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I giorni di Matteo “il Pazzo”


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I giorni di Matteo “il Pazzo” nel bunker, come Riccardo III
PSICOPOLITICA - LA CINICA FOLLIA DELL’EX PREMIER

di Fabrizio d’Esposito

Nove giorni di cinica follia, fino alla presunta frenata di giovedì scorso. Una crisi esplosa pochi minuti dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Mercoledì 25 gennaio. L’ordine diramato con le veline per la stampa è di una chiarezza estrema: “Senza intesa alle urne anche così”. L’incipit è questo. Da quel momento in poi si apre la convulsa fase di “Matteo il Pazzo”. Insonnia, fame nervosa, sindrome del bunker. Psicopolitica. Il potere come doc. Ossia disturbo ossessivo compulsivo. Accade anche con il cibo, il sesso, il gioco e altro ancora. Per Matteo Renzi, rinnegatore di se stesso (“Se perdo il referendum mi ritiro dalla politica”, ipse dixit), il potere è tutto.

Racconta un parlamentare dem: “In questi giorni Renzi spedisce sms sin dalle cinque del mattino”. L’alba come acme di un sonno cattivo, non di un sereno riposo. A Montecitorio, la disperata corsa renziana verso le urne anticipate viene vissuta con sgomento corale. Finanche i placidi franceschiniani, cioè i democristiani del Pd alleati del segretario, cominciano a chiamarlo, tra di loro, “il Pazzo”. Conversazioni in cui tiene banco lo stato mentale dell’ex premier. “Oggi che dice il Pazzo?”. Quando lo stesso Renzi viene a saperlo ha una reazione berlusconiana, tipica di chi esorcizza il problema facendo tutte le parti in commedia, quella del medico e del paziente. Ai deputati amici rivela: “Mi vogliono far passare per matto, ma io sono lucidissimo”. Però il delirio non si placa. Anzi. Il 30 gennaio le urne anticipate non sono più l’11 o il 25 giugno, secondo le prime veline del post-Italicum riformato. Quel giorno il calendario segna una data surreale. Titolo: “Il segretario studia l’opzione urne per il 30 aprile”.

Nella Seconda Repubblica dei partiti personali o carismatici, la solitudine dei leader, al termine del loro ciclo vincente, ha sovente un tratto tra il grottesco e il tragico. Il già citato Silvio Berlusconi si è rinchiuso varie volte nel suo bunker dorato di Palazzo Grazioli, la residenza dove dimora quando viene nella Capitale. È la sindrome da arma finale, quella che ossessionò Hitler nei suoi ultimi giorni. Nel bunker, appunto. Adesso tocca a Renzi. La sua arma finale sono le elezioni anticipate, se non altro per illudersi di prolungare una parabola bruciata in appena tre anni, per giunta senza mai essere votato. Ma i 19 milioni di voti contro la sua riforma costituzionale non sono un dettaglio.

Ed è proprio la disfatta clamorosamente rimossa del 4 dicembre l’indizio principe della cinica follia renziana. La corsa alle urne come suicidio politico, suo e di un’intera comunità politica. Se ne sono accorti tutti: Grasso, Napolitano e via scendendo, dai ministri Franceschini e Orlando fino ai quasi scissionisti Bersani e D’Alema. Tutti tranne lui, “Matteo il Pazzo”. Certo, è un suicidio con calcolo politico perché Renzi vuole gestire da segretario le elezioni e i seggi blindati da distribuire, ma sempre suicidio è.

È il destino di Riccardo III, il matto del potere per antonomasia, che William Shakespeare fa perire con quella frase memorabile: “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo”. È l’immagine del re solo e sconfitto che a quel punto vuole sfuggire alla morte. Ma nella tragedia scespiriana sull’ultimo sovrano della casa di York incombe anche la maledizione della regina Margherita, la vedova di Enrico VI: “Il tarlo della coscienza ti roda continuamente l’anima; sospetta, finché vivi, dei tuoi amici come traditori; e tratta come gli amici più diletti perfidi traditori; il sonno non chiuda quei tuoi occhi letali”.

Nove giorni di cinica follia e nove giorni di insonnia, tra Roma e l’esilio fiorentino, peraltro con un alto e misterioso tenore di vita (chi paga?). “Il sonno non chiuda quei tuoi occhi letali”. Ma anche “il tarlo della coscienza ti roda”. Tanti amici di ieri possono essere i traditori di oggi e di domani. Altro che il futuro che ritorna. L’unico a non tradire, rimanendo fedele sino al sacrificio finale, come accadde già alla povera Claretta Petacci con l’amato Benito, è l’insospettabile Matteo Orfini, presidente del Pd. Orfini è ormai il kamikaze, l’ancella prediletta del renzismo crepuscolare. Tocca a lui gridare quello che non può gridare “Matteo il Pazzo”.

Roma, ieri pomeriggio in piazza San Lorenzo in Lucina, vicino a Montecitorio. Il finesettimana è iniziato. Aperitivo tra diversamente renziani (ancora per poco). “Hai visto il Pazzo come è ingrassato?”.

All’indomani del 4 dicembre, Matteo Renzi, in attesa di rinunciare alla politica, annunciò persino di volersi dare all’impegnativa disciplina sportiva del triathlon. In realtà, la compulsione per il potere è arginata solamente da una fame nervosa. Così dicono. A Rimini, per esempio, una settimana fa, ha ordinato quattro panini in due ore. Fame e potere, due brutte bestie. Simili.

Il Fatto Quotidiano
4 febbraio


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