcune delle considerazioni di Žižek. Al sistema la carità serve spesso per occultare lo sfruttamento economico. A volte il ricatto messo in scena dal sistema rivela un Superego di proporzioni gigantesche. I cosiddetti Paesi sviluppati "aiutano" i cosiddetti Paesi sottosviluppati con sussidi, crediti e
così via, e con ciò evitano il problema chiave, vale a dire affrontare la loro complicità e corresponsabilità per la situazione misera di quei Paesi. Nel capitalismo contemporaneo la carità in generale (non solo quella di Bill Gates) esiste, in parte, come un modo per mascherare lo sfruttamento di base, fondamentale nel sistema economico. Fornisce la copertura ideologica per i processi non-caritatevoli sistematici che conducono all'impoverimento dei deboli. L’integrazione della carità nel sistema - ordinare un caffè da Starbucks che invia i soldi ad un bambino deforme, eccetera - è un esempio di progresso morale, parzialmente dovuto ai movimenti sociali della fine degli anni Sessanta.
La carità non distrugge le relazioni di potere disuguali per contrastare la violenza che fa parte del vivere nella povertà. La filantropia generosa sottoscrive la normalizzazione della violenza e dell'ineguaglianza strutturali. Il sistema investe perversamente nel paternalismo inefficiente come quello della Starbucks, che presenta alla gente un’emergenza da risolvere, che è falsa e piace a quelli che vorrebbero "fare qualcosa!" ma riflettono poco sul senso del loro gesto fatto all'interno dei confini inefficienti del riformismo controrivoluzionario. La carità accade anche così... sotto forma di gesti vuoti che pretendono di distruggere le sbarre della gabbia che tiene tutte le persone povere nello squallore e nell'oscurità.

Scrivi inoltre "Quando si pensa, in termini generali, agli sfruttati senza dare modo di capire attraverso quali elementi si puo' pensare di organizzare quel fronte si corre il rischio di generare una serie di fronti ai quali manca un filo che li tenga insieme". Hai ragione, bisogna evitare di disperdere le proprie forze su di un fronte troppo vasto, bisogna creare invece una saldissima resistenza per affrontare le forze sistemiche.
Sarebbe di certo interessante una discussione su quali mosse strategiche intraprendere che impongano ai potenti di assumere condotte anti-capitalistiche. Ma sarebbe una discussione enorme.
Preve non si inserisce forse tra quelli che ipotizzano una via concreta che faccia crollare il sistema - ma io per esempio non ho letto tutti i suoi libri - ma penso lasci capire alcune cose interessanti.
Sappiamo per esempio che non contempla l'approccio proposto da Max Weber di fronte alla soffocante routine quotidiana della razionalizzazione del mondo nei suoi vari aspetti, una volta perduto ogni conforto religioso, senza l'ottimismo trainante di personalità carismatiche capaci di stimolare il cambiamento. Per Marx Weber opporre resistenza alla "gabbia d'acciaio" popolata da specialisti senza spirito e gaudenti senza cuore significa prestare testimonianza, rassegnarsi al fatto che la "gabbia d'acciaio" non consente altro che qualche margine di anticipazione e di prevedibilità sull'incerto futuro, e quindi offrirebbe solo qualche chance di intervento responsabile su di una realtà avviata lungo i binari prestabiliti della razionalizzazione burocratica. Max Weber suggerisce la rassegnazione al processo irreversibile di disincantamento del mondo che prende corpo via via, nell'ambito delle società e ricorre alla metafora "gabbia d'acciaio", che implica l’idea dell’impossibilità di riuscire a sfuggire alle sbarre della gabbia. Preve non condivide quel disincanto. Il capitalismo non è una serie di sbarre create dall’esterno all’essere umano... La logica sistemica che opera nel capitalismo e che sovra determina i rapporti sociali, come forma interna delle dinamiche ambientali e personali dell'uomo, non è assolutamente necessaria, comporta una soggettività, e perciò non potrebbe mai arrivare a sottrarre definitivamente la gente alla resistenza.
Penso che si possa unire un fronte anticapitalista a questo livello, che si opponga anche alla logica sistemica del modo di produzione, senza rimanere sul terreno politico. Si potrebbe attivare una resistenza contro ciò che consente l'autoriproduzione del capitalismo: contro la politica economica delle sue imprese, la divisione sociale e tecnica del lavoro che innesca, ma anche l'operare a prima vista autonomo di elementi antropologici e di forze ambientali segnati col sigillo dinamico e necessitante del capitalismo. Si possono attaccare i punti vulnerabili degli avamposti economici del sistema.

Tutto questo senza illudersi però sulle capacità rivoluzionarie della classe operaia, salariata, e neanche sulla capacità della socializzazione capitalistica delle forze produttive di produrre un soggetto rivoluzionario (e si potrebbero adoperare per esempio gli argomenti di Preve per controbattere la tesi della “generazione spontanea” di un soggetto rivoluzionario). Non regge più il mito di un soggetto rivoluzionario demiurgico refrattario all’integrazione nel sistema e di un crollo risolutivo, servono solo processi di costruzione comunitaria cosciente basati su una concezione del mondo condivisa razionale e dialogica. Interessante la profezia integrazionista di Marcuse si è realizzata. Anche Weber parlava di una pietrificazione meccanizzata adornata da un convulso desiderio di sentirsi importante, di integrarsi nel sistema… Dalle banlieues parigine, passando per le rive del Mississipi e giungendo a sconosciute cittadine cinesi un proletariato universale chiede l'abolizione dello stato di cose esistenti. Le insurrezioni dell'autunno 2005 avvenute nelle periferie francesi non hanno avuto l'obiettivo di fare richieste specifiche, erano soltanto incentrate sul riconoscimento, in base ad un vago, inarticolato “ressentiment”. Questo scoppio muto di violenza riflette profondamente sulla natura della nostra società moderna. A cosa serve la nostra celebrata libertà di scelta quando la sola scelta è tra il giocare secondo le regole ed il fare violenza distruttiva su se stessi? (un’altra cosa sarebbe una violenza mirata in modo da non rendere inefficace e controproducente l’agire)
Quindi un fronte si potrebbe organizzare attraverso il rifiuto di giocare secondo le regole... I rumeni che emigrano per necessità economiche per lavorare in Italia, per esempio, accettano di giocare secondo le regole. Nonostante siano tante le famiglie smembrate – che avevano dei figli - perché uno dei coniugi aveva deciso di emigrare per mandare soldi a casa. Nonostante nel paese in cui emigrano facciano spesso lavori degradanti. Avrei pensato che potessero fare delle domande al governo rumeno o tentare di obbligare il governo rumeno di attuare politiche che non li costringano ad emigrare... E oltre a questi, l’Italia attrae anche i piccoli e i medi imprenditori rumeni. La loro immigrazione è nel vantaggio dell’Italia. In un certo senso loro, emigrando, partecipano attivamente alla violenza sistemica contro i più deboli (tra cui anche i loro connazionali). La Romania pare li spinga a favorire un ambiente straniero in cui collocare le loro aziende e partecipare attivamente e concretamente alla crescita e allo sviluppo dell’economia. Ci si dovrebbe invece rivolgere alla Romania per consentire loro una maggiore possibilità d'espansione del proprio business, per riuscire ad accontentarli perché poi essi possano dare un contributo alla crescita dell’economia rumena. Ci sono ancora molti altri rumeni che emigrano e che possiedono esperienze che potrebbero essere valorizzate dalla Romania... La compiacenza nel lasciarsi assoggettato alle esigenze del capitale e nel far favorire l’emigrazione dei cittadini dalla parte di un paese che non accoglie le domande di lavoro rende quel paese subalterno ai paesi forti.

Poi ci sono gli imprenditori italiani che, spinti anche loro dalla necessità, abbandonano le loro aziende ed emigrano in altri paesi. Lo fanno perché la globalizzazione ha determinato una concorrenza sui prezzi in molti settori importanti dell’economia. Questo, su un paese come la Romania, ha un impatto più negativo che positivo.
Il mio non è un giudizio morale – anche se penso che la gente abbia spesso più interess
e a NON giocare secondo le regole ed a reagire perché venga superata la politica di subalternità alle logiche e agli interessi del capitale - ma è un dato di fatto che può additare ai cercatori una strada nuova.
Gli eventuali mancati accoglimenti delle domande da parte dei potenti e l’insistenza dalla parte della gente di attuare una resistenza come quella a cui accenavo prima potrebbero essere accompagnati da un bella dichiarazione di lotta armata dalla parte dei potenti: il sistema sarà impietoso con chi rifiuta di giocare secondo le regole e rifiuta l’adozione di mezze misure e compromessi e vorrebbe abbattere il sistema. Organizzare un fronte anti-sistemico comporta anche questo "rischio"..
Preve fa notare inoltre, nel suo libro "Il Marxismo e la tradizione culturale europea", che "a differenza di come affermava erroneamente il marxismo, la classe operaia manifestava fisiologicamente una natura ribellistica (scambiata spesso per rivoluzionaria) soltanto nel primo periodo della sua recente uscita dalla precedente cultura comunitaria di tipo artigianale, bracciantile e contadina, mentre mano a mano che si ‘integrava’ nella società industriale capitalistica si adattava massicciamente sia all’economicizzazione puramente sindacalistica del conflitto sia all’incorporazione nazionalistica. Detto altrimenti, la classe operaia e salariata europea realmente esistente, e non il suo raddoppiamento ideale sognato dal comunismo, era spontaneamente socialdemocratica e non certo ‘comunista’ "...
Il capitalismo è fatto in prima istanza di imprese, e solo in seconda istanza di fabbriche: in questo modo pare non si possa formare il lavoratore collettivo associato previsto da Marx...
Quando scrivi di un fronte anti-sistemico, mi viene di pensare anche ad una possibile resistenza globale all'occupazione dell'Iraq e dell'Afghanistan (oltre alle resistenze armate che penso siano indispensabili). La nostra resistenza potrebbe cominciare con il rifiuto di ammettere la legittimità dell'occupazione dell'Iraq e dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Questo significa un tipo di agire che renda impossibile che l'impero raggiunga i suoi scopi. Significa che i soldati dovranno rifiutare di combattere, i riservisti dovranno rifiutare di servire, i lavoratori dovranno rifiutare di caricare le armi sulle navi e sugli aerei. Significa certamente che paesi come la Romania dovranno rifiutare di mandare i suoi soldati a combattere e che anche in paesi come l'India e il Pakistan la gente dovrà bloccare i piani del governo degli Stati Uniti di far inviare soldati indiani e pakistani nelle zone occupate...
Si potrebbe pensare anche a scegliere alcune delle corporation principali che stanno traendo profitto dalla distruzione dei paesi occupati, per elencare poi ogni progetto in cui esse sono coinvolte. Poi si possono localizzare i loro uffici in ogni città ed in ogni paese nel mondo. Per poi perseguire quelle corporation. Far chiudere i loro uffici. In questo caso sarebbe necessario unire tutte le forze disponibili in un fronte collettivo transnazionale che concordi su strategie come quelle di cui scrissi sopra per lavorare assieme in vista di un singolo obiettivo comune... Cioè essere preparati ad attivare tutti gli strumenti possibili per sostenere le resistenze popolari.

La discussione continua.....
http://pensareinprofondo.blogspot.com
http://pensareinprofondo.blogspot.com/2009/11/come-e-con-chi-preparare-il-cambiamento.html


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