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Ecco le cure che i medici non farebbero mai


Eshin
Famed Member
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Topic starter  

Quando siete davanti ad una diagnosi preoccupante, una procedura invasiva od un’operazione rischiosa, probabilmente la domanda più intelligente che vorreste porre al vostro medico è « Lei che farebbe?»

Dopo anni di esperienza, essi sanno meglio di chiunque altro quali trattamenti e cure vale la pena fare e quali è meglio evitare. Nel seguito dottori di primo piano e ricercatori rivelano cio’ che personalmente eviterebbero; molti di loro sono controcorrente rispetto al sistema. I loro commenti vi sorprenderanno e vi illumineranno

Uno Psichiatra che non assumerebbe mai antidepressivi

La Dott.ssa Joanna Moncrieff è senior lecturer in psichiatria al London University College ed autrice di «The Myth Of The Chemical Cure» [Il mito delle cure chimiche].
«Esercito la psichiatria da oltre 20 anni e nella mia esperienza gli antidepressivi non fanno nulla di buono. Non li prenderei mai in nessuna circostanza, nemmeno se pensassi al suicidio.
Tutta la ricerca mostra che – nel migliore dei casi – gli antidepressivi fanno sentire le persone un pochino meglio di un placebo, ma non significa che di fatto curino la depressione.

Dopo tutti questi anni di scannerizzazione del cervello, non abbiamo una sola prova che la depressione sia collegata ad un qualche squilibrio chimico nel cervello, dunque è discutibile tutta l’idea che noi possiamo trattarla con sostanze chimiche.

Io credo che la depressione è una reazione estrema alle nostre circostanze, ed il modo migliore per riprendersi è elaborare e lavorare sulla causa. A volte questo significa terapie che implicano dialogo, a volte significa modificare le circostanze come per esempio trovare un nuovo lavoro o guardare in faccia problemi relazionali.

Ovviamente ci sono alcune persone che sono depresse senza un motivo apparente, ma comunque non c’è evidenza che essi soffrano di una malattia cerebrale o che gli antidepressivi possano aiutarli. La cosa migliore resta cercare e trovare delle nuove cose che spezzino il cerchio di pensiero e comportamento.

Gli antidepressivi sono delle medicine psicoattive, che alterano la mente come fanno l’alcool o la cannabis ed io ho sempre pensato che se fossi depressa, vorrei conservare tutte le mie facoltà per uscire dallo stallo e non vorrei ritrovarmi ottenebrata da nessuna medicina, i cui effetti in realtà non comprendiamo».

Il dietologo che non seguirebbe una dieta

Il dottor Ian Campbell è l’ideatore di Bodylibrium, un programma di dimagrimento.

L’evidenza è che le diete raramente funzionano a lungo termine.
Ho lavorato per decenni ad aiutare la gente a perdere peso e l’esperienza mi ha mostrato che è che l’unico modo per ottenere un successo sul lungo periodo è chiedersi: «Perché? Perché mangiamo del cibo per consolarci? Perché preferiamo cibi grassi? Perché beviamo troppo alcol e perchè l’attività fisica non ci attira? anti alcolici?».

Quel che veramente aiuta la gente a perdere peso in modo efficace, sono le tecniche che si basano sul modificare il comportamento (simili alla terapia cognitivo -comportamentale), insieme all’impiego di “strategie”, come ad esempio tenere un diario giornaliero di cosa mangiamo e porsi obbiettivi realistici.

Le diete che incoraggiano degli approcci polarizzati, per esempio quelle a basso contenuto di carboidrati, le diete 5:2 o qualunque altro approccio riduzionista, avranno un successo molto limitato nel tempo e alla fine si recupererà il peso perduto».

Cardiologi che rifiutano le statine

Professor Kevin Channer, cardiologo al Claremont Hospital di Sheffield

«Le statine hanno avuto un grande effetto nel ridurre il numero di attacchi cardiaci e infarti ed ora c’è una certa tendenza a dare a tutti queste pasticche che abbassano il colesterolo; ma io non le assumerei nemmeno una senza avere la prova che sono sotto forte rischio: ogni volta che si prende un farmaco, bisogna pensare ai rischi e benefici.

Le statine riducono le probabilità di attacco cardiaco o infarto, nella misura del 30%, dunque sì, c’è un vantaggio. Ma in termini reali è minimo. Statisticamente, quale uomo di 60 anni non fumatore ed in buona salute, il mio rischio di avere in un anno un attacco cardiaco o infarto è dell’1% . Assumendo una statina questo scenderebbe allo 0,70%, che è ancora molto basso. Ed ho passato la mia vita professionale a prescrivere statine, ne conosco gli effetti collaterali: dolori muscolari, debilitazione generale, mal di stomaco.

Alcuni sostengono che andrebbero date quando il rischio è all’1,5%, ma personalmente non prenderei in considerazione di prendere il farmaco se non ad un rischio del 3%. Tutti quelli che hanno avuto un attacco cardiaco od un infarto hanno un rischio del 3% e per costoro il rischio del dolore vale il prezzo del beneficio.

D’altro canto, però, assumerei – e li assumo – farmaci che abbassino la pressione; anche se i miei valori personali sono attualmente al limite e, quale cardiologo, so che invecchiando i valori pressori non potranno che salire e le ricerche dimostrano che più bassa è la pressione, più lunga è la vita.

Alcuni dei vecchi farmaci causavano effetti collaterali, ma ora io ne sto prendendo uno degli ultimi prodotti, che si chiama angiotensina, che blocca i ricettori e non sto avendo problemi».

Specialista della prostata che non fa il test PSA

Richard Ablin, professore di patologia presso l’University of Arizona College of Medicine.

«Quando nel 1970 scoprii il PSA, cioè l’antigene specifico per la prostata, ci rendemmo presto conto che ciò sarebbe stato di grande aiuto per i pazienti con cancro alla prostata. La proteina è specifica della ghiandola prostatica, non si trova infatti in quantità significative in nessun altro organo. Nel caso in cui un soggetto con cancro alla prostata l’avesse rimossa noi possiamo poi testare, grazie alla nostra scoperta, la PSA e verificare se è rimasto parte del cancro non individuato prima.

Purtroppo pero’ il test PSA inizio’ ad essere usato per la diagnosi del cancro alla prostata. Questo è stato un grosso errore: la PSA non è specifica per il cancro, è semplicemente una proteina prodotta dalla prostata; quindi trovarne un alto livello può significare semplicemente che un uomo ha la prostatite (una infezione) o una prostata ingrossata, qualcosa che da problemi ma è di ordine benigno. I livelli “normali” poi variano grandemente da soggetto a soggetto e non esiste una soglia oltre la quale possiamo diagnosticare il cancro in modo affidabile. Il test non può nemmeno fare la differenza tra un cancro prostatico a crescita lenta e uno aggressivo a crescita violenta. E’ come lanciare la monetina: la stessa efficacia.

Nonostante questo, è stato adottato come modo per diagnosticare il cancro alla prostata e, come risultato, milioni di uomini (maschi) sono stati curati eccessivamente e spesso con effetti collaterali altamente debilitanti quanto non necessari. Mi sottoporrei ad un test PSA solo dopo un trattamento per un cancro alla prostata o se fossi a rischio di una malattia per esempio causa famigliarità con essa e vi ricorrerei – a scopo diagnostico – in combinazione con altri test, tipo un esame rettale digitale».

Il Chirurgo ortopedico che evita i raggi X

Chris Walker, chirurgo ortopedico al Liverpool Bone and Joint Centre.

«Troppo spesso, i pazienti vanno dal loro medico perché hanno dolori o sentono rigidità e vogliono che venga fatta qualcosa per questo.. I medici cosi li mandano a fare delle radiografie che possono ogni tanto mostrare dei guai, così finiscono col dire ai pazienti, che hanno l’artrite. Appena sentono questa diagnosi, i pazienti perdono il controllo e cominciano a diventare delle vittime. Prendono degli anti-infiammatori
(che possono avere degli effetti collaterali gastrointestinali), si spaventano all’idea di fare attività fisica e la loro vita in genere si impoverisce in senso lato.

Ecco perché, a meno che non ci siano sintomi allarmanti di artrite – come dolore costante o notturno – io eviterei di far fare delle radiografie.Con l’età la maggior parte di noi ha qualche problemino alle articolazioni: la cosa migliore da fare è fare del movimento. Le giunture amano il movimento, quello che le danneggia sono la corsa ed i salti ma camminare, nuotare ed andare in bicicletta riducono effettivamente il dolore e la rigidità e rallentano il manifestarsi dell’artrite. Mantenendosi attivi si perde peso, cosa che è di grandissimo aiuto, e non si finisce depressi perché si è troppo impegnati con la vita».

Lo specialista di asma che vuole eliminare gli inalatori

Mike Thomas, docente di ricerche nella prima assistenza e specialista in medicina della respirazione e cura dell’asma presso la University of Southampton.

«Molti diventano troppo dipendenti dagli inalatori “della salvezza” e finiscono nel panico se non ne hanno a portata di mano. L’uso quotidiano di questi strumenti, aumenta il rischio di attacchi gravi e gli effetti collaterali degli alti dosaggi di steroidi includono l’assottigliamento delle ossa, la facilità di ecchimosi ed un aumentato rischio di diabete e di pressione alta.
Pertanto, invece di far sì che le persone diventino sempre più dipendenti dagli inalatori, sto collaborando con il Governo in una ricerca che mostri come semplici esercizi di respirazione, combinati al controllo dell’ansia, possano migliorare il controllo dell’asma.
Una volta che i pazienti trovano che gli attacchi di asma diventano meno stressanti, ricorrono meno agli inalatori. Se avessi l’asma, vorrei imparare come gestirla autonomamente, mi interessa aiutare i pazienti a migliorare la qualità della vita e diminuire la quantità di farmaci che prendono».

Lo specialista del sonno che non prenderebbe sonniferi

Dr Guy Meadows, specialista del sonno e fondatore della Scuola del Sonno

«I sonniferi indeboliscono la vostra fiducia nella vostra capacità naturale di addormentarvi e possono finire con il produrre dipendenza psico-fisica. Cominciate col pensare che: “se non prendo una pillola non mi addormenterò”. E così il corpo si aspetta di ricevere un sedativo. In cambio correte così il rischio di avere una insonnia a rimbalzo quando smettessi di prenderli, il che spiega perché così tante persone siano nei guai quando vogliono smettere.

Gli effetti collaterali includono: capogiri, mal di testa, perdite della memoria, senso di rimbambimento. Studi recenti mostrano anche, che i sonniferi sono associati ad un rischio di morte quattro volte maggiore, cosa che per me alla lunga supera il beneficio. La ricerca dice anche che i sonniferi forniscono solo dai 20 ai 30 minuti di sonno in più.

Inoltre il sonno fornito da questi medicamenti, non è né naturale né di ristoro e questo perché alterano l’“architettura del sonno” limitandone la profondità ed interferendo con il sonno REM, necessari per sentirci riposati al risveglio. In alcuni casi, come quando la carenza di sonno è la seria conseguenza di gravi traumi, sono i sonniferi a dare la possibilità di questo recupero fondamentale. Ma non è la condizione nella quale si ritrova la gran maggioranza della gente, per la quale i sonniferi diventano inutili ».

Fonte http://www.dailymail.co.uk – Sintesi e traduzione: Cristina Bassi

http://www.dionidream.com/ecco-le-cure-che-i-medici-non-farebbero-mai/

Gli oncologi si farebbero la chemio?
Dal libro “CANCRO SPA: leggere attentamente le avvertenze prima dell’uso” di Marcello Pamio
ORDINA IL LIBRO

Domanda molto importante, perché è giusto sapere cosa farebbero i medici oncologi - quelli che usano ogni giorno i chemioterapici su altre persone - se avessero loro un tumore.
Nel marzo del 2005 al Senato australiano è stata presentata una “Inchiesta sui servizi e sulle opzioni di trattamento di persone con cancro”, prodotta dal Cancer Information & Support Society, del St. Leonards di Sydney(1).
Secondo tale inchiesta, alcuni scienziati del McGill Cancer Center di Montreal in Canada, inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia nutrissero nelle terapie da loro applicate, nel caso essi stessi avessero sviluppato la malattia.
Risposero 79 medici e 64 di loro non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad un trattamento che contenesse Cisplatino (un chemioterapico molto utilizzato a base di platino). Mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili a causa dell'inefficacia e dell'elevato grado di tossicità (2)!
Un risultato eclatante: l’81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, mentre il 73% di loro reputano addirittura le “terapie sperimentali inaccettabili per l’elevato grado di tossicità”.
Anche se il numero di oncologi intervistati non è molto elevato, ognuno tragga le proprie conclusioni…


Citazione
maxcanoa
Eminent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 27
 

Quando siete davanti ad una diagnosi preoccupante, una procedura invasiva od un’operazione rischiosa, probabilmente la domanda più intelligente che vorreste porre al vostro medico è « Lei che farebbe?»

Dopo anni di esperienza , essi sanno meglio di chiunque altro quali trattamenti e cure vale la pena fare e quali è meglio evita. Nel seguito dottori di primo piano e ricercatori rivelano cio’ che personalmente eviterebbero; molti di loro sono controcorrente rispetto al sistema. I loro commenti vi sorprenderanno e vi illumineranno

Uno Psichiatra che non assumerebbe mai antidepressivi

La Dott.ssa Joanna Moncrieff è senior lecturer in psichiatria al London University College ed autrice di «The Myth Of The Chemical Cure»[Il mito delle cure chimiche].
«Esercito la psichiatria da oltre 20 anni e nella mia esperienza gli antidepressivi non fanno nulla di buono. Non li prenderei mai in nessuna circostanza, nemmeno se pensassi al suicidio.
Tutta la ricerca mostra che – nel migliore dei casi – gli antidepressivi fanno sentire le persone un pochino meglio di un placebo, ma non significa che di fatto curino la depressione.

Dopo tutti questi anni di scannerizzazione del cervello, non abbiamo una sola prova che la depressione sia collegata ad un qualche squilibrio chimico nel cervello, dunque è discutibile tutta l’idea che noi possiamo trattarla con sostanze chimiche.

Io credo che la depressione è una reazione estrema alle nostre circostanze, ed il modo migliore per riprendersi è elaborare e lavorare sulla causa. A volte questo significa terapie che implicano dialogo, a volte significa modificare le circostanze come per esempio trovare un nuovo lavoro o guardare in faccia problemi relazionali.

Ovviamente ci sono alcune persone che sono depresse senza un motivo apparente, ma comunque non c’è evidenza che essi soffrano di una malattia cerebrale o che gli antidepressivi possano aiutarli. La cosa migliore resta cercare e trovare delle nuove cose che spezzino il cerchio di pensiero e comportamento.

Gli antidepressivi sono delle medicine psicoattive, che alterano la mente come fanno l’alcool o la cannabis ed io ho sempre pensato che se fossi depressa, vorrei conservare tutte le mie facoltà per uscire dallo stallo e non vorrei ritrovarmi ottenebrata da nessuna medicina, i cui effetti in realtà non comprendiamo».

Il dietologo che non seguirebbe una dieta

Il dottor Ian Campbell è l’ideatore di Bodylibrium, un programma di dimagrimento.

L’evidenza è che le diete raramente funzionano a lungo termine.
Ho lavorato per decenni ad aiutare la gente a perdere peso e l’esperienza mi ha mostrato che è che l’unico modo per ottenere un successo sul lungo periodo
è chiedersi: «Perché? Perché mangiamo del cibo per consolarci? Perché preferiamo cibi grassi? Perché beviamo troppo alcol e perchè l’attività fisica non ci attira?anti alcolici?».

Quel che veramente aiuta la gente a perdere peso in modo efficace, sono le tecniche che si basano sul modificare il comportamento (simili alla terapia cognitivo -comportamentale), insieme all’impiego di “strategie”, come ad esempio tenere un diario giornaliero di cosa mangiamo e porsi obbiettivi realistici.

Le diete che incoraggiano degli approcci polarizzati, per esempio quelle a basso contenuto di carboidrati , le diete 5:2 o qualunque altro approccio riduzionista, avranno un successo molto limitato nel tempo e alla fine si recupererà il peso perduto».

Cardiologi che rifiutano le statine

Professor Kevin Channer, cardiologo al Claremont Hospital di Sheffield

«Le statine hanno avuto un grande effetto nel ridurre il numero di attacchi cardiaci e infarti ed ora c’è una certa tendenza a dare a tutti queste pasticche che abbassano il colesterolo; ma io non le assumerei nemmeno una senza avere la prova che sono sotto forte rischio: ogni volta che si prende un farmaco, bisogna pensare ai rischi e benefici.

Le statine riducono le probabilità di attacco cardiaco o infarto, nella misura del 30%, dunque sì, c’è un vantaggio. Ma in termini reali è minimo. Statisticamente, quale uomo di 60 anni non fumatore ed in buona salute, il mio rischio di avere in un anno un attacco cardiaco o infarto è dell’1% . Assumendo una statina questo scenderebbe allo 0,70%, che è ancora molto basso. Ed ho passato la mia vita professionale a prescrivere statine, ne conosco gli effetti collaterali: dolori muscolari, debilitazione generale, mal di stomaco.

Alcuni sostengono che andrebbero date quando il rischio è all’1,5%, ma personalmente non prenderei in considerazione di prendere il farmaco se non ad un rischio del 3%. Tutti quelli che hanno avuto un attacco cardiaco od un infarto hanno un rischio del 3% e per costoro il rischio del dolore vale il prezzo del beneficio.

D’altro canto, però, assumerei – e li assumo – farmaci che abbassino la pressione; anche se i mie valori personali sono attualmente al limite e, quale cardiologo, so che invecchiando i valori pressori non potranno che salire e le ricerche dimostrano che più bassa è la pressione, più lunga è la vita.

Alcuni dei vecchi farmaci causavano effetti collaterali, ma ora io ne sto prendendo uno degli ultimi prodotti, che si chiama angiotensina, che blocca i ricettori e non sto avendo problemi».

Specialista della prostata che non fa il test PSA

Richard Ablin, professore di patologia presso l’University of Arizona College of Medicine.

«Quando nel 1970 scoprii il PSA, cioè l’antigene specifico per la prostata, ci rendemmo presto conto che ciò sarebbe stato di grande aiuto per i pazienti con cancro alla prostata. La proteina è specifica della ghiandola prostatica, non si trova infatti in quantità significative in nessun altro organo. Nel caso in cui un soggetto con cancro alla prostata l’avesse rimossa noi possiamo poi testare, grazie alla nostra scoperta, la PSA e verificare se è rimasto parte del cancro non individuato prima.

Purtroppo pero’ il test PSA inizio’ ad essere usato per la diagnosi del cancro alla prostata. Questo è stato un grosso errore: la PSA non è specifica per il cancro, è semplicemente una proteina prodotta dalla prostata; quindi trovarne un alto livello può significare semplicemente che un uomo ha la prostatite (una infezione) o una prostata ingrossata, qualcosa che da problemi ma è di ordine benigno. I livelli “normali” poi variano grandemente da soggetto a soggetto e non esiste una soglia oltre la quale possiamo diagnosticare il cancro in modo affidabile. Il test non può nemmeno fare la differenza tra un cancro prostatico a crescita lenta e uno aggressivo a crescita violenta. E’ come lanciare la monetina: la stessa efficacia.

Nonostante questo, è stato adottato come modo per diagnosticare il cancro alla prostata e, come risultato, milioni di uomini (maschi) sono stati curati eccessivamente e spesso con effetti collaterali altamente debilitanti quanto non necessari. Mi sottoporrei ad un test PSA solo dopo un trattamento per un cancro alla prostata o se fossi a rischio di una malattia per esempio causa famigliarità con essa e vi ricorrerei – a scopo diagnostico – in combinazione con altri test, tipo un esame rettale digitale».

Il Chirurgo ortopedico che evita i raggi X

Chris Walker, chirurgo ortopedico al Liverpool Bone and Joint Centre.

«Troppo spesso, i pazienti vanno dal loro medico perché hanno dolori o sentono rigidità e vogliono che venga fatta qualcosa per questo.. I medici cosi li mandano a fare delle radiografie che possono ogni tanto mostrare dei guai, cosi finiscono col dire ai pazienti, che hanno l’artrite. Appena sentono questa diagnosi, i pazienti perdono il controllo e cominciano a diventare dell
e vittime. Prendono degli anti-infiammatori (che possono avere degli effetti collaterali gastrointestinali), si spaventano all’idea di fare attività fisica e la loro vita in genere si impoverisce in senso lato.

Ecco perché, a meno che non ci siano sintomi allarmanti di artrite – come dolore costante o notturno – io eviterei di far fare delle radiografie.Con l’età la maggior parte di noi ha qualche problemino alle articolazioni: la cosa migliore da fare è fare del movimento. Le giunture amano il movimento, quello che le danneggia sono la corsa ed i salti ma camminare, nuotare ed andare in bicicletta riducono effettivamente il dolore e la rigidità e rallentano il manifestarsi dell’artrite. Mantenendosi attivi si perde peso, cosa che è di grandissimo aiuto, e non si finisce depressi perché si è troppo impegnati con la vita».

Lo specialista di asma che vuole eliminare gli inalatori

Mike Thomas, docente di ricerche nella prima assistenza e specialista in medicina della respirazione e cura dell’asma presso la University of Southampton.

«Molti diventano troppo dipendenti dagli inalatori “della salvezza” e finiscono nel panico se non ne hanno a portata di mano. L’uso quotidiano di questi strumenti, aumenta il rischio di attacchi gravi e gli effetti collaterali degli alti dosaggi di steroidi includono l’assottigliamento delle ossa, la facilità di ecchimosi ed un aumentato rischio di diabete e di pressione alta.
Pertanto, invece di far sì che le persone diventino sempre più dipendenti dagli inalatori, sto collaborando con il Governo in una ricerca che mostri come semplici esercizi di respirazione, combinati al controllo dell’ansia, possano migliorare il controllo dell’asma.
Una volta che i pazienti trovano che gli attacchi di asma diventano meno stressanti , ricorrono meno agli inalatori. Se avessi l’asma, vorrei imparare come gestirla autonomamente, mi interessa aiutare i pazienti a migliorare la qualità della vita e diminuire la quantità di farmaci che prendono».

Lo specialista del sonno che non prenderebbe sonniferi

Dr Guy Meadows, specialista del sonno e fondatore della Scuola del Sonno

«I sonniferi indeboliscono la vostra fiducia nella vostra capacità naturale di addormentarvi e possono finire con il produrre dipendenza psico-fisica. Cominciate col pensare che: “se non prendo una pillola non mi addormenterò”. E così il corpo si aspetta di ricevere un sedativo. In cambio correte cosi il rischio di avere una insonnia a rimbalzo quando smettessi di prenderli , il che spiega perché così tante persone siano nei guai quando vogliono smettere.

Gli effetti collaterali includono: capogiri, mal di testa, perdite della memoria, senso di rimbambimento. Studi recenti mostrano anche, che i sonniferi sono associati ad un rischio di morte quattro volte maggiore, cosa che per me alla lunga supera il beneficio. La ricerca dice anche che i sonniferi forniscono solo dai 20 ai 30 minuti di sonno in più.

Inoltre il sonno fornito da questi medicamenti, non è né naturale né di ristoro e questo perché alterano l’“architettura del sonno” limitandone la profondità ed interferendo con il sonno REM, necessari per sentirci riposati al risveglio. In alcuni casi, come quando la carenza di sonno è la seria conseguenza di gravi traumi, sono i sonniferi a dare la possibilità di questo recupero fondamentale. Ma non è la condizione nella quale si ritrova la gran maggioranza della gente, per la quale i sonniferi diventano inutili ».

Fonte http://www.dailymail.co.uk – Sintesi e traduzione: Cristina Bassi

http://www.dionidream.com/ecco-le-cure-che-i-medici-non-farebbero-mai/

Gli oncologi si farebbero la chemio?
Dal libro “CANCRO SPA: leggere attentamente le avvertenze prima dell’uso” di Marcello Pamio
ORDINA IL LIBRO

Domanda molto importante, perché è giusto sapere cosa farebbero i medici oncologi - quelli che usano ogni giorno i chemioterapici su altre persone - se avessero loro un tumore.
Nel marzo del 2005 al Senato australiano è stata presentata una “Inchiesta sui servizi e sulle opzioni di trattamento di persone con cancro”, prodotta dal Cancer Information & Support Society, del St. Leonards di Sydney(1).
Secondo tale inchiesta, alcuni scienziati del McGill Cancer Center di Montreal in Canada, inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia nutrissero nelle terapie da loro applicate, nel caso essi stessi avessero sviluppato la malattia.
Risposero 79 medici e 64 di loro non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad un trattamento che contenesse Cisplatino (un chemioterapico molto utilizzato a base di platino). Mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili a causa dell'inefficacia e dell'elevato grado di tossicità (2)!
Un risultato eclatante: l’81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, mentre il 73% di loro reputano addirittura le “terapie sperimentali inaccettabili per l’elevato grado di tossicità”.
Anche se il numero di oncologi intervistati non è molto elevato, ognuno tragga le proprie conclusioni…

A prescindere dal fatto che potrei essere daccordo con queste opinioni, mi piacerebbe capire il perche' della faziosita' del titolo.
Ovviamente queste sono le opinioni solo di alcuni medici e tra quelli che hanno fatto scelte piu' radicali.
Quindi qual'e' il pro del titolo? Attrarre piu' lettori? Integralismo naturalista? O che altro.
In un sito come CDC sarebbe bello se il sensazionalismo fosse lasciato sullo zerbino prima di entrare, ce n'e' gia' cosi' tanto in giro per il mondo che mi viene la nausea e tra l'altro, l'incipit inficia la qualita' dell'articolo con relativo effetto boomerang sulla quantita' di pubblico raggiunto.


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Paladino
Eminent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 25
 

Nel marzo del 2005 al Senato australiano è stata presentata una “Inchiesta sui servizi e sulle opzioni di trattamento di persone con cancro”, prodotta dal Cancer Information & Support Society, del St. Leonards di Sydney(1).
Secondo tale inchiesta, alcuni scienziati del McGill Cancer Center di Montreal in Canada, inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia nutrissero nelle terapie da loro applicate, nel caso essi stessi avessero sviluppato la malattia.
Risposero 79 medici e 64 di loro non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad un trattamento che contenesse Cisplatino (un chemioterapico molto utilizzato a base di platino). Mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili a causa dell'inefficacia e dell'elevato grado di tossicità (2)!
Un risultato eclatante: l’81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, mentre il 73% di loro reputano addirittura le “terapie sperimentali inaccettabili per l’elevato grado di tossicità”.
Anche se il numero di oncologi intervistati non è molto elevato, ognuno tragga le proprie conclusioni…

Senza offesa, ma questa parte dell'articolo è molto decontestualizzata e molto male intrpretata. Visto che il questionario si riferiva al tumore al polmone, le risposte mi sembrano sensate, non "anti chemio". Innanzi tutto, il cancro al polmone ha come prima terapia quella chirurgica, alla quale di solito si fanno sguire radioterapia e chemio. Il cisplatino può essere sostituito dal carboplatino, che è meno aggressivo in termini di effetti collaterali (e quasto, secondo me, spiega i 64 su 79). Le terapie sperimentali indicate nel questionario incriminato non sono specificate, magari, essendo sperimentali, per il tumore ipotizzato nel questionario gli specialisti del medesimo avrebbero giustamente usato terapie di provata efficacia.

Comunque, la vera maialata zozza è la conclusione:

Un risultato eclatante: l’81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, etc. etc. ..."ognuno ne tragga le proprie conclusioni"

Le conclusioni che ne traggo sono che chi ha scritto il trafiletto citato (non il membro del forum Eshin, che ha semplicemente riportato quello che ha trovato) è un ignorante e in malafede.
Ignorante perchè c'è tutta una classe di tumori, quelli ematologici come leucemie, mielodisplasie e linfomi, che possono essere curati SOLO con la chemioterapia, la quale per fortuna proprio nel campo delle leucemie ha fatto progressi enormi. Basta vedere il tasso di sopravvivenza alla leucemia di quarant'anni fa e quello attuale.
In malafede perchè ha utilizzato un questionario su una famiglia di patologie specifiche (Tumori polmonari) e con una problematica specifica (che razza di tumore c'era nel questionario? A piccole cellule? non credo proprio, e a che stadio?) per fare una generalizzazione che, se uno è raffinato, può definire non rispondente al la struttura di sillogismo aristotelico, se uno è meno raffinato, potrebbe definire "a cazzo di cane".

Per tutto il resto, dallla psichiatra, al dietologo al cardiologo, eccetera, mi sembra che invece quanto riportato sia sensato, e fa riflettere che sono riportati nomi e cognomi, almeno uno può fare un check delle fonti.


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Rosanna
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 3536
 

Tante cazzate tutte insieme era un po' che non le leggevo ...
ma c'è sempre modo di recuperare

😯


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