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Grecia. Il referendum promosso e rimosso. Una riflessione


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Credo che meriti attenzione il referendum che intendeva indire Papandreou, che ha scandalizzato sia per essere stato prospettato sia per essere stato disdetto. Perché squaderna in suoi termini esatti quale sia e cosa comporti lo status di membro dell’Ue. Sembrava del tutto legittima la sua iniziativa. La Costituzione greca (art. 44) prevede infatti che si ricorra al referendum se a proporlo è il Consiglio dei ministri e lo decida la maggioranza assoluta dei deputati per “gravi questioni nazionali”. Così come se a richiederlo siano i 2/5 dei deputati su un legge, votata dai 3/5 del plenum della Camera dei deputati (è unicamerale il Parlamento greco) che riguardi “un importante problema sociale”. È fuori di dubbio che ricorra l’una e l’altra ipotesi nella decisione sul piano di austerità imposto alla Grecia dalla Commissione europea, dalla Bce e, sostanzialmente, dalla diarchia Merkozy. L’annunzio di Papandreou ha però scandalizzato Merkel, Sarkozy e tutti i guardiani dei principi, delle norme dei Trattati europei e degli atti che ne applicano le disposizioni. La protesta è stata fortissima, violenta, argomentata e munita di decisivi strumenti di persuasione. Papandreou ha mollato. Il referendum non ci sarà. Lo scandalo della promozione è sanato dallo scandalo della rimozione. Chi aveva visto nel referendum l’inizio di una risposta politica all’irresistibile offensiva della finanza, la possibilità che la democrazia potesse dare qualche segno di vita destandosi dalla narcosi praticatale dall’ideologia capitalistica, si domanda se c’è oggi un limite alla dominanza del neoliberismo globale.

Si può rispondere. Un limite, e anche più, c’è stato. Un’efficace neutralizzazione, non risolutiva, certo, ma incisiva, dell’assolutezza del potere del capitale era pur stata disegnata. Il movimento operaio e democratico, assumendo e rinnovando il costituzionalismo, l’aveva incorporata nelle Costituzioni del Novecento. Proprio in quelle Costituzioni che sono state avvolte, qui in Europa, dalla cappa asfissiante dei Trattati europei, dall’Atto unico a Maastricht, fino a Lisbona e che hanno avuto come obiettivo proprio la normativizzazione dell’ideologia neoliberista, con la compressione dei diritti sociali e lo svuotamento delle conquiste di civiltà raggiunte a metà del secolo scorso. Al di là delle tante e vuote declamazioni, hanno elevato «il principio di una economia di mercato aperta ed in libera concorrenza» a fondamento supremo ed a compito inderogabile dell’Ue (artt. 119 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Ue).

A scandalizzarsi prima e ad imporsi poi, il duo Merkozy ha avuto dalla sua parte il Trattato sull’Ue. Sì, quello vigente, che al suo art. 4 riconosce agli stati membri «qualsiasi competenza non attribuita all’Unione». Istituendo però l’Unione «economica e monetaria, la cui moneta è l’euro», tale Trattato ha sottratto agli stati le competenze relative, le ha deferite all’Ue. È entrata così nelle attribuzioni esclusive delle istituzioni dell’Ue quella materia sulla quale Papandreu pretendeva di far decidere il suo popolo. Un tentativo onesto ma maldestro di sfuggire agli obblighi derivanti a quel popolo, come agli altri, dall’adesione all’Ue con la connessa cessione della competenza sovrana sull’economia e sulla moneta. Lo scandalo è in questa cessione di sovranità a favore di istituzioni costruite per rispondere ai soli dettami di una ideologia, quella neoliberista. Lo scandalo è nei Trattati, è nella costruzione istituzionale che disegnano e che sancisce l’esalazione della democrazia. Quando furono redatti e ratificati fummo pochi, troppo pochi ad opporci.

Il problema della democrazia in Europa, della liberazione della condizione umana dal neoliberismo, continentale o globale che sia, va affrontato nella sua interezza, per come si presenta oggi, che molte delle istituzioni tradizionali risultano o logorate o mistificate o esaurite e quelle che sembrano emergere dalla società non riescono a utilizzare il lascito delle esperienze maturate.

Gianni Ferrara
Fonte: www.ilmanifesto.it
9.11.2011


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