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Gli interessi degli Usa nella crisi greca


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Chapeau di fronte alle autorità cinesi, loro sì che sanno come funziona il "libero" mercato. Dopo una serie di crolli che aveva fatto bruciare il 30% dei guadagni alla Borsa di Shanghai in tre settimane, governo e Banca centrale di Pechino hanno preso in mano la situazione. In effetti, ci avevano provato già da una decina di giorni, ma non aveva funzionato, nonostante avessero messo in campo quanto segue: bando di vendita per sei mesi per chi detiene un pacchetto azionario superiore al 5%; congelamento delle contrattazioni di oltre 1500 titoli azionari; blocco delle redemptions da parte dei fondi, obbligati a investire sul mercato; blocco dei collocamenti; riduzione delle commissioni sulle transazioni; bailout quotidiano delle autorità di prestito; riduzione dei margini di requisito; aumento forzato dei buybacks azionari e, ovviamente, propaganda a tappeto sugli organi di (dis)informazione del regime. Niente da fare, i crolli proseguivano. Ieri, invece, il colpo di genio liberale, roba da Scuola austriaca di economia: il ministero dell'Interno minacciava di arresto i ribassisti, gli short-sellers. Detto fatto, Shanghai ha chiuso a +5,79% e Hong Kong a +3,73%! Cosa ci vuole, basta arrestare chiunque sia sul mercato e non compri e il rally è assicurato! Come mai la Fed non ci ha pensato prima, invece di spendere triliardi in cicli di Qe! 

E attenzione, l'ironia nelle mie parole c'è, ma fino a un certo punto, perché prima che le autorità rendessero noti i nuovi poteri conferiti alla polizia, Shanghai perdeva il 3,8%, ai minimi da quattro mesi, salvo poi chiudere al massimo da marzo 2009! A Borse aperte si minaccia di arresto chi vende! Dire che si tratta di qualcosa di vomitevole è dir poco, un colossale casinò basato sul debito e gestito da uno Stato che incarcera chi vende titoli o cerca copertura dai cali! Certo, sul breve termine funzionerà ma sul lungo, se nessuno verrà davvero arrestato, servirà a mantenere in vita un truffaldino e disfunzionale schema Ponzi da oltre 8 triliardi di dollari di capitalizzazione? Stiamo parlando di un mercato dove si fanno sospendere titoli azionari soltanto per evitare che vengano venduti o perché, peggio, le aziende hanno prestiti con le banche legati proprio a quei titoli e sono gli stessi istituti di credito a volerli liquidare, aumentando la schiera dei margin sellers. 

Di più, alcuni prestiti bancari sono stati estesi con titoli azionari di aziende quotate come collaterale. È la stessa logica che ha attanagliato le aziende energetiche Usa dopo il crollo delle valutazioni del greggio, solo che negli Usa quei produttori hanno potuto coprirsi con l'hedging dei derivati sul prezzo al barile e sono ancora in vita, in Cina se ci provi finisci in galera! È sempre la stessa storia, finché le cose vanno bene la speculazione è ben gradita perché fa salire ancora di più i corsi, appena la bolla scoppia è tutta colpa della speculazione. Se penso che questa gente sta facendo shopping di banche e aziende anche in Italia, oltre che in mezzo mondo, mi sento male. 

Ma veniamo alla questione greca, nell'attesa che domenica il 9437mo Eurogruppo sul tema arrivi a una soluzione. Lo scontro in atto appare chiaro, chiarissimo. Mercoledì sera Christine Lagarde, capo di quel Fmi che con il suo irrigidimento ha fatto precipitare la situazione, ha detto chiaro e tondo che la Grecia ha bisogno di una ristrutturazione del debito, di fatto andando in contrapposizione con il fronte della rigidità del trio Merkel-Tusk-Juncker. Ieri, invece, Mario Draghi, gran capo della Bce, ha detto che il Grexit è difficile da evitare e che ci sono «dubbi senza precedenti sulla possibilità di salvare la Grecia dalla bancarotta». Insomma, tanto per cambiare in ballo non ci sono i greci e il loro destino, ma il dollaro e gli interessi Usa legati alla moneta, visto che un default o peggio un'uscita della Grecia dall'Ue spedirebbe l'euro in parità nel cross con il biglietto verde e Washington questo non può permetterselo, sguinzagliando quindi il suo pittbull all'attacco, oltretutto guidato da un'europea, tanto per non destare sospetti. 

È dell'altro giorno, infatti, il dato in base al quale il deficit commerciale americano è aumentato in misura contenuta a maggio. Stando al Dipartimento del commercio, il deficit è aumentato del 2.9%, a 41,87 miliardi di dollari, dato destagionalizzato, contro una previsione degli esperti di 42,5 miliardi di dollari. Le importazioni sono diminuite dello 0,1% a 230,47 miliardi di dollari, mentre l'export è calato dello 0,8% attestandosi a quota 188,6 miliardi. In aprile il deficit si era attestato a 40,70 miliardi (dato rivisto al ribasso dai 40,88 miliardi della prima stima) e contro i 50,57 miliardi di marzo, mentre per quanto riguarda la media mobile dei tre mesi, il deficit è stato pari a 44,38 miliardi di dollari in maggio, il 2,8% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. 

La media mobile trimestrale sul deficit segnava 44,38 miliardi di dollari a maggio, in aumento del 2,8% per lo stesso periodo dell'anno precedente. Il dollaro si è apprezzato nei confronti di molte valute straniere nell'ultimo anno, rendendo l'export a stelle e strisce meno competitivo e più convenienti le importazioni. Infatti, il valore nominale di queste ultime è aumentato dell'1,9% dal 2014, nonostante i prezzi più convenienti. Gli economisti non si aspettano che il rallentamento dell'export si protragga in maniera così importante anche nel secondo trimestre, nonostante una debole domanda estera, alimentata, in Europa, dalla crisi del debito greco e in Asia dal rallentamento della crescita cinese. 

Come dichiarato dal presidente della Fed, Janet Yellen, «gli Stati Uniti hanno un'esposizione molto limitata verso la Grecia», precisando, però, che «finché ci sono ripercussioni sull'economia dell'area euro o sui mercati finanziari mondiali, ci saranno indubbiamente delle ricadute negli Usa che influenzeranno anche le nostre previsioni». A maggio le esportazioni verso l'Europa sono diminuite dello 0,8% (dati non destagionalizzati), mantenendosi in crescita dell'1% nei precedenti cinque mesi rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre le importazioni dal continente europeo sono diminuite del 2,8%, contro un aumento dell'1,2% nello stesso periodo del 2014. Inoltre, gli Stati Uniti hanno registrato il primo surplus commerciale nei confronti del Canada, quando l'ultimo risaliva al 1990. 

Insomma, tocca fare qualcosa. E, guarda caso, nel giorno in cui Wall Street chiudeva le contrattazioni telematiche sul Nyse per oltre quattro ore per un non meglio precisato guasto tecnico, la Fed rendeva note le minute della riunione del Comitato monetario del 16 e 17 giugno scorsi e magicamente la parola "Grecia" compariva come motivo di preoccupazione per le sue ricadute, tanto da diventare il principale argomento di criticità e quindi il principale catalizzatore per un ulteriore rinvio del rialzo dei tassi. E qui c'è ancora qualcuno che pensa che in ballo ci sia davvero il futuro dei cittadini greci. In compenso, Atene ha soldi fino a lunedì e sempre fino a lunedì le banche resteranno chiuse. 

Eppure, qualcosa propende per una soluzione positiva, come ci mostra il primo grafico a fondo pagina: la Grecia, nonostante tutto, riesce ancora a fare roll-over sul suo debito a breve termine, visto che da febbraio a oggi - inclusa quella di mercoledì - tutte le aste di bills hanno attirato domanda per 1,3 volte l'ammontare delle securities offerte, con il rendimento a sei mesi fermo al 2,97% dallo scorso marzo. Più reddito fisso di così, si muore! Ma chi compra quel debito? Certamente hedge funds, desiderosi di trade rischiosi ma che fruttano, ma soprattutto le banche greche! 

Per Christoph Rieger, capo del reddito fisso a Commerzbank, il ragionamento è lineare: «Le banche si farebbero del male da sole non comprando quei titoli a breve, perché innescherebbero un default sovrano». Solo mercoledì la Grecia ha ven
duto bond a breve scadenza per un controvalore di 1,625 miliardi di euro, mentre 2 miliardi andranno a scadenza oggi: certo, sono solo roll-over ma qualcosa dovrebbe farci capire che quello in atto non è un dramma ma una farsa in piena regola. Visto che quelle stesse banche che comprano debito greco per non mandare lo Stato in default sono mantenute letteralmente in vita dai fondi Ela della Bce, la quale solo ora ha alzato i requisiti sul collaterale, ovvero chiede più carta igienica ellenica per fornire liquidità. 

Il problema è che così facendo si riempie ancora di più di titoli che valgono zero, per un semplice motivo ed è quello che ci mostra il secondo grafico: i bond bancari greci sono alla strage ed è questo l'unico vero indicatore da guardare per capire davvero lo stato di salute ellenico, non il contagio sui periferici o peggio i corsi dello Standard&Poor's 500. Un capolavoro di imbecillità, reso possibile dalla fattiva collaborazione di levantini ellenici e teste d'uovo europee. 

Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net
Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2015/7/10/SPY-FINANZA-Gli-interessi-degli-Usa-nella-crisi-greca/3/623647/
10.’7.2015


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