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Cos'è "conveniente", la competitività o una politica sociale decente?


GioCo
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Oggi cercavo una pistola termica che, su consiglio di persone esperte, sarebbe da andare a prendere non di marca. Nei vari centri commerciali specializzati, questo oggetto (praticamente un phon che spara aria calda) costa dai 30 ai 70 €. Mi dicono che cinese costa circa la metà della sottomarca da 30 €, ma che comunque si tratta dello stesso attrezzo con un vestito differente, cioè è sempre roba cinese, solo con aspetti differenti. Per quel che devo fare meno spendo meglio è, ma in generale questo mi ha fatto riflettere: spendere meno, significa spendere meglio?

Nel mio caso se spendo meno risparmio e nello stato economico in cui mi trovo anche 5€ sono da valutare con attenzione, figuriamoci 15€. Ovviamente se avessi un tenore di vita differente non mi preoccuperei di risparmiare queste cifre, come in passato le soglie di attenzione salirebbero e magari valuterei più il design, l'ingombro, la maneggevolezza, il peso, oppure il semplice "gusto personale", cioè comunque aspetti che non c'entrano con il costo.

Senza nulla togliere all'oggetto, cioè partendo dal principio che la qualità generale non dipende per forza dal fatto che è un oggetto "cinese" (= senza marca nota) dato che comunque la produzione delle componenti di base ha quasi certamente un unica linea di produzione cinese, ciò che cambia è unicamente l'associazione tra "affidabilità" e "marca", in altre parole ci viene ribadito ossessivamente che gli oggetti cinesi sono inaffidabili e senza garanzia. Sul fatto che sono inaffidabili non ho prove per smentire la tesi, ma nemmeno ci sono evidenze che la marca sia per forza più affidabile. Anzi, abbiamo la certezza che non è così, vedi auto "truccate" della Volkswagen solo per citare a casaccio un caso tra gli ultimi di cui abbiamo notizia e che (ci viene detto senza pudore) è un raggiro commesso per questioni di pura convenienza economica.

Per quanto riguarda la garanzia, tolta l'affidabilità appannaggio della produzione, all'utente finale non gliene frega quasi mai niente. Ciò che interessa è che l'oggetto sia scevro da diffetti nascosti e che sia possibile avere un punto di riferimento dove ripararlo o sostituirlo se non funziona come nelle premesse. La garanzia spesso non copre questi casi, nel senso che l'impegno ricade quasi sempre sull'azienda distributrice, dato che la proprietaria del marchio dovrebbe ammettere che qualcosa non funziona dopo l'indagine resa obbligatoria dal fatto che non controlla la produzione (anche quella in subbappalto): ciò diminuirebbe i magini di profitto e quindi il sistema diventa una garanzia esclusiva della marca (cioè un altra truffa per i clienti). Conviene in questo contesto costruire un muro di gomma tra il cliente e l'azienda (in questo modo i costi sono esternalizzati sul cliente, non li deve sostenere la proprietaria del marchio) fatto di call center e di finte officine di riparazioni (che poi sono tutti in contratto di subbappalto) che nei casi banali fanno pur qualcosa ma per quelli seri ti fanno sprecare tempo e denaro; gli interventi veri sono poi ristretti ai casi davvero troppo grossi perchè sia possibile nasconderli (come quello Volkswagen, appunto).

D'altro canto l'oggetto cinese se si rompe è relativamente facile trovare un cinese ex dipendente della fabbriche da cui arriva l'oggetto che te lo ripara al momento, davanti alla tua faccia stupita e con un costo ridicolo. Ciò che ci siamo dimenticati è che questo valeva anche per noi quando eravamo pieni di fabbriche. Gli operai che lavoravano in fabbrica capitava si mettessero in proprio mettendo a disposizione l'esperienza per fare gli artigiani. In cina è così nelle zone dove si produce elettronica per tutto il mondo, dove sterminate bancarelle vendono praticamente tutto quello che occorre (manodopera, mezzi e pezzi di ricambio) per riparare ciò che si produce.

Tutto questo si accompagna a un criterio di valutazione della spesa pubblica che equivale a inserire un pezzo di legno quadrato dentro un buco tondo a martellate, in uno di quei test di psicologia.
Secondo questo criterio ciò che costa meno e meno conveniente, perchè oltre ad essere più scadente in quanto fatto per risparmiare, produce un gettito fiscale minore e impoverisce. Forse questo vale per le tasse indirette perché le altre sono accuratamente evitate dalle marche (tutte multinazionali) che non sono più industrie ma solo "parole nel vento", cioè pura propaganda. Inoltre una fregatura è obbligatoriamente più costosa, nessuna "stangata" viene fatta da un truffatore per raccimolare spiccioli, solo pensarlo è pura cretineria e lo stesso truffatore ne uscirebbe molto male tra colleghi a vantarsene.
Ma noi sappiamo che le multinazionali "tra colleghi" amano vantarsi di come fregano bene per guadagnare meglio i propri clienti, al punto che da "risparmiatori" siamo tutti diventati "consumatori", cioè premiati esclusivamente se e quando ci facciamo fregare meglio. Un po' come potrebbe essere un premio al migliore donatore in una società retta da vampiri.

Inoltre è chiaro che una società basata sulla truffa, la bontà del wellfare non dipende dal gettito fiscale ma dalla esperienza manuale che il paese può vantare. Non mi frega niente di avere 7mila carte che mi garantiscono il mio tetto di casa se poi non c'è nessuno che lo sappia riparare in modo decente! Mentre è buono avere 7mila bravi operai che fanno a gara tra loro per riuscire a eseguire meglio e con meno spesa per il cliente risparmiatore l'opera. Il principio della competitività non dovrebbe infatti dipendere da un marchio, da parole, da aria fritta, ne dal denaro, ma dalla pratica, guidata dall'orgoglio del "saper fare", non del "saper profittare" o del sapere fare profitto ed esclusivamente quello.

Saper fare profitto, cioè saper guadagnare, equivale sempre (per questioni sistemiche) a imparare a fregare meglio e soprattutto a distruggere il principale competitore, quello che "sa fare" ma non vuole truffare, in quanto rischia sempre di smascherare la truffa.
Il truffatore cerca sempre avidamente il successo, tramite il discredito verso chi non vuole truffare, perché non ha interesse a "fare" altro se non profitto. Questo non sarebbe grave se non fosse il centro esatto (tutt'ora inalterato) del concetto occidentale di "stile di vita": non conta come agisci, conta quello che guadagni in prestigio e in ricchezza. Conta cioè come riesci a truffare rimanendo "in sella" (cioè libero di truffare ancora e ancora).


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@GioCo,
lei ha iniziato il post con la premessa di evidenziare le differenze di prezzo e di significarle, ma ha concluso, se ben ho capito, sostenendo che l'unico ad essere garantito è il venditore mentre l'acquirente è l'esclusivo destinatario dell'eventuale danno? In quest'ultima parte mi trova d'accordo. 😉


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GioCo
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Era un tentativo di ruotare l'idea pro-mercato che ci abita acriticamente, non nel senso che il meccanismo del mercato non sia messo sotto lente critica (offenderei l'intelligenza di chiunque in questo caso e davvero non è mia intenzione) ma che insistono meccanismi latenti che non riusciamo sempre ad individuare.
Quindi si, in generale è corretta la lettura, ma forse meno banale il tentativo che cercavo di mettere in pratica in chi legge: la vulgata sostenuta dalla propaganda dei media suggerisce (nel mio gergo "massaggia" emotivamente) senza sosta che il mercato "è per noi", "per il bene del consumatore", "costruito attorno a noi", e via così. Quindi vai a comperare qualcosa, dalle scarpe al latte, è il problema diventa qual'è l'acquisto più conveniente e in seconda misura qual'è il brend più conveniente (quello più affidabile). In verità non esiste alcuna garanzia che il produttore possa avanzare sull'acquisto, per il semplice motivo che è una "garazia -lievemente- viziata da interessi", dove il -lievemente- è un aggiunta ironica. Quindi il problema è da rovesciare, cercando di capire che dovemmo individuare l'opzione dove c'è meno margine di vizio, non dove c'è più garanzia di bontà del prodotto.


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Era un tentativo di ruotare l'idea pro-mercato che ci abita acriticamente, non nel senso che il meccanismo del mercato non sia messo sotto lente critica (offenderei l'intelligenza di chiunque in questo caso e davvero non è mia intenzione) ma che insistono meccanismi latenti che non riusciamo sempre ad individuare.
Quindi si, in generale è corretta la lettura, ma forse meno banale il tentativo che cercavo di mettere in pratica in chi legge: la vulgata sostenuta dalla propaganda dei media suggerisce (nel mio gergo "massaggia" emotivamente) senza sosta che il mercato "è per noi", "per il bene del consumatore", "costruito attorno a noi", e via così. Quindi vai a comperare qualcosa, dalle scarpe al latte, è il problema diventa qual'è l'acquisto più conveniente e in seconda misura qual'è il brend più conveniente (quello più affidabile). In verità non esiste alcuna garanzia che il produttore possa avanzare sull'acquisto, per il semplice motivo che è una "garazia -lievemente- viziata da interessi", dove il -lievemente- è un aggiunta ironica. Quindi il problema è da rovesciare, cercando di capire che dovemmo individuare l'opzione dove c'è meno margine di vizio, non dove c'è più garanzia di bontà del prodotto.

😉
D'accordissimo.


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