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Dal PCI berlingueriano al PD renziano. Nel segno della continuità


MatteoV
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Tanto la nostalgia quanto la demonizzazione del passato sono atteggiamenti inadatti a comprenderlo. Se con la prima, infatti, si rischia di mitizzare un periodo trascorso, caricandolo di un valore che storicamente non gli è proprio, con l'altra si proiettano le ansie e le paure tipiche del presente nel passato allo scopo di scongiurarle. In entrambi i casi si tratta di un processo di transfert, più che di una lucida analisi storica, che confonde i caratteri propri di un'epoca con quelli di un'altra. Il problema non è da poco. Lo sguardo retrospettivo non è mai neutro; esso non solo è commisto alle determinazioni ideologiche del soggetto che lo compie, fosse anche il più lucido osservatore, ma spesso è contaminato dai sentimenti che gli sono propri e che sono tipici di quella data epoca dalla quale egli si volta indietro a guardare. Ciò vale in particolar modo per quel passato più prossimo, quello, cioè, che si fa ancora fatica a distinguere dal presente e che in esso trascolora. Questo passato così contiguo interroga direttamente l'attualità, in un modo così chiaro e diretto che spesso è facile confondere l'una con l'altro.
Il trascorso della sinistra italiana appartiene a quei temi che, spesso, per il modo in cui vengono trattati, rivelano più sui soggetti che sugli oggetti della trattazione. Il Partito Comunista Italiano, in particolare quello del periodo che va dalla segreteria di Berlinguer al suo scioglimento e di cui qui ci occupiamo, è per molti versi ancora un oggetto sconosciuto. Ritardo della sinistra in Italia che non è mai riuscita ad adattarsi alla mutata cornice storica, se non troppo tardi, o momento della massima espressione e del massimo traguardo di questa sinistra, inopinatamente interrotto per gli errori grossolani dei suoi ultimi dirigenti; oppure: è stato giustamente interrotto, ma non si è riusciti a porre le basi per qualcosa che ne conservasse il motivo progressista a causa della nascita del PD, il quale ha bloccato qualsiasi tentativo in tal senso; o ancora, la nascita del PD era anch'essa necessaria, la sua conduzione da parte dei suoi capi del tutto sbagliata.
Queste sono, più o meno, le convinzioni più diffuse in merito. Diverse, ma tutte accomunate tra loro dall'idea che la storia italiana degli ultimi decenni (e, forse, nell'opinione dei loro sostenitori, la storia in generale) proceda a balzi e singhiozzi, sia fatta di rotture e virate improvvise, e dipenda in sostanza quasi esclusivamente dalle decisioni di singoli. “Svolta” è, non a caso, una parola che ricorre spesso quando si tenta di raccontare questi avvenimenti. Ma non si afferra che anche queste “svolte” hanno dietro di sé un processo preparatorio fatto di tante altre piccole "svolte" meno visibili.
La storia della sinistra italiana da Berlinguer a Renzi, per quanta differenza possa esserci tra questi due punti estremi se considerati isolatamente, è una transizione continua e graduale, che segue due direttive principali, sempre quelle per tutto questo periodo, e che non contempla brusche sterzate.
Queste due direttive sono: accreditamento presso le potenze straniere e i poteri economici; slittamento dalla questione sociale alla questione morale. A ben vedere queste due direttive possono essere comprese in una sola: fuga dal conflitto o, qualora questo sia inevitabile, sua attenuazione. La seconda direttiva può essere sussunta sotto la prima, la moralizzazione della politica è funzionale proprio alla sanzione della tregua, una tregua da perseguire a tutti i costi – e che infine è divenuta un'alleanza – con i poteri ostili.
A seguito del colpo di stato in Cile... [CONTINUA]


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