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http://www.cdt.ch/commenti-cdt/editoriale/83083/democrazia-diretta-non-direttissima.html

Democrazia diretta, non direttissima

di Giancarlo Dillena (*) - 7 maggio 2013

La democrazia diretta rappresenta un pilastro fondamentale e irrinunciabile del sistema politico elvetico.
Essa non solo traduce il concetto di «volontà popolare» in un’espressione chiara e inequivocabile, ma conferisce nel contempo alle decisioni che per questa via scaturiscono dalle urne un radicamento nel tessuto del Paese che non ha eguali nelle realtà, pur democratiche, che lo circondano.
Ma la sua forza e il suo valore sono profondamente connesse con il suo inserimento in un impianto istituzionale di cui è un elemento, in equilibrio con gli altri, in quel complesso meccanismo di pesi e contrappesi che fanno la qualità e l’efficacia del modello svizzero. In parole povere la nostra democrazia diretta non sarebbe ciò che è se non fosse accompagnata da altri istituti altrettanto importanti per il buon funzionamento del Paese e delle sue molteplici componenti: in primis la democrazia rappresentativa e il federalismo.

È opportuno ricordarlo, in un momento in cui spira, dentro e fuori dei nostri confini, un vento favorevole alle semplificazioni, anche estreme.
Non siamo fortunatamente ancora, da noi, all’esaltazione acritica e totalizzante degli umori che circolano in rete, sommaria traduzione tecnologica del «vox populi, vox dei». O a proposte pasticciate tipo «il Governo del Parlamento», scorciatoia apparentemente ancorata al sistema rappresentativo ma concettualmente figlia dello stesso approccio sbrigativo.

Forse queste cose non si sentono (ancora?) in Svizzera in virtù delle buone prove fornite dal sistema vigente, largamente riconosciute, in primo luogo dai cittadini, che della democrazia diretta hanno un’esperienza concreta, prolungata e storicamente consolidata.
Non di meno una certa «voglia di scorciatoie» circola anche alle nostre latitudini. Si esprime nella enfatizzata contrapposizione, da parte di alcuni, fra i meriti della democrazia diretta da una parte e i difetti, reali o presunti, di quella rappresentativa. Ma anche nel perseguimento di percorsi abbreviati destinati, nelle intenzioni, a dare più voce in capitolo al Popolo, ma tali da mettere in crisi gli equilibri istituzionali e federali.

È il caso dell’iniziativa per l’elezione diretta del Consiglio federale, che avrebbe l’effetto di stravolgere un impianto collaudato e fondato su un complesso di garanzie sensibili.

Intendiamoci bene: non si tratta di demonizzare una proposta e chi la avanza come espressione del tanto vituperato «populismo». In un Paese che si vuole davvero civile e democratico deve essere possibile discutere di tutto. Né si tratta di celebrare acriticamente le virtù di una impostazione, quella odierna, che certamente presenta limiti e problemi (per la verità più per una certa distorta applicazione, che per la sua natura).

Quel che è necessario è un confronto serio di argomenti, che tenga conto di tutti i principali aspetti in gioco. Alla ricerca non del migliore dei sistemi possibili – illusione verso la quale scivolano spesso questi confronti – ma di quello che implica meno risvolti negativi. Si potrebbe dire, per capirsi, del «meno peggio possibile», se ciò non facesse ingiustamente torto a quanti hanno lavorato nel corso della storia, con risultati tutt’altro che disprezzabili, a costruire e far funzionare quella grande e sofisticata macchina che è la democrazia semi-diretta e federalista della Svizzera.

Si può comprendere che, proprio alla luce di questo buon funzionamento, qualcuno sia convinto che una democrazia «semi-direttissima» possa dimostrarsi ancora migliore. Ma è come pensare che siccome il nostro corpo ha bisogno, per funzionare, di una certa sostanza o di una certa funzione, basti aumentarne le dosi per vivere ancora meglio. Tutti sappiamo che non è così; che se si accentua una componente, c’è il forte rischio che ci sia uno scompenso da un’altra parte; che se si dorme troppo un giorno non si riuscirà più a correre, ma anche che se si corre troppo si rischia prima o poi di crollare a terra senza forze.

Si dirà che, con questa logica, ci vuole il bilancino del farmacista per trovare il giusto dosaggio fra i vari elementi. In effetti la democrazia semi-diretta di questo Paese è stata pensata, progettata e realizzata all’insegna del bilancino del farmacista. Questo ci ha forse impedito di vivere le grandiose e drammatiche esperienze conosciute da altre nazioni... con lo strascico di sangue e di lutti che esse hanno comportato

In cambio ci ha permesso di far crescere una democrazia solida e matura. Sempre migliorabile, certamente. Ma con prudenza e costante attenzione ai fondamentali equilibri sulla quale si regge.

--
(*) direttore, "Il Corriere del Ticino"


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