Hitler aveva torto ...
 
Notifiche
Cancella tutti

Hitler aveva torto o ragione?


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 33516
Topic starter  

«Se i ricchi riducono sempre i poveracci in schiavitù rimane ancora da chiedersi: Hitler aveva torto o ragione?»

«Ma non doveva arrivare alle 16?». Sorpreso do un'occhiata all'orologio: «Ma sono le 16 e 05. Sa, il traffico». «Certo, il traffico, come no! - fa lui seccato - Venga, venga che ho poco tempo, iniziamo questa intervista». Giorgio Bocca è così: burbero e bonario, attraversato da un indomabile "sgarbo piemontese". Ma quella ruvidezza si dissolve appena inizia a raccontare la sua vita, a pescare tra i ricordi di un'esistenza che ha attraversato i decenni decisivi di questo Paese.
E allora, d'improvviso, ti ritrovi catapultato tra le montagne del cuneese, le sue montagne, le montagne della guerra partigiana; oppure impantanato negli anni di piombo, «quei duri, viscidi anni di piombo». Con Bocca dai anche una sbirciatina tra i segreti della casata degli Agnelli dove Gianni, «l'efebo ambiguo del capitalismo italiano», si affidava ai modi spicci di Valletta, il ragioniere, il reggente che tenne in piedi la Fiat a suon di bustarelle e lettere di avvertimento alle mogli degli operai che in fabbrica votavano per la Fiom. Insomma, ogni parola pronunciata da Giorgio Bocca è un tuffo nel cuore degli eventi, ogni ruga che solca quel volto da montanaro ostinato è un marchio indelebile di quelle stagioni.

Ma sopra a ogni cosa c'è il giornalismo: l'anello di congiunzione della sua vita; e l'antifascismo: il filo rosso che ha dato ordine al mondo che si è ritrovato a vivere. Un antifascismo che per Bocca non significa caos e libertà totale: «Vede - dice - io sono un conservatore, un uomo d'ordine. Del resto anche per i comunisti la rivoluzione non era il disordine ma un nuovo ordine più giusto e democratico».
Seduto nello studio della sua bella casa milanese, sommerso da note, appunti e tomi impilati, Bocca è impegnato a scrivere un nuovo libro. «Non so fare altro - ammette - mia madre, maestra elementare mi ha tramandato il culto della scrittura, mi spediva lettere bellissime, un italiano perfetto. E allora, quando dopo la Resistenza mi hanno chiesto se volevo fare il sindaco o il questore, io ho risposto che avrei voluto scrivere, fare il giornalista a "Giustizia e libertà", l'organo del Partito d'Azione».
Già, Giustizia e libertà, la formazione partigiana della borghesia piemontese nata intorno alla figura di Duccio Galimberti, l'avvocato, l'antifascista cuneese che ha allevato la meglio gioventù degli anni '40 e che si è ritrovato in montagna a combattere contro i nazi-fascisti. E tra quei ragazzi che salirono in montagna c'era anche Giorgio Bocca. Anche lui, poco più che ventenne fece quella scelta di libertà totale, «la libertà di ciascuno di noi dal fascismo, certo, ma anche dal perbenismo piccolo-borghese, dal provincialismo, dal denaro e dalla famiglia».

Poi arrivò «la meravigliosa primavera del '45», arrivò il 25 aprile. «Ci disarmarono», ammette Bocca. Ma disarmare è diverso che deporre le armi volontariamente. «Certo, ci costrinsero a deporre i fucili: quando hai un rapporto così stretto, intimo con le armi, quando gli affidi la tua sopravvivenza e quella dei tuoi compagni non è mica facile lasciarle. E poi non ci fidavamo mica - continua Bocca - La democrazia era appena nata, nessuno di noi era sicuro che il fascismo fosse definitivamente sconfitto».

Una democrazia che ancora oggi Bocca vigila con i suoi occhi diffidenti: «Il fatto è che i ricchi, i potenti, hanno e avranno sempre la tentazione di ridurre i poveracci in schiavitù, di rinchiuderli nei campi di concentramento. La domanda, in fondo è sempre la stessa: Hitler aveva torto oppure ragione? In fondo lui, rappresentate dei Paesi ricchi, ha provato a dominare i poveri, gli ultimi del mondo. Grosso modo quel che accade oggi: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri».

Eppure, in Italia ci sono stati grandi e importanti movimenti per la democrazia e la giustizia sociale. Il Partito comunista italiano, per esempio, per tanti anni ha rappresentato e dato voce agli ultimi. Giorgio Bocca accenna un sorriso. I comunisti. Un rapporto di odio e amore il suo. Odio e amore reciproco, s'intende. Tanti "compagni" non gli hanno mai perdonato quella sua biografia al vetriolo su Palmiro Togliatti, sul "Migliore". Ma tanti, tantissimi, gliene sono eternamente grati. Alla fine Bocca passa la mano sul volto, stringe gli occhi come a cercare l'idea giusta e attacca con quella sua voce profonda, pacata: «In fondo - dice - i dirigenti italiani che tornavano dalla Russia si sono salvati proprio grazie allo stalinismo. Di fronte a quella dittatura così feroce si sono fatti carico di difendere i principi della libertà e della democrazia».
E se col Pci il rapporto fu contraddittorio, con il '68 fu di diffidenza reciproca se non di malcelata ostilità. Ancora oggi Bocca nasconde a stento il biasimo, quasi il disprezzo per quei «figli della borghesia che recitavano la rivoluzione». «Pensavano che la politica fosse una festa», ammette schietto. «Non è così, la politica è una cosa seria». Ma «quella commedia finisce nel tragico la sera del 12 dicembre 1969». «Avevamo capito subito cosa era successo a Piazza Fontana», racconta. «Fu una constatazione elementare, i complotti li facevano i prefetti e i questori. Era chiaro come il sole da dove venisse l'esplosivo di quella strage».

Del resto, ne "Il provinciale", la sua bellissima autobiografia, Bocca racconta del colloquio con Pietra, l'allora direttore de Il Giorno che gli affidò il pezzo di cronaca sulla strage alla banca dell'Agricoltura: «Scrissi che Piazza Fontana era una strage di Stato. Pietra lesse il mio pezzo e domandò: "Ma secondo te le bombe qui a Milano e a Roma chi le ha messe?". I carabinieri risposi».

E siamo agli anni di piombo, siamo ai brigatisti rossi con i quali quale Bocca ha instaurato un altro rapporto contraddittorio. Sarà stata per la scelta drammatica, tragica, definitiva di quella gioventù disperata, ma Bocca è stato di certo più "indulgente", con i vari Moretti, Franceschini e Curcio, che non con quei ragazzini che nel '68 secondo lui "giocavano a fare i rivoluzionari". «Io volevo capire, comprendere la scelta di quei ragazzi. Erano trattati come demoni, e demonizzare non aiuta a capire. Quando uccisero Carlo Casalegno, mio amico e vicedirettore de La Stampa, ne fui molto colpito, ma questo mi spinse ancora di più a cercare, a comprendere cosa volessero i brigatisti». Bocca rimase garantista fino in fondo, era contrario alle leggi d'emergenza: «Il mio giornalismo poteva apparire ambiguo e forse lo era, ma capivo che una democrazia debole come la nostra non sarebbe passata indenne per l'emergenza e il suo rigore». Eppure Bocca fu anche tra i bersagli delle Br, «dopo Tobagi sarebbe toccato a me e a Giampaolo Pansa. Ebbi come un giramento di testa - racconta ancora Bocca - con il padre di Morandini, uno degli assassini di Tobagi, avevo lavorato per anni a Il Giorno e con sua madre avevo fatto amicizia al Circolo Turati».

Ma questo è solo il passato. A ottant'anni suonati Bocca non rinuncia certo a tuffarsi nel presente, a descriverlo e sezionarlo senza sconti. A cominciare dalla sinistra che secondo lui rischia di abdicare al suo ruolo storico. «C'è un gran parlare di produzione, tra qualche anno saremo senza acqua ed energia e la ricetta, l'unica sul tavolo della sinistra, è quella della produzione e dei consumi. Il fatto è che l'appello di Berlinguer sull'austerità è ancora del tutto attuale. E la sinistra si è scontrata proprio su questa questione. La base del Pci ha risposto male, malissimo alla proposta di Berlinguer. Nessuno aveva voglia di stringere la cinghia. La società dei consumi ha trionfato e siamo destinati all'implosione. Alla fine qualcosa dovrà succedere».

Nel frattempo è nato il Partito democratico. Giorgio Bocca ha come un sussulto e si riprende subito la parola: «Il Pd, come no. I dirigenti non hanno saputo tene
re unita la sinistra. Io non ci credo mica al mito della sinistra radicale che non sarebbe in grado di governare. Certo, governare è obiettivamente difficile, ma lo sforzo doveva essere quello di tenere in piedi un'alleanza. Non capisco perchè Veltroni abbia scelto la strada della divisione».
Poi l'emergenza sicurezza, il tema del momento, e la grande fabbrica della paura che ha consentito a Berlusconi di trionfare nelle ultime elezioni. «Un'invenzione - sbotta Bocca - questa della sicurezza è un'invenzione agitata come uno spauracchio per prendere consensi. L'Italia non è mai stata così sicura. Ricordo quando ero ancora un ragazzo di provincia quello che succedeva: accoltellamenti, vere e proprie battaglie tra fazioni erano all'ordine del giorno».
Il "provinciale", alla fine della chiacchierata ti saluta cortese. Ad attenderlo un nuovo libro dove i ricordi del passato si confondono con il presente.

Davide Varì
Fonte: http://www.liberazione.it/
27.06.08


Citazione
WONGA
Eminent Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 35
 

Giorgio Bocca è firmatario del manifesto della razza,prima fascista convinto,poi quando ormai era chiara la sconfitta fu uno dei tanti voltagabbana e divenne un antifascista dell'ultim'ora.
Questa è un classico esempio di intervista in ginocchio,per la santificazione dell'intervistato.
Giorgio...Giorgio faresti meglio a chiudere la bocca.
Comunque per la cronaca nel terzo reich,economicamente si stava tutto fuorchè male adesso non so se posso dire lo stesso.


RispondiCitazione
Condividi: