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Dallas, la notte che interroga tutti


Tao
 Tao
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Black Lives Matter e le presidenziali. Come osserva Cathleen Decker sul Los Angeles Times, «le crisi che scoppiano durante una campagna presidenziale definiscono i candidati». È così dal 68 in poi. In genere si tratta di crisi internazionali. Questa volta la guerra è in casa

Tante sono le domande, ma una è davvero cruciale: l’agguato e la sparatoria di Dallas rappresentano un episodio molto grave ma circoscrivibile oppure sono l’inizio di una fase nella quale forme organizzate di lotta armata cercheranno d’imporre la loro logica su quella che è stata finora una protesta pacifica contro il razzismo, sempre più ampia e diffusa in ogni parte d’America? #BlackLivesMatter potrebbe essere spinta ai margini da gruppi organizzati armati?

Rispondere in un modo o in un altro significa ipotizzare due scenari molto diversi tra loro, uno dei quali evidentemente molto drammatico. Sta di fatto che, se non è l’inizio di un’escalation «militarizzata» dello scontro razziale in America, la notte di Dallas è sicuramente il punto culminante di una lunga esasperazione senza sbocchi, almeno per una parte non irrilevante degli attivisti di #BlackLivesMatter (Blm), il movimento di protesta nato nel 2013 sull’onda dell’indignazione nella comunità africana americana, e non solo, per il rilascio di George Zimmerman, il vigilante che aveva assassinato il giovane Trayvon Martin, a Sanford, Florida.

È quella parte di Blm che si sente presa in giro, perfino tradita, dalla politica, anche sul lato progressista, compreso lo stesso presidente Obama, pronta a solidarizzare con l’ultimo nero morto ammazzato dalla polizia o da qualche fanatico bianco, pronta a far propri i punti salienti, pochi, semplici, di Blm, per poi volgere lo sguardo altrove, a pezzi di elettorato considerati più influenti e danarosi dei quello africano americano.

C’è un indubbio sovraccarico emozionale in questa percezione estremizzata. La realtà può essere letta in chiave quasi opposta: Blm è andata vistosamente crescendo come peso politico nel dibattito pubblico americano, fino a diventare interlocutore imprescindibile sia di Hillary Clinton sia di Bernie Sanders e fino ad avere una parte di rilievo nella stesura della piattaforma programmatica della prossima convention democratica di fine luglio. Anche a livello locale, Blm è ormai considerato protagonista sociale e politico con cui deve confrontarsi chiunque aspiri a una carica pubblica. Certo, il sospetto – per alcuni certezza – che l’ascolto da parte dei candidati sia effimero e strumentale, legato alla fase elettorale, e che la comunità nera sia comunque condannata, dopo le promesse, a essere tenuta ai margini può essere legittimo.

Eppure la crescita di Blm e la centralità acquisita dal tema razziale sono evidenti, e sono paradossalmente evidenti proprio nel contestuale aumento della violenza nei confronti dei neri. È come se ci fosse da parte di settori della popolazione bianca quasi il terrore di un avvenuto cambiamento dei rapporti di forza sociali, a essa sfavorevole e favorevole ai neri. Molti bianchi si dichiarano, loro, ormai, discriminati, vittime di un cosiddetto reverse racism, un razzismo alla rovescia, in riferimento in particolare alle misure di affirmative action a tutela delle minoranze.

Questo modo di percepire la realtà attuale, nella White America profonda, può essere rilevabile proprio negli atteggiamenti brutali di molti agenti di polizia bianchi, che non sono solo frutto di una seria assenza di training ma riflettono anche una cultura bianca suprematista che, in chi indossa la divisa, lo rende padrone di vita o di morte nei confronti del nero, dell’ispanico, dell’asiatico, come è avvenuto per decenni, per secoli. Oggi con il sovrappiù di odio di chi sa di non poter più disporre di quell’arbitrio.

Il successo di Trump galleggia su questi sentimenti di paura, di rancore e di rivalsa, in un’America non più dominata dal colore bianco. Dallas può essere la spia di una fase egemonizzata, sul versante conservatore e non solo, dal revanscismo incarnato da Trump a cui si vanno già contrapponendo forme estreme di contestazione.

The Donald, commentando in modo per i suoi standard misurato i fatti di Dallas, dice che «la nostra nazione si è fatta troppo divisa». Ed è vero, perché la sua candidatura è un riflesso di questa spaccatura, e ne è oggi l’alimento.

Questa polarizzazione sarà particolarmente evidente nelle giornate di Cleveland, che già promettono scintille, dentro e fuori la Quicken Loans Arena, dove si terrà la convention repubblicana.

Ma è chiaro che la notte di Dallas interroga anche i democratici. Innanzitutto, Barack Obama, che va verso la fine del suo doppio mandato all’insegna di una guerra civile che sembra andare fuori controllo, uno smacco drammatico per un presidente che proprio della riunificazione dell’America divisa aveva fatto la sua bandiera. Hillary Clinton è di fronte a un test che mette alla prova le sua capacità presidenziali, trattandosi di una crisi, quella aperta dai fatti di Dallas, che promette sviluppi complicati in vista delle due convention, di fronte ai quali ogni singola parola e gesto avranno un’enorme ripercussione sull’elettorato.

Come osserva Cathleen Decker sul Los Angeles Times, «le crisi che scoppiano durante una campagna presidenziale definiscono i candidati».
È così dal 68 in poi. In genere si tratta di crisi internazionali. Questa volta la guerra è in casa.

Guido Moltedo
Fonte: www.ilmanifesto.info
8.07.2016


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annibale51
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Anche se il tema razziale ritorna fortemente alla ribalta non bisogna dimenticare che la violenza che si è vista in alcuni filmati da parte della polizia americana lascia senza parole e non è rivolta solo ai neri...non ci sono sostantivi idonei per giustificare certi atteggiamenti (uccisioni) visti anche nei confronti di bambini di 12 anni al parco con pistola giocattolo, portatori di handicap bianchi su una sedia a rotelle in pieno giorno, giovani donne nere e bianche impaurite fermate per controlli documenti, adolescenti neri e bianchi perquisiti nudi e poi colpiti con armi elettriche,... viene da pensare che gli agenti siano semplicemente deficienti! Non so, ma quando li devono assumere selezionano i più STUPIDI? o lo diventano dopo con gli addestramenti? Per giustificare così tanta violenza nei confronti della gente sembra che chi detiene il potere di controllo sulla polizia abbia PAURA. Di cosa avrebbero paura? Cosa sanno? Nel senso di un aumento indiscriminato dell' uso della forza va anche la destinazione per i il prossimo futuro per la polizia di costosissimi mezzi blindati antisommossa.


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istwine
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Lo so che è brutale dirlo, ma i nostri contemporanei sembrano non rendersi conto che di morti ve ne sono quotidianamente in tutto il mondo, per infiniti motivi e più o meno da che esiste l'umanità. Se un bianco uccide un nero non è necessariamente razzismo, è un uomo che uccide un altro uomo. E viceversa. E la verità è che non gliene frega un cazzo a nessuno se non ai parenti e amici, è cinico dirlo ma è esattamente così. Politicizzare ogni omicidio è ridicolo.

Questa follia di etichettare come cripto-razzisti, cripto-fascisti, cripto-qualcosa è un loop, può andare avanti all'infinito, basta sempre accusare qualcuno anche contro ogni evidenza, anche se non ha mai detto nulla a riguardo né ha mai agito in quella direzione. Lo si accusa di essere, sotto sotto, un razzista, anche inconsapevole magari, ma l'inconscio è quello, sotto sotto, sempre più sotto, qualcosa c'è che indica che sia un razzista, fosse anche il colore della pelle. Come per le streghe nel medioevo all'incirca.


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Georgejefferson
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A parte il brutale, e gli stupidi che se ne compiacciono, le barbarie e disgrazie che "esistono da sempre" sono appunto giustamente chiamate, da tantissimi, "barbarie e disgrazie", quindi un "cancro" dell'umanità, non la normalità idealizzata. Che in assoluto ogni caso al mondo (passato e presente) di persona di pelle chiara che ne uccide una di pelle scura non significhi che lo faccia accecato dall'odio pregiudiziale e' una banalità per bambini (a meno che la si usi a scopi demagogici come retorica).

Il fatto stesso di giudicare il mondo , in larga parte, come "barbaro ed incivile", ed empatizzare con le sofferenze a conseguenza, e' la dimostrazione che non e' per nulla vero che "non gliene frega un cazzo a nessuno", a meno che per convincersi ideologicamente che a dimostrazione di cio ci voglia di piangere tutti i giorni e martirizzarsi.

Il becero e infantile menefraghismo tipico di tante persone, non e' un fatto naturale, ma da sempre funzionale al mantenimento del potere costituito, e quindi alimentato dai milioni di agenti del "sacro egoismo dell'unico e sua proprieta" (parafrasando...)

L'eterno (cosi credono) cuscinetto a protezione dello status quo.

E' cinico dirlo, ma e' cosi. Anche ai tempi medioevali (con i suoi mille distinguo) le masse erano aizzate dai demagoghi dell'ordine costituito.

Ammazzare una strega non e' necessariamente dovuto al pregiudizio, ed odio del diverso.
Sicuramente qualche strega cattiva ci sara stata, come sicuramente ci sono oggi i "neri cattivi" che scimmiottano e replicano le barbarie di ogni epoca (non necessariamente solo "bianche").


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istwine
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Anche i demagoghi del dovrebbe essere e dell'astratta condizione naturale però ci son sempre stati, è una bella lotta. Talvolta si parteggia per uno, talvolta si parteggia per l'altro, dipende sempre dalla convenienza.


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Georgejefferson
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Non tutti riducono tutto l'universo mondo alla "convenienza astratta". Ma quasi tutti hanno in testa un "dovrebbe essere", anche i più ciechi conservatori. E' un'altra bella ovvietà.


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istwine
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E cosa non è ovvietà per te, George? Ripeti le stesse cose sempre, ovunque si annidi una frase che somiglia a un giudizio, una cristallizzazione di un qualcosa, arrivi tu a dire "e ma non è così per natura, è imposto". Ok, si è capito. Quello che non si è capito è come sarebbe questa situazione naturale che opponi a quelle calate dall'alto o imposte dall'élite, dalle destre, dai conservatori ecc.


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