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Crisi del Vicino Oriente: la sciarada turca


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Sui media, specie di casa nostra e anche su qualche commento a questo blog, si nota irritazione per la apparente contraddittorietà dell’atteggiamento turco in questa crisi politica e militare che altro non è se non la vecchia “Questione d’Oriente” che ai miei tempi era retaggio comune dai banchi della scuola secondaria e che è finita nel dimenticatoio tra le tante cose espunte dai programmi scolastici e non più diffuse.

Ci si limita al folclore di “Ataturk”, ai luoghi comuni quali “bestemmiare come un turco” (mai sentito bestemmiare un turco (o islamico), la bestemmia è un vezzo italico) e al cliché della ferocia.

La grande considerazione in epoca “moderna” che ha dato fama di duri ai militari turchi risale alla guerra di Corea (1950-1953), cui parteciparono con un battaglione (l’Italia con un importante ospedale da campo).

Rimasto tagliato fuori e senza munizioni durante una ritirata, il battaglione turco fu considerato perduto e le comunicazioni radio una “intossicazione” dei nord coreani.

Dopo tre giorni, l’impressionatissimo comando americano dovette fare i conti con gli urlacci dell’ufficiale turco che voleva sapere perché non avevano risposto agli appelli: si era aperto la via del ritorno alla baionetta, impensabile per gli americani abituati a occupare posizioni sgombrate dall’artiglieria e ancora sotto l’impressione del detto Rooseveltiano che bastava un giorno per costruire un aereo e ci volevano venti anni per fare un uomo.

Non capirono però che il tenente colonnello turco non si era battuto per far vincere l’America, ma per il proprio onore.

Beniamino Andreatta spiegò la cosa – in una riunione dell’ MFE ( Movimento Federalista Europeo) – con il reddito pro-capite: “l’eroismo è una pianta che cresce al di sotto dei 500 dollari annui di reddito” Mi è rimasto impresso indelebilmente e mi ha aperto un collegamento tra l’ideale e la realtà. Gli ideali eroici sono il lusso dei poveri.

PREMESSA

La versione geopolitica dello slogan turistico di “porta dell’Oriente” è che la Turchia si trova a rappresentare il fianco sud della NATO e in caso di conflitto tra Oriente e Occidente si troverebbe a sostenere l’urto russo ed eventualmente iraniano direttamente a contatto col territorio nazionale.

Col suo progredire in seno al mondo occidentale, la classe dirigente turca si è sempre piu sentita di appartenere all’Occidente. E stata accettata in seno al Patto Atlantico in una con l’eterno rivale greco ( nel 1952 dopo le prove coreane), è stata membro fondatore del Consiglio d’Europa ( 1949), ha adempiuto a tutte le obbligazioni richieste dai vari trattati, aggiornato diligentemente le sue legislazioni, incoraggiato i suoi emigranti verso la Germania e – qui veniamo ai giorni nostri – accettato di buon grado la “fraterna supervisione tedesca” sui suoi servizi di informazione , come suggerito dagli USA.

L’intelligence turco è molto efficace nel Vicino Oriente, dove è installato con continuità da almeno due secoli.
Va quindi metabolizzato che tutto quel che è successo, almeno fino al 2012, è stato in qualche forma concordato e controllato dal servizio segreto tedesco in una con quello statunitense.

La marcia verso occidente della Turchia è stata prima rallentata dalla Comunità Economica Europea per via della eccessiva concorrenzialità del cotone turco e manufatti annessi, ma lo svantaggio era compensato da numerosi benefici e crediti erogati “mentre si negoziava l’ingresso nella comunità”.

I colpi di Stato del 1960 ( Gursel) e del 1980 ( Evren) che previdero e bloccarono un ritorno del clericalismo islamico, consentirono agli europei di ergersi a maestri di democrazia, anche se dal 1958 al 1960 la Francia ebbe due colpi di stato di cui uno riuscito ( De Gaulle 1958), come accadde in Grecia nel 1967, in Cecoslovacchia nel ’68, in Portogallo nel 1974 e più di recente in Romania ( Stanculescu 1989) in Russia ( Eltsin 1991) e in Ucraina contro Yanucovitch ( 2014).

L’ipocrisia ufficiale imperante faceva comodo, i turchi restavano volentieri in anticamera con finanziamenti interessanti ( e sprechi ) che ci facevano sentire ricchi, buoni e democratici, mentre il paese cresceva economicamente e offriva opportunità di mercato al potente vicino economicamente, ma nano politico. Faceva comodo a tutti.

Bel gioco dura poco, ma dopo quaranta e passa anni i nodi iniziarono a venire al pettine. La Turchia voleva entrare nella UE, ma l’opposizione larvata al suo ingresso si indurì di colpo.
La Germania – 4 milioni di turchi sul suo territorio- pose il veto per il tramite del presidente francese Sarkozy, sempre ansioso di compiacere alleati vicini e lontani.

Niente più alibi democratici: solo un no e basta.

IL PROBLEMA GEOPOLITICO

Il problema si pone in termini chiari: se ogni nazione ha bisogno di alleati e alla Turchia non si confà il ruolo di Cenerentola, se non sposa il principe azzurro, quale sarà il suo destino? Con decine di migliaia di analisti politici, nessuno si pose il problema.

Il neo premier Recep Tajip Erdogan ritenne di poter esprimere una politica estera a geometria variabile grazie ai buoni rapporti con gli USA ( e Israele) ed al suo esercito, reputato valoroso e numeroso. Il suo Ministro degli Esteri Davitoglu elaborò la dottrina che porta il suo nome condensata nel ” niente problemi alla frontiere”, che però il tempo ha rivelato fallace.

Erdogan, salito al potere valorizzando moderatamente le masse anatoliche mussulmane e moderate, aveva elaborato un suo schema semplice: Islam = mondo arabo= Gaza= protettorato sul petrolio= status di potenza regionale.

Assumendo la protezione di Gaza (da cui l’Egitto prendeva le distanze) , contava sull’ok israeliano cui lo legava una convenzione militare, avrebbe ottenuto il plauso della pubblica opinione araba, aiuti dagli emirati del golfo, l’indebolimento dell’Irak per la duplice sconfitta militare e il piano di costruzione di dighe sull’Eufrate 30) avrebbe indebolito la Siria al punto che il resto sarebbe venuto da se.

Un' innocente manifestazione contro il blocco del porto di Gaza da parte israeliana causò otto morti turchi per mano israeliana e rischiò da protettore dei palestinesi di Gaza di passare a trascuratore della vita dei turchi.

La crisi del MAVI MARMARA (la nave turca arrembata dagli israeliani) guastò per un periodo i rapporti con Netanyahu e lo spinse ad accentuare la pressione sulla Siria che privata del 40% del flusso dell’Eufrate (da dividere con l’Irak), vide crescere il malcontento degli assegnatari dei terreni di bonifica da poco ricevuti.

Un ulteriore elemento di pressione fu l’impossibilità di negoziare una pace col partito curdo dei lavoratori il cui leader Abtullah Ocalan era prigioniero (consegnato dal governo d’Alema), ma non piegato.

Il rientro in scena dell’Egitto ha fatto naufragare quel che restava del sogno di egemonizzare gli arabi.

Il crescendo di problematiche senza soluzioni immediate lo spinse a decidere di rispolverare il vecchio sogno di Ataturk di impossessarsi della regione petrolifera di Mossul a spese dell’Irak, indebolito come sappiamo.

Ma esistono le spine nel fianco del conflitto curdo al confine siriano e a quello iracheno, silenziosamente alimentati dai siriani uno e da Israele l’altro. Aprire un terzo fronte è suicidario e senza questa minaccia – credibile – sia l’Irak che la Siria non si piegheranno.

Anche questa manovra è fallita per l’oggettiva alleanza dei curdi di Siria e di Irak tra loro e con il governo siriano; per l’ondivaga indeterminatezza delle decisioni americane influenzate dal partito della spesa militare e dai dubbi di Barak Obama; per la rottura nell’interno i
slamista del rapporto con i Gulenisti ( una influente confraternita tipo comunione e liberazione, forte tra le forze di polizia) che assicuravano una importante relazione con l’intelligence USA; per l’ossessione di superare il mito di Ataturk che lo ha spinto a coartare le regole democratiche di rispetto per i media e le opposizioni; per le irresistibili tentazioni che sorgono quando il capo dell’intelligence è un amico intimo…

LA PROSPETTIVA

La prospettiva è nelle mani degli Stati Uniti e dipenderà dalle scelte che faranno all’indomani delle elezioni presidenziali: se uno sforzo per liberarsi di Erdogan oppure uno sforzo per ricondurlo sulla buona strada.

Ma resta il problema geopolitico: La Turchia per restare in seno alla NATO e all’Occidente deve aver diritto, come Cenerentola, a provare la scarpetta anche lei che ha visto accettare i Bulgari e i Romeni…

Altrimenti, potrà perseguire una di queste opzioni:

a) legarsi all’Iran per costituire una forza padrona dell’altopiano turco-iranico e con questo raggiungere il “gruppo di Shangai”, ossia indirettamente l’asse cino-russo di sviluppo portando in dote i paesi turcofoni dell’Asia ( Turkistan, Turkmenistan, Kirkizistan, ecc) oppure

b) saltare direttamente il fosso e cercare un nuovo rapporto coi russi che hanno dimostrato costanza nelle alleanze, lealtà nei rapporti e per i quali la Turchia rappresenta il sogno di Pietro il Grande per il quale sono disposti a dare qualsiasi cosa. Contro, c’è solo la tradizionale inimicizia

c) continuare a fare “Pierino la peste” sul confine siriano, a Cipro, nelle acque di Leviathan, o con Israele…

Entrambe le ipotesi sono catastrofiche per l’Occidente e prescindono dalla presenza al potere di Erdogan o meno. Ma dubito che questo venga capito dagli stessi analisti politici che tanto sagacemente hanno operato nell’area negli ultimi dieci anni.

Antonio de Martini
Fonte: www.corrieredellacollera.com
18.02.2016


Citazione
PietroGE
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 4107
 

Entrambe le ipotesi sono catastrofiche per l’Occidente e prescindono dalla presenza al potere di Erdogan o meno. Ma dubito che questo venga capito dagli stessi analisti politici che tanto sagacemente hanno operato nell’area negli ultimi dieci anni.

Antonio de Martini
Fonte: www.corrieredellacollera.com
18.02.2016

E quindi? Quale sarebbe l'alternativa, far entrare la Turchia in Europa? Questa sarebbe la vera catastrofe per l'Europa, sembra però, per dirla come nell'articolo, che né i politici né gli analisti politici come de Martini lo abbiano ancora compreso.


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