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Europa, tra Islam e Americanismo


HarmWulf
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Europa, tra Islam e Americanismo

di Fabio Calabrese

Maurizio Blondet segnala sul sito della effedieffe ( http://www.effedieffe.com/) di aver ricevuto in data 31 marzo la lettera di un lettore di cui riporto un breve stralcio:

“Lei giustamente combatte l’invadenza giudaico-americana, però è portato a sottovalutare drasticamente il pericolo islamico. Tratta sempre gli islamici come dei bonaccioni un poco impulsivi, che - poverini – soffrono tanto e perciò sono da giustificare, per le loro azioni, per i loro pensieri. E’ vero, gli islamici soffrono per mano degli americani, per mano degli ebrei. E tuttavia la loro arroganza sarebbe la stessa, con o senza l’esistenza di Israele.”

Io adesso non riporto la risposta di Blondet che, per parte sua, è in grado di replicare benissimo a chicchessia; quello che mi preme evidenziare, invece, è che questa lettera è un esempio di una certa confusione dell'opinione pubblica sulla questione dei rapporti con il mondo islamico che mi sembra altrettanto diffusa nei nostri ambienti. Il fatto che un certo rinfocolarsi di polemiche a questo riguardo sia stato acceso dal battesimo del signor Magdi Allam, mi sembra un dato in sé trascurabile. Questo giornalista ex islamico ha scoperto che si può fare una bella carriera leccando le natiche giuste, ed a questo riguardo, il fatto che sia o si professi cristiano, mussulmano, buddista o sikh, è del tutto indifferente. Parlando di confusione o di incertezza di prospettive riguardo alla questione islamica nei nostri ambienti, mi pare che si faccia ancora un understatement; diciamo la verità, quando identifichiamo l'islam con l'immigrazione, un'immigrazione incontrollata che rischia di stravolgere le nostre basi etniche, soprattutto di fronte ad una politica demenziale che favorisce gli immigrati a scapito della nostra gente nei posti di lavoro e nell'assegnazione degli alloggi, allora la nostra reazione è di comprensibile, ovvia, ostilità, soprattutto di fronte all'atteggiamento ipocrita della sinistra e della Chiesa cattolica che si sono scordate, o fanno finta di essersi scordate l'aureo detto che “la carità comincia a casa propria”.

Quando invece vediamo le nazioni islamiche che, oggi come oggi, sono le principali vittime ed il principale ostacolo all'arroganza del disegno di dominazione mondiale sionista-americano, soprattutto l'Iran, che tiene coraggiosamente testa al colosso americano, non possiamo provare altro che simpatia, ammirazione e un po' di invidia. Anche noi vorremmo poter tenere convegni sul revisionismo senza che seri studiosi colpevoli solo di aver espresso opinioni finiscano in galera (David Irving) o subiscano attentati su cui la polizia non indagherà mai (Robert Faurisson); anche noi vorremmo che in Italia ci fossero altrettante basi USA quante ce ne sono in Iran, ossia zero. Allora, come si risolve questa contraddizione? Il punto è che prima di stabilire se si debba essere contro qualcosa o meno, bisogna prima avere le idee chiare su per che cosa si è, in difesa o per l'affermazione di quali valori positivi intendiamo agire. Nello specifico, non mi pare ci possano essere dubbi; noi siamo, dovremmo essere con forza e senza tentennamenti da una parte sola, quella dell'Europa, della sua civiltà millenaria, la cui centralità politica è stata distrutta sessant'anni fa dalla più disastrosa guerra della storia umana, e che oggi è minacciata nella sua sopravvivenza come popoli, come etnie e come cultura. Affrontiamo per prima cosa il nodo dell'immigrazione. A mio parere, il problema non è dato dal fatto che una percentuale piuttosto alta degli immigrati (il 70%) sia di religione islamica, il problema è l'immigrazione in quanto tale. Cerchiamo di capire una cosa fondamentale: l'immigrazione significa una crescente proliferazione di non-Europa, di cellule, di enclaves inassimilabili etnicamente e culturalmente nel tessuto della società europea, l'equivalente di un cancro, in maniera del tutto indipendente dalla questione religiosa. Gli obiettivi di chi voglia agire in difesa della civiltà europea e quelli della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane sono radicalmente incompatibili. Se non ci fosse una maggioranza di islamici fra gli immigrati, per le Chiese cristiane, la sostituzione di un “gregge” color caffelatte alla popolazione europea: istruita, laica, secolarizzata e che si va sempre più allontanando dal cristianesimo, sarebbe quanto di più sommamente desiderabile. Per questo motivo l'atteggiamento delle Chiese sull'immigrazione è quanto meno ambiguo: si va dalla paura dell'islamizzazione del nostro continente alla politica dell'accoglienza a braccia spalancate e brache calate. Se cerchiamo di andare alla radice del fenomeno, la spiegazione è relativamente semplice: il “nuovo ordine mondiale” capitalistico, la globalizzazione, che crea in alcune aree del nostro pianeta condizioni invivibili, mentre in altre crea una situazione di declino demografico e di senescenza della popolazione mediante politiche che ritardano l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e penalizzano la formazione di una famiglia e la maternità, e non è nemmeno tanto difficile capire che i beneficiari principali di questo “nuovo ordine mondiale” che condanna a morte l'Europa, sono gli esponenti di quello strato alto-borghese di capitalismo soprattutto bancario e finanziario sostanzialmente apolide che trova negli Stati Uniti la sua mecca ed il suo principale motore politico ed economico, ed in questo quadro il “pericolo islamico” nel Vecchio Continente è semplicemente uno sgradevole effetto collaterale. C'è quella che non è nemmeno un'idea, ma piuttosto una totale falsità, destramente spacciata per un luogo comune, come una banalità talmente ovvia che su di essa non vale la pena di soffermarsi (anche perché se ci si soffermasse su di essa, si rischierebbe di scoprirne la totale falsità e la pericolosità delle sue implicazioni), ossia il presupposto che esista una comune “civiltà occidentale” sulle due sponde dell'Atlantico, l' “occidente giudeo-cristiano” in nome del quale saremmo chiamati a raccolta contro l'islam non – si badi bene – non per contrastare l'islamizzazione dell'Europa portata dall'immigrazione, ma per contribuire assieme al “grande fratello”, al Golia, al Polifemo americano, a schiacciare quei popoli e quelle forze, a cominciare dall'Iran, che ancora si oppongono al dominio planetario americano-sionista. Che “la cultura” americana derivi da quella europea ma in forma talmente ridotta, mutila ed infantile (al punto da non elevarsi, se spogliata del suo involucro tecnologico, al di sopra di quella di una tribù africana delle più primitive), al punto da essere totalmente altra da quella europea, o perlomeno da ciò che la civiltà europea è stata e sarebbe ancora oggi senza sessant'anni di plagio mediatico proveniente da oltre Atlantico, lo sapevamo già, anche se a partire dall'agosto scorso sono venute a ricordarcelo una serie di trasmissioni televisive che hanno commemorato il trentennale della morte della rockstar Elvis Presley, rammentandoci il fatto che una grandissima fetta di americani non riesce a rassegnarsi ancora adesso alla sua dipartita, vuole credere che sia ancora vivo da qualche parte, gli tributa ancora un'adorazione postuma quale ci aspetteremmo per un grande riformatore, un messia, un leader religioso o politico di quelli che cambiano il corso della storia. Vogliamo scherzare? Stiamo parlando di null'altro che di un cantante, non solo, ma del bell'esempio dato da un uomo che ha dissipato la sua vita fra alcool, droga ed abusi alimentari, al punto da lasciare questa valle di lacrime poco più che quarantenne. Questo “culto” c'è davvero da chiedersi in cosa differisca sostanzialmente da qualche “culto del cargo” della Papuasia, dal vudu haitiano o dalla macumba del Brasile. C'è di più, potremmo dire che la “cultura” a
mericana deriva da quella europea come scarto, come escremento, come ciò, precisamente che l'Europa ha espulso da sé riconoscendone l'estraneità rispetto alla sua anima più profonda, è letteralmente l'anti-Europa. Questo punto, d'importanza tutt'altro che secondaria, è stato messo bene in rilievo da un bellissimo saggio di Sergio Gozzoli, L'incolmabile fossato, che fu pubblicato sul numero 19 della rivista “L'Uomo libero” nel 1984 ed è stato recentemente riproposto in internet ( http://www.uomo-libero.com/articolo.php?id=94 ); eccone un piccolo stralcio:

“ E’ proprio ciò che apparentemente unisce i due mondi, quel che in realtà più a fondo li divide: poiché ciò che l'America ricevette dall'Europa negli ultimi tre secoli, facendolo proprio e fondandovi sopra la sua filosofia di vita, è esattamente tutto quello che, pur nato in Europa, l'Europa rifiutava e rigettava. Quello che doveva costituire l'anima stessa del "mondo americano", era proprio tutto ciò che la vecchia Europa "scartava", per una radicale inconciliabilità con la essenza profonda della sua anima civile e storica (...). Calvinismo, capitalismo bancario e industriale, razionalismo filosofico e illuminismo politico, Massoneria, Rivoluzione borghese, pur dopo grossi successi iniziali, furono sostanzialmente sconfitti - nel loro sogno di conquista totale dell'Europa - nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX. E se poterono continuare a coltivare questo loro sogno di vittoria finale, fu soltanto trasmigrando oltre Oceano (...). Tutte le forze … battute e disperse … nella loro marcia verso il cuore delle società europee, trovarono uno sbocco naturale in Nordamerica, dove il vuoto d'ogni terreno storico-ereditario - e quindi d'ogni forza ostacolante - avrebbe loro consentito l'esplosione più libera e l'affermazione più totale. Accadde così che si andò rapidamente formando una società tutta fondata su valori e forze antitetici rispetto a quelli ancor dominanti o emergenti in Europa. Una società in cui il potere politico e culturale fu fin dall'inizio nelle mani dei maggiori detentori di capitali, e, in via immediatamente subordinata, di una classe borghese media - commercianti, industriali, professionisti, armatori, mercanti di schiavi, giuristi, giornalisti – di formazione calvinista, impastata di spirito illuministico, e fortemente infiltrata dalla massoneria”. Si può aggiungere qualcosa di più a quest'analisi pure completa ed impeccabile che vi invito a leggere per esteso, e potete trovare in internet sul sito www.uomo-libero.com

Il giudeo-cristianismo di cui vanno cianciando negli USA, e di cui cianciano i loro ammiratori e leccapiedi non è cristianesimo. Gli Stati Uniti mentono, forse prima a se stessi che al resto del mondo, quando asseriscono di essere una nazione cristiana. Nel XVII secolo, uno scrittore britannico del quale mi scuso di non ricordare il nome, inventò la favola (che fa a pugni con tutte le nostre conoscenze storiche, archeologiche, linguistiche, antropologiche) che gli anglosassoni sarebbero i discendenti delle dieci tribù perdute di Israele. Io non so quanta circolazione questa facezia abbia avuto nelle Isole Britanniche, ma negli Stati Uniti essa è diventata il mito fondante della non-nazione americana che, in assenza di una reale cultura storica ed in presenza di un'ossessione calvinista per l'Antico Testamento, ritiene molto seriamente di essere il “nuovo Israele”. Per questo, vi sono due “ragioni psicologiche” molto forti, al cospetto delle quali la veridicità o la credibilità da un punto di vista storico vanno a farsi friggere: l'auto-giustificazione del genocidio su cui si fonda la nonnazione americana, lo sterminio dei nativi del Nuovo Continente, i cosiddetti pellirosse che gli yankee ritengono sarebbero stati dati loro “in pasto” “da Dio” come gli antichi Cananei ad Israele (5 milioni circa di persone massacrate nel corso del XIX secolo, un genocidio che, come dimensione numerica, non si discostano troppo dal presunto “olocausto”), e la promessa messianica di dominazione mondiale assieme all'Israele antico e rinato nel 1948, che essi ritengono rivolta a se stessi, il cosiddetto “destino manifesto”, di modo che possono autoconvincersi che, tutte le volte che calpestano, distruggono, annientano un altro popolo che si oppone loro, stanno facendo la volontà “di Dio”. Il presidente George W. Bush, ad esempio, è ricorso ad oltranza a motivazioni “teologiche” di questo tipo per far accettare all'opinione pubblica americana l'ingiustificabile aggressione all'Irak che ha determinato nella sfortunata nazione mediorientale la drammatica situazione che tutti conosciamo. Tutto ciò non è cristianesimo, sta completamente al di fuori del cristianesimo, non solo per il fatto “di costume” che le varie Chiese “cristiane” americane dedicano ben scarsa attenzione al Nuovo Testamento, e ci si può chiedere con quale faccia di bronzo ci si possa definire cristiani tenendo in non cale Gesù Cristo e i Vangeli, ma per il fatto “teologico” che se costoro ritengono di rientrare, di essere vincolati nell' “antico patto” contratto da Mosé, allora per loro il Nuovo Testamento è un'appendice irrilevante ed inutile.

La rozza e violenta religione americana non si può definire cristianesimo, è piuttottosto neo-giudaismo la definizione che le conviene. Io non mi considero, e non ci tengo proprio ad essere cristiano, rivendico con fierezza la mia appartenenza alla tradizione spirituale pagana ed europea, tuttavia mi sembra evidente che la “religione” americana rappresenta un'ulteriore degradazione della sacralità rispetto al cristianesimo come comunemente lo s'intende ancora oggi in Europa; a questo riguardo, anzi, trovo ben difficile che la concezione del sacro possa essere ulteriormente abbrutita a livelli più infimi rispetto a quanto avviene oggi in America. Già altre volte, in altre sedi, ma mi sembra opportuno tornare ad insistere su questo punto, ho espresso la mia opinione circa il fatto che se noi possiamo paragonare il dominio americano sull'Europa ad una mutilazione come l'asportazione di un arto, allora il fatto non stabile ma progressivo, dell'americanizzazione della cultura europea attraverso il bombardamento mediatico cui siamo continuamente sottoposti, si può paragonare ad un'invalidità progressiva come una distrofia muscolare od una sclerosi multipla; tale è, a mio parere la progressiva sostituzione delle basi culturali di una civiltà che ha prodotto le opere più elevate dell'ingegno umano nelle arti, nelle scienze, nella letteratura, in tutti i campi, con una “cultura” infantile, volgare, rutilante e fracassona, fatta di sgargianti immagini hollywoodiane, di martellamento sonoro di sterco musicale sparato nelle orecchie dagli MP3, di stupefacenti, di rituali sciamanici di possessione in versione “tecno” nelle discoteche. Sicuramente, poi non ci possiamo stupire del fatto che ai nostri giovani rimbecilliti in questo modo, la scuola non riesce più a trasmettere, né alcuna conoscenza, né – cosa che sarebbe più importante – quella lezione di vita consistente nella disciplina e nell'impegno. Infine, un altro motivo per il quale la presunta contrapposizione fra “Occidente giudeo-americano” e islam è una mistificazione inaccettabile, è il fatto che entrambi hanno pur sempre la possibilità di far valere insieme i loro interessi a scapito, naturalmente, dell'Europa. Un esempio drammatico in questo senso è stato l'intervento della NATO (cane ben addestrato al servizio degli USA, naturalmente) nella crisi della ex Jugoslavia in funzione anti-serba. Le motivazioni sono state probabilmente più di una, compreso il controllo di una zona cruciale per il traffico di armi e stupefacenti, ma fra queste c'è stata con ogni probabilità anche un “pactum sceleris” fra gli USA e gli stati arabi cosidetti moderati: l'isolamento dell'Irak di Saddam Hussein in cambio della creazione di un'area islamica in Europa. Se si guarda la carta geografica, si vede che le aree islamiche nel nostro continente (immigrati a part
e) sono due: una che va dal Bosforo all'Adriatico, comprende la minoranza turca in Bulgaria, l'Albania ed il Kossovo, l'altra, più a nord, la Bosnia. Ad interrompere la continuità di questa scimitarra islamica che punta verso le sorgenti del Danubio ed il cuore dell'Europa, c'è la Serbia, la Serbia eroica e martire di Kossovo Polje, da sempre antemurale dell'Europa contro l'Islam che, con il beneplacito americano, è stata attaccata, mutilata, annientata dalla NATO, dall'UCK, da Al Qaeda. La tragedia serba è un monito per tutti noi soprattutto ora che si è arrivati alla farsa tragicomica della creazione della pseudo-nazione kossovara. Il Kossovo è stato per secoli una regione serba. Qui si trova la località “sacra” di Kossovo Polje dove, ai tempi dell'espansione turca nei Balcani, la migliore gioventù serba si immolò in un eroico tentativo di sbarrare la strada alle armate ottomane. Ai tempi della Jugoslavia comunista, il maresciallo Tito che da buon croato detestava i serbi, vi favorì l'immigrazione albanese, al punto che gli albanesi finirono per diventarvi maggioranza, grazie soprattutto al ben più elevato tasso di riproduzione (so che è triste parlare di esseri umani come se fossero animali da allevamento, ma così stanno le cose) rispetto alla popolazione serba nativa. Oggi il Kossovo è il primo lembo d'Europa dove, con l'appoggio degli USA, gli immigrati hanno avuto il loro stato – islamico – scacciandone i nativi. Siete sicuri che sarà anche l'ultimo? Io credo che nel nostro punto di vista non vi debba essere e non vi sia alcuna contraddizione: la finalità che dobbiamo avere sempre presente è quella della salvaguardia dell'identità europea, ed in prospettiva, della rinascita dell'Europa, quindi, denuncia ed opposizione all'immigrazione, richiesta alla nostra classe politica dell'adozione di politiche ant-immigrazione, perché a prescindere dalla religione degli immigrati, costoro rischiano di soppiantarci come cultura e come etnia, ed opposizione senza compromessi al moloc americano che ci opprime, non cessare di reclamare lo scioglimento della NATO o l'uscita dell'Italia da essa, il ritiro delle basi americane dal nostro territorio. Solidarietà senza condizioni e senza compromessi a chi si oppone alla tirannide mondiale americana: anche qui a prescindere dalla religione. La resistenza palestinese, quella irachena, l'Iran, i Serbi che reclamano la restituzione del Kossovo, i tibetani che si ribellano alla tirannide della Cina comunista, amica e godente della clausola di nazione più favorita negli scambi commerciali con Washington. I resistenti palestinesi ed iracheni sono in massima parte mussulmani sunniti, gli iraniani sono musulmani sciiti, i serbi sono cristiani ortodossi, i tibetani buddisti lamaisti. Questo ci cambia forse qualcosa?


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