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Fallimento di una generazione


Lif-EuroHolocaust
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Come sapete tutti, Alitalia verrà privatizzata. Tale processo verrà compiuto spezzando in due l'attuale società, di modo che il troncone "sano" venga acquistato dalla cordata di compratori italiani (più un probabile partner straniero di minoranza), mentre il troncone "malato" finisca a carico dello Stato (per quanto riguarda i debiti e gli ammortizzatori sociali per i lavoratori in esubero) e di privati (per quanto riguarda gli esuberi stessi, non ancora chiaramente quantificati).

Il concludersi della vicenda Alitalia è in realtà uno degli ultimi episodi riguardanti quello che potremmo definire il fallimento di una generazione. L'Alitalia che diventa "Compagnia Aerea Italiana" è una vicenda sicuramente ambigua, ma la sua ambiguità sta soprattutto sul perchè, negli ultimi dieci anni, non si sia intervenuti per il risanamento. Il precedente governo di centro-sinistra puntava alla svendita della società all'estero. L'attuale governo di centro-destra ha scelto la svendita agli italiani. In mezzo balletti di cifre su costi ed esuberi, con, inoltre, voci di possibili "maggioranze straniere" (se non subito, forse tra cinque anni).

Ciò che manca è qualcosa che permetta di capire compiutamente perchè la società sia arrivata sull'orlo del fallimento e se la differenza d'attuazione della svendita di questo governo, rispetto all'altro, indichi uno scarto significativo. Perchè?

Perchè Alitalia potrebbe essere, come comunque sembra, la prosecuzione dello sfacelo economico italiano, oppure uno sviamento minimo (anzi: microscopico), ma pur sempre uno sviare rispetto ai teoremi fideistici ultrà-liberisti.

Pensiamo a quanto avvenuto negli anni '90 e le privatizzazioni selvagge volute dai governi di centro-sinistra del tempo: deprezzamento opinabile della lira italiana; privatizzazione e svendita di numerose aziende pubbliche, soprattutto all'estero; conseguente indebolimento dell'imprenditoria privata italiana e svendita di molte aziende, sempre soprattutto all'estero; aumento della presenza bancaria privata nel rimanente tessuto imprenditoriale italiano; declassamento sostanziale dell'Italia da punto di vista industriale; ecc. [1]

Gli effetti di tutto questo sono stati il regredire dell'Italia a Paese industrialmente poco competitivo (il fatto che si faccia parte del G8 [2] non cambia le cose: l'Italia di oggi si può barcamenare solo con prodotti di scarsa rilevanza, come tessuti, scarpe, occhiali, cucine e poco altro, senza neanche più la sicurezza, per i lavoratori, di un'industria nazionale). Negli stessi anni, il lavoro italiano ha perso valore, aumentando precariato e bassi salari e diminuendo la sicurezza sul e del lavoro (con aumento delle morti sul lavoro e del precariato e smantellamento dell'idea del "lavoro fisso", a beneficio di certo non dei lavoratori). E' aumentata anche la delocalizzazione all'estero, che, due anni fa, l'allora ministro Tommaso Padoa-Schioppa definiva come "vitale" per la nostra economia [articolo dell'11 novembre 2006 su Euro-Holocaust]. Inutile ricordare anche l'aumento degli arrivi di lavoratori stranieri, ossia di concorrenti in un mercato lavorativo sempre più asfittico.

Le privatizzazioni degli ultimi 15 anni circa, sommate ai mutamenti più ampi e generali, ha prodotto, sostanzialmente, due cose: fuoriuscita di migliaia di lavoratori dal precedente mercato lavorativo (con pensionamenti anticipati o con ricollocazioni) e contrazione dello stesso mercato, ma anche cesura ulteriore tra mondo imprenditoriale e bene pubblico. Le privatizzazioni sono avvenute nel mentre l'opinione pubblica si esaltava per la vicenda di Mani Pulite, illudendosi che gli spiccioli delle (in alcuni casi, presunte) tangenti fossero immagine di una corruzione diffusa e da contrastare. Cosa ci fosse di così mostruoso da contrastare è idea che ci sfugge sempre più: l'Italia era la quinta potenza mondiale e il mercato del lavoro era più sano di oggi (e di domani? Presumibilmente). Inoltre il debito pubblico italiano non era molto maggiore di quello francese e britannico, mentre era enormemente più basso di quello tedesco (frutto questo, certamente, anche della riunificazione tra le due Germanie). Mani Pulite altro non è stata se non il frutto di rivalità tra differenti gruppi.

Nulla di nuovo: la strategia della tensione degli anni '70 rese inerte una generazione, lasciando che gruppi extraparlamentari si massacrassero tra loro e non solo tra loro. Mani Pulite ha impedito di notare che, mentre si lanciavano monetine contro Bettino Craxi, ben altre ruberie venivano effettuate, col plauso di liberisti vecchi e nuovi e nell'indifferenza di tutti gli altri. Oggi, alla vecchia rivalità pro o anti-berlusconiana, si sommano i ragazzini che, come tribù di selvaggi, giocano al fascismo, al comunismo, all'anti-fascismo, ma scimmiottandone solo i simboli superficialmente intesi e finendo per comportarsi solo come teppistelli di strada [3] (ed è grave che troppi genitori e adulti finiscano per associarsi nello scimmiottamento di quei simboli, dandogli valenze politiche che non hanno, invece di riconoscere il carattere di devianza sociale degli atti).

Non raccontiamoci balle: gli ultimi 15 anni sono serviti affinchè l'Italia divenisse un paesucolo buono solo per il turismo (ma anche in questo... vedasi l'exploit della Spagna degli ultimi anni) o per la moda e l'abbigliamento (ma anche in questo... vedasi le solite delocalizzazioni e l'espansione cinese). Si è venduto tutto (ad esempio: la gran parte della vecchia farmaceutica italiana è ora in mani straniere, così come il grosso dei marchi alimentari della grande distribuzione), senza risultati positivi (i prezzi sono complessivamente aumentati per la gran parte dei beni di consumo) [4]. Ovviamente, si troveranno scuse per tutto questo, sintetizzabili in una inadeguatezza "genetica" italiana. Altrettanto ovviamente, nessuno spiegherà perchè l'Italia era una potenza vent'anni fa (ed è ancor oggi tra le prime dieci nazioni mondiali: grazie a quanto fatto allora?) ed ha perso forza proprio a partire da quelle svendite (a concorrenti stranieri) e dall'adesione acritica ai diktat europeisti.

L'informazione che ha dominato in tutti questi anni non ha fatto altro che disegnare l'Italia come nazione corrotta e antiquata (a differenza magari degli USA -la nazione più indebitata al mondo e con i metal-detector nei licei-; del Regno Unito -dove i minorenni muoiono a decine in scontri all'arma bianca con i coetanei-; della Francia, ecc.). Tra le ultime perle, possiamo citare il giornalista Marco Travaglio, che non si occuperà di signoraggio (come lo si accusa giustamente e come lui ammette, senza preoccuparsene), ma ha avuto molto da dire sulle doti delle attrici raccomandate da Berlusconi (un nuovo critico cinematografico?). Ci si lamenta della fuga dei cervelli all'estero, magnificando le solite nazioni estere, ma non ci si domanda quanto alcune di queste nazioni facciano o no per il bene dei propri abitanti "storici" [ad esempio]. Di esempi se ne potrebbero fare numerosi: c'è sempre qualche articolo razzista dalla stampa britannica contro l'Italia che finisce per aver eco qui da noi o qualche presunto caso di corruzione di politici o amministratori pubblici (tanto l'informazione non fornirà dettagli adeguati sui risultati delle indagini). Ricordate il commissario Calabresi: l'Espresso pubblicò una lunghissima lista di intellettuali, giornalisti e cineasti contro il commissario (il quale, non molto tempo dopo, venne assassinato). Qualcuno di voi ha visto simili liste contro imprenditori, italiani o stranieri, accusandoli per le morti sul lavoro avvenute nelle loro aziende? Eppure, come riportato un mese fa circa [5], le morti sul lavoro sono più che non gli omicidi propriamente detti. Ma il Mercato è il dio di quest'epoca e gli imprenditori sono sacerdoti che neanche i "liberi" intellettuali mettono realmente in discussione (tranne rari casi da valutare).

Numerose energie comunicative sono servite a mascherare il triba
lismo italiano e a mistificare il processo di degradazione dell'economia nazionale. Degradazione, ripetiamo, che è data dallo svilimento industriale nazionale, prima ancora che dallo svilimento del lavoro salariato. Potenza industriale e benessere collettivo sono intimamente legati: una nazione industrialmente forte è una nazione che può meglio far valere la sua indipendenza e non sottostare a diktat stranieri. O si hanno molte risorse naturali o si hanno le industrie o si hanno entrambe. A mancare tutte e tre le condizioni non si può che subire (considerando anche che c'è chi subisce pur avendo una di esse). L'Italia, denazionalizzando e privatizzando, si è indebolita, creando anche le condizioni per il degrado dell'imprenditoria medio-piccola, essendo stretto il legame tra questa e l'industria nazionale e i servizi pubblici. Le piccole e medie imprese si sono ritrovate sole, in un'era di globalizzazione creata su misura per alcune nazioni e le loro élite economiche e in un'Italia ormai territorio di conquista straniero.

Tutto questo non è stato analizzato a sufficienza dagli studiosi, nè raccontato da stampa o cinema. Un po' di spazio alle morti sul lavoro e al precariato, ma senza riconoscere il legame tra questi e altri fatti e l'adesione piena all'ideologia globalizzatrice e neo-liberista, di cui le privatizzazioni sono l'atto iniziale. La generazione attuale, definita come Seconda Repubblica e composta da ex di un po' tutto, politicamente e culturalmente, è una generazione di grigi individui, senza idee collettive, senza valori, senza capacità critiche.

Una generazione di pecore, non per una loro vigliaccheria, ma per l'atteggiamento complessivamente gregario: tutti dietro a seguire il pensiero unico ultra-liberista, distruggendo le ricchezze nazionali, la cultura autoctona, e interlacciando genocidio etnico con degradazione del valore del lavoro [ad esempio].

Alitalia forse diverrà l'ennesima azienda italiana che finirà, tra pochi anni, in mani straniere. A quel punto, l'unica differenza con le privatizzazioni del decennio passato saranno gli anni trascorsi a far crollare l'attivo aziendale, trasformando l'azienda in un buco nero per le casse statali. Anche su questo aspetto, ce ne sarebbe da dire: tutti a lamentarsi di questa o quella soluzione (e nessuno, come fa notare Carlo Gambescia -si veda più avanti-, che abbia optato per un risanamento pubblico), ma nessuno che noti come la vicenda Alitalia sembra fatta apposta per convincere, residualmente, quanto il "pubblico" sia peggio del "privato".

In pratica, Alitalia giustificherebbe le privatizzazioni folli degli anni '90. Per chi non vuole aprire gli occhi, ovviamente... Certo, rimane il dubbio che la "cordata italiana", di contro a quella esterofila del precedente governo, possa essere un elemento di scarto. L'attuale governo ha ribadito la volontà di conservare l'italianità dell'azienda, ma si tratta, al momento, solo di parole. I fatti si potranno vedere solo con gli anni a venire. E comunque non cambierebbe necessariamente il fondo delle cose: se la classe imprenditoriale nazionale aderisce pienamente al pensiero unico economicista, allora quello scarto è assai esiguo.

Rimane, alla fine, lo sfondo su cui si muove la vicenda: un'Italia svenduta per seguire una ideologia, col plauso di una generazione intera che blatterava di corruzione e valori, nel mentre che quella svendita riguardava anche la sua stessa vita. Una generazione di falliti. Null'altro.

1. Ricordiamo un testo sintetico, ma chiaro e senza compromessi, su tale periodo: "Il disastro di una nazione - Saccheggio dell'Italia e privatizzazione" di Antonio Venier, edito da Ar [articolo del 17 ottobre 2007, su Euro-Holocaust].
2. Divenuto, in molti mezzi di comunicazione, G7 nel momento culminante della recente crisi russo-georgiana. Eh, la stampa libera... Non che non si siano riuniti, gli "altri 7", contro la Russia, ma il tutto suonava strano.
3. Si vedano i molti casi romani; si vedano anche le rivalità tra anarchici e altri gruppi di sinistra a Bologna; si veda il recente caso norvegese, dove nella città di Uppsala, "antifascisti" hanno affisso taglie contro gli appartenenti da un movimento giovanile definito "nazista"; ecc. Tutti casi che di politico, propriamente detto, non hanno alcunchè. Piuttosto roba da "far west"...
4. Viene quasi il dubbio che l'anti-berlusconismo sia, più che il prodotto della vecchia appartenenza alla P2 dell'attuale premier o per casi di corruzione, per l'italianità delle aziende da lui fondate.
5. Cancelliamo il precedente intervento, essendo quello quasi più una comunicazione di servizio, e reintroduciamo il primo articolo qui di seguito. La questione lì trattata dei "militari sul lavoro" è stata considerata da Peacereporter una provocazione (dopo un interessamento governativo!). Forse bisognerebbe dire... "un gioco". Purtroppo.

http://euro-holocaust.splinder.com/post/18295152/Continua+la+svendita+nazionale


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arblu
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Questo articolo e' costruito su basi propagandistiche e, dunque, partendo da false informazioni.

Le privatizzazioni sono avvenute nel mentre l'opinione pubblica si esaltava per la vicenda di Mani Pulite, illudendosi che gli spiccioli delle (in alcuni casi, presunte) tangenti fossero immagine di una corruzione diffusa e da contrastare. Cosa ci fosse di così mostruoso da contrastare è idea che ci sfugge sempre più: l'Italia era la quinta potenza mondiale e il mercato del lavoro era più sano di oggi (e di domani? Presumibilmente). Inoltre il debito pubblico italiano non era molto maggiore di quello francese e britannico, mentre era enormemente più basso di quello tedesco (frutto questo, certamente, anche della riunificazione tra le due Germanie). Mani Pulite altro non è stata se non il frutto di rivalità tra differenti gruppi.

Innanzitutto il debito pubblico italiano negli anni '90 (ovvero gli Anni di Mani Pulite) non era affatto "vicino" a quelo dell aFrancia e "enormemente inferiore a quello della Germania"


http://wallstreetrack.wordpress.com/2006/10/20/italia-debito-pubblico-rating-problema-dei-dipendenti-pubblici-e-degli-enti-inutili-ovvero-della-spesa-della-pa/

Come si puo' osservare il Debito pubbco italiano in percentuale rispetto al PIL e' passato dal 1984 al 1994 (in meno di dieci anni) dal 75 al 125 % !
In pratica i favolosi "anni '80" sono stati in realta' un vero e proprio SACCO dello Stato Italiano, altro che "l'economia andava bene" come affermato nell'articolo.

Inoltre in Francia negli stessi anni il debito pubblico era meno della meta' di quello italiano.

Se in Italia il grande indebitamento segnò soprattutto gli anni ’80, in Francia è tra il 90 e il 2005 che il debito pubblico ufficiale (Stato centrale e periferia) è passato dal 35 al 66 per cento.

http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1616221204&chId=30&artType=Articolo&DocRulesView=Libero

Mentre in Germania negli stessi anni, avvenne l'unificazione con la l'ex-Germania Est e dunque fu del tutto fisiologico l'aumento improvviso del debito pubblico che comunque non raggiunse ne tantomeno supero' mai quello italiano.

Purtroppo non sono riuscito a trovare uno storico piu' ampio ma gia' da questo grafico si puo' evincere quale dovesse essere la situazione degli altri paesi europei negli anni di Tangentopoli:


http://wallstreetrack.wordpress.com/2006/10/20/italia-debito-pubblico-rating-problema-dei-dipendenti-pubblici-e-degli-enti-inutili-ovvero-della-spesa-della-pa/

Nel 1995 Francie e Germania aveva un debito pubblico pari' alla meta' di quello italiano.
Di conseguenza fu quasi una scelta obbligata puntare sulle privatizzazioni dei carazzoni pubblici italiani.

Che poi in perfetto stile italiano, tali privatizzazioni siano state gestite e realizzate in modo disastroso e' un altro conto.

Mani Pulite fu la naturale reazione di una parte dello Stato (la Magistratura) al livello di llegalita' e di truffe ai contribuenti che aveva raggiunto livelli parossistici e di conseguenza, non piu' sopportabili pena il fallimento dello Stato sotto il peso enorme dei debiti accumulati in poco piu' di dieci anni !


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Lif-EuroHolocaust
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Cito dal già citato "Disastro di una nazione" di Antonio Venier, il quale riporta dati EUROSTAT, non prima di aver specificato la necessaria distinzione tra "debito pubblico interno" e "debito pubblico verso l'estero", il quale è il vero debito nazionale. I dati, al 1994, dicono che il debito verso l'estero era:

per l'Italia: 41,6 miliardi di ECU (1 ECU=1915 lire italiane)
per la Germania: 275,5 miliardi di ECU (ma era già di 80 miliardi nel 1987)
per la Francia: 9,5 miliarsi di ECU

Da un grafico successivo (che non posso al momento riportare), sempre su dati EUROSTAT, la Gran Bretagna aveva nel 1994 un debito verso l'estero superiore a quello francese, pur se un terzo circa di quello italiano. Dati che andrebbero considerati di per loro e non semplicemente confrontandoli: i 40 miliardi italiani erano molti se confrontati rispetto ai 9 francesi o erano molti o al contrario pochi se considerati senza confronti con altre nazioni? Ma per questo ci vorrebbero analisti realmente indipendenti.

Inoltre, riguardo il debito pubblico interno, la caratteristica italiana era la forte presenza pubblica, che inevitabilmente faceva alzare tale debito, a partire dalle voci previdenziali e pensionistiche. Gli altri paesi avevano maggiore presenza privata già allora. Per inciso, a guardare il grafico riportato da Arblu, il debito interno non è vero che "salta" dal 75 al 125% nell'arco di tempo dal 1984 al 1994, ma rappresenta il punto finale di una costante crescita (da valutare). Dal 1994 tale debito interno incomincia a diminuire, ma non in maniera particolarmente brillante (nonostante privatizzazioni, ecc.). D'altronde... "svendendo" non si può pretendere di "sdebitarsi"...

Il punto è: se il lavoro e le pensioni italiane erano più salvaguardate allora, rispetto ad ora e alle prospettive future, perchè le privatizzazioni sono state fatte? E basta con la solita solfa dell'Italia buona a nulla, così come della lagna su Mani Pulite...


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arblu
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Allora vediamo un po' chi e' il Sig. Antonio Venier.

Da una ricerca si Internet e' impossibile sapere qualcosa su questo fantomatico "Ing. Venier". Strano per un autore, ultracitato e apparentemente famoso nella galassia dei siti nazionalisti e neofascisti.

Curioso anche l'anonimia (voluta?) con un celebrato Doge della Serenissima famoso per la sua intransigenza e fedelta' alla legge.

Ma va be' sorvoliamo e analizziamo la sua opera:

Il disastro di una nazione.
E' pubblica dalla AR edizioni di Franco Freda, noto terrorista della destra eversiva neofascista, nazionalista e xenofoba degli anni'70.
Il suo nome compare in molte inchieste sugli attentati di quegli anni ed in particolare compare anche nell'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana e nel tentativo di Golpe del Comandante Borghese (il Principe Nero, ex comandante della Decima MAS repubblichina), del 7-8 Dicembre 1969.
Non c'e' che dire un fonte davvero attendibile e superpartes.

La prefazione del libro e' di...BETTINO CRAXI !
Sarebbe come se Bondi, o lo stesso Dell'Utri, pubblicasse un libro di analisi politica ed economica sui governi Berlusconi e se lo facesse presentare da...Silvio Berlusconi in persona....

Le Edizioni AR sono state fondate dal Freda nel 1963 ed il primo libro pubblicato si intitolava:
"Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane di Arthur de Gobineau"
http://www.edizionidiar.com/francofreda.asp

Bell'esordio davvero, non c'e' che dire!

Tra l'altro nel catalogo di questa casa editrice, sono presenti altri "capolavori" della letteratura mondiale come:

Rudolph Hesse - Storia di quarant anni di prigionia di E.K.Bird

oppure l'imperdibile
Per i Legionari. Guardia di Ferro di C.Z. Codreanu

L'opera completa di Julius Evola,

e udite udite

La battaglia di Berlino, I discorsi sull'arte nazionalsocialista e le Idee sul destino del mondo di A. HITLER.

Si si davvero attendibile non c'e' che dire.


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ha fallito, perchè non a dato hai figli i loro stessi insegnamenti ecco dove ha fallito


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Lif-EuroHolocaust
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Tralasciando le annotazioni su Venier e le edizioni Ar (quali sarebbero le fonti superpartes oggi in Italia?), aggiungo altre considerazioni:

* A proposito di Alitalia, ripetiamo, la sua storia economica è stata sicuramente positiva sino agli anni 70-80. Non si è trattato sempre di un costoso "carrozzone", tanto che a fine degli anni '90 era nuovamente una società sana, dopo aver passato alcuni anni di difficoltà. La vera crisi inizia all'inizio di questo decennio, anche se parte di tale crisi la si può imputare a due errori precedenti: la mancata fusione con l'olandese KLM alla fine dei '90 (quando Alitalia era sana e avrebbe portato alla creazione della più grande compagnia aerea europea, con in più una sorta di sostanziale privatizzazione della parte italiana, essendo il "pubblico" percentualmente meno rilevante) e il problema dell'hub di Malpensa (per cui non si è risolta la creazione di un grande snodo di livello europeo in Lombardia). Questi due errori sono dovuti ad alcuni elementi, principalmente: 1) l'Unione Europea; 2) la politica, anche locale; 3) certo sindacalismo (CGIL, nello specifico). Errori non imputabili, quindi, alla natura "nazionale" e "statale" della compagnia, nè ai dirigenti di allora. L'Unione Europea (la Comunità Europea) ha impedito una ricapitalizzazione realmente pubblica, affermando che lo Stato italiano avrebbe dovuto intervenire alla stessa maniera di un investitore privato. Ossia solo con investimenti puntanti ad un ritorno sicuro e impedendo l'apertura di nuove rotte, l'acquisto di nuovi aerei e l'adeguamento tariffario. In pratica impedendo ad Alitalia di ammodernarsi e, rimanendo sostanzialmente un soggetto pubblico, puntare al reddittivo mercato globale (quello delle rotte internazionali e intercontinentali). La politica nazionale (Governo D'Alema, nello specifico) non è stata capace di portare avanti lo sviluppo dell'hub di Malpensa, facendo scappare l'alleato KLM, mentre la politica locale (milanese e lombarda) ha posto problemi o richieste che ugualmente hanno frenato quello sviluppo (comprendendo la rivalità con lo scalo di Linate). La CGIL, invece, ha di fatto disinnescato le potenzialità della prima fase di privatizzazione societaria, dove ben il 21% delle azioni erano state concesse ai dipendenti Alitalia (di modo da richiedere più impegno lavorativo, senza aumentare il costo del lavoro). Il sindacato, infatti, ha considerato negativamente tale concessione, finendo per bloccare la possibilità, per i lavoratori, di incidere maggiormente sulle scelte aziendali. Sarà, come detto, col nuovo decennio che Alitalia sconterà quegli errori, associandone nuovi, questi sì, riguardanti le scelte e gli sprechi dei nuovi dirigenti (oltre che un periodo di crisi generalizzato). Per una visione complessiva si veda la puntata della trasmissione La Storia siamo noi, intitolata Alitalia come Italia (cliccate sul titolo: nella relativa pagina troverete sia il testo della trasmissione, sia il video della puntata).

* Il titolo della citata trasmissione è interessante per il parallelo che crea: Alitalia è stata rovinata dalle scelte politiche e da quelle dei dirigenti scelti dal mondo politico, ma non dal suo essere statale e nazionale. Può sembrare contradditorio per qualcuno, ma sarete d'accordo nel riconoscere che i governi sono o dovrebbero essere più transeunti rispetto ai piani di sviluppo di grosse società (pubbliche o meno). Con Alitalia, invece, ha vinto la visione corta dei governi italiani degli ultimi due decenni, tendenti ad accontentare le poco chiare richieste europeiste, così come a piazzare ai posti di comando individui parassitari o inetti (colpa che si dividono entrambi gli schieramenti di centrosinistra e centrodestra), così come a scegliere la strada corta del neo-liberismo applicato ai risanamenti, ossia "tagli-tagli-tagli" (e a forza di tagliare, si ridiventa piccoli...). Il parallelo, dicevamo: tutto il nostro precedente intervento sposa quella tesi, secondo cui, appunto, non è il "pubblico" o lo "statale" a creare problemi, ma sono certe scelte politiche, le quali lasciano supporre una eccessiva passività o una fin troppo semplicistica adesione alle volontà europeiste (spesso vantaggiose per alcune Nazioni e loro élites) o all'ideologia neo-liberista e globalista (vantaggiosa solo per le élites anglo-americane).

* Se il problema non è lo Stato, allora il problema sono, come nei fatti è, gli uomini e le idee che essi sposano in concreto, facendo seguire determinate scelte e azioni. Alitalia, ancora esemplarmente, è l'ulteriore prova di un quindicennio politico volto, per lo più, a depauperare la collettività nazionale, seguendo l'ideologia neo-liberista. La svendita ai francesi di AirFrance sarebbe stata svendita proprio perchè avrebbe eliminato una società italiana. Il punto è questo, lo si voglia riconoscere o meno: vendere sempre all'estero, piuttosto che risanare (come si sarebbe potuto fare più volte), significa solo togliere dall'ambito nazionale "luoghi di potere". Lasciare che tutto, pubblico o privato, cada in mani straniere, significa non aver alcuna voce in capitolo nelle scelte. E privatizzazione, in Italia, ha significato questo (come detto: lo si voglia riconoscere o meno). Tutto ciò significa ulteriormente, perdere anche la possibilità di affermare altre idee. Coloro che negli ultimi quindici anni hanno perso tempo a discutere di tutto, tranne che di questo, ossia della possibilità di tenere "qui" e "tra noi" determinate realtà aziendali, mettendo voce solo "noi", altro non è che quella generazione fallita di cui si parlava nell'intervento precedente.

* Quella generazione fallita che ha lasciato svalutare, nel 1992, la lira italiana, nonostante allora non ci fossero "sforature" particolari nella valutazione monetaria nelle varie realtà europee (Italia compresa), nè eccessiva disparità tra import ed export in Italia. Svalutazione che ha alleggerito le riserve monetarie nazionali e di cui hanno beneficiato, guarda caso, i compratori stranieri nelle privatizzazioni successive. Tutti a parlare di alcuni episodi di corruzione interna, ma nessuno a valutare queste ben più ampie ruberie. Tutti a considerare il "debito pubblico" (interno) e non quello "verso l'estero", finendo per non valutare la differente realtà italiana, fondata sul pubblico, rispetto a paesi con maggiori realtà private, ma anche, in alcuni casi, con debiti esteri più ampi (la Germania, gli USA).

* Tornando ad Alitalia, è una soluzione positiva quella dell'attuale Governo? No. E' un'altra privatizzazione che di buono ha il controllo dirigenziale italiano (in quanto italiano, non per i nomi presenti), ma solo quello. Dando uno sguardo agli articoli disponibili, gli argomenti contro l'attuale piano sono abbastanza convincenti, ma difettano di presentare il tutto senza dubbi sulla bontà della precedente ipotesi di vendita ad AirFrance. Il che non cambia di una virgola l'atteggiamento di resa sospetta nei confronti di gruppi imprenditoriali stranieri. Si preferisce la (s)vendita, piuttosto che il risanamento. D'altronde, da una generazione di falliti non ci si può aspettare la maturità necessaria per prendere in mano il destino di una realtà aziendale. E quello che serviva era un risanamento (pubblico), che adesso non potrà esserci, data l'iniqua idea della bad company, e non una roba poco chiara come quella attualmente in essere.

http://euro-holocaust.splinder.com/post/18320497/Continua+la+svendita+nazionale


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